L’analisi per «La Verità» di Next generation e Deloitte: albergatori e ristoratori non riescono a rimborsare i prestiti chiesti per superare le chiusure forzate. Istituti sotto pressione e allarme per i tassi di interesse in crescita. In aumento pure le cessioni di strutture ricettive.
L’analisi per «La Verità» di Next generation e Deloitte: albergatori e ristoratori non riescono a rimborsare i prestiti chiesti per superare le chiusure forzate. Istituti sotto pressione e allarme per i tassi di interesse in crescita. In aumento pure le cessioni di strutture ricettive.In Italia il settore degli alberghi e della ristorazione vanta debiti per 37 miliardi e il rischio che questi finanziamenti non vengano ripagati a causa della pandemia è del 78% per le strutture ricettive e del 95% per i ristoranti. La fotografia, aggiornata ad ottobre 2021, è stata scattata in esclusiva per La Verità dall’osservatorio Next generation, coordinato da Giuseppe Arleo e parte del think tank Competere.Secondo l’indagine, le chiusure hanno spinto gli albergatori e i ristoratori a chiedere, solo nel 2020 e dopo circa un anno di lockdown, 10 miliardi di euro di finanziamenti per evitare di abbassare la serranda per sempre. Così l’ammontare dei debiti del settore è schizzato in soli 12 mesi da 27 a 37 miliardi di euro.Si tratta di una cifra monstre che ora gli operatori del settore si trovano a dover ridare alle banche in un momento in cui persistono ancora grandi difficoltà per il mondo del turismo e le disdette fioccano di giorno in giorno. Come spiegano da Competere, in particolare, analizzando ed elaborando i dati diffusi dalla Banca d’Italia, i crediti in sofferenza nel comparto alloggi e ristorazioni sono ancora elevati e in aumento a ottobre rispetto a settembre, per la prima volta da oltre un anno: ammontano secondo Banca d’Italia a circa 1,53 miliardi di euro da 1,51 a settembre, seppure in diminuzione di circa un terzo rispetto a un anno fa (da 2,3 di un anno prima). In più, secondo lo studio di Competere, gli anni di flusso di cassa necessari a ripagare il debito sono più che raddoppiati con il settore alloggio e ristorazione che è arrivato a 5,9 anni di media.Come spiega Arleo, «l’effetto congiunto di calo dei profitti e aumento dell’indebitamento indebolisce la struttura patrimoniale delle imprese, peggiora il merito creditizio e accresce i rischi di insolvenza. Secondo l’Istat circa il 45% delle imprese italiane è strutturalmente a rischio di chiusura; la situazione è allarmante soprattutto per le imprese del settore alloggio e ristorazione, già duramente colpite dai provvedimenti introdotti nell’ultimo anno e mezzo».L’ecatombe, insomma, è sotto gli occhi di tutti. Come rivela uno studio sul settore che Deloitte ha realizzato per La Verità, nel corso del 2020 si è registrata una riduzione nel numero complessivo di alberghi dell’1,6%, riduzione che diventa ancora più sostanziale se si considerano gli alberghi di minori dimensioni (quelli a una o due stelle) attestandosi al 4,4%.Con questi chiari di luna, dunque, spiega Deloitte, le banche hanno alzato i tassi legati ai finanziamenti del settore turistico, visti i grandi rischi cui andavano incontro nel prestare denaro ad aziende in crisi. Così, i tassi praticati, solo nel 2020, sono aumentati del 13% rispetto al periodo 2010-2019, quando i valori medi erano allo 0,8%.«Il perdurare dell’incertezza a livello macroeconomico ha portato a un aumento sia del tasso di copertura dei prestiti deteriorati alle imprese del settore turistico, sia dell’incidenza dei crediti classificati in stadio 2 sul totale dei prestiti in bonis», dicono da Deloitte. Secondo lo studio, la crisi ha interessato in modo particolare i flussi turistici internazionali: nel corso del 2020 le presenze negli alberghi italiani di turisti stranieri sono crollate del 73,2% , a fronte di una riduzione del 39% per i turisti provenienti dalla nostra penisola.Il netto crollo del flusso di turisti provenienti dall’estero ha impattato maggiormente sulle regioni dove la clientela straniera ha un peso maggiore in virtù della presenza di città d’arte (es. Lazio, Campania e Lombardia).Non a caso, quindi, i dati Istat per il 2021 relativi al quadrimestre gennaio aprile mostrano un calo delle presenze totali di turisti pari al 61,5% rispetto allo stesso periodo del 2020 e del 81,6% se si fa il paragone con il 2019.Così non stupisce che, nonostante qualche mese di sollievo, il settore alberghiero sia ancora in grande crisi. Secondo uno studio di Idealista, il numero di strutture in vendita nel 2021 è salito del 63% negli ultimi 12 mesi per un totale di 1022 alberghi, quasi il doppio rispetto ai 628 dello stesso periodo dell’anno scorso.La crisi ha interessato maggiormente le città, con le zone costiere che hanno passato la tempesta con un poco di agio in più. Nelle province costiere l’incremento è stato inferiore con un numero di immobili pubblicizzati su Idealista cresciuto del 44% negli ultimi dodici mesi, da 318 a 457 unità.Le strutture alberghiere in vendita sono distribuite in tutta la Italia, ma più della metà sono concentrate in 4 regioni: Toscana (194 annunci di hotel), Veneto (125), Lombardia (109) e Lazio (96). Seguono Emilia-Romagna (82 annunci), Sicilia (71) e Piemonte (51). Con un numero minore ai 50 hotel annunciati ci sono altre 13 regioni: dalla Liguria (45 annunci), alla Valle d’Aosta (5), Basilicata (4) e Molise (3).Vista la situazione, insomma, il rischio concreto è che le banche finiscano per ritrovarsi in pancia una enorme quantità di crediti deteriorati in arrivo da mutui che non sono stati estinti. Questo potrebbe avere un impatto negativo sul mercato immobiliare turistico e sulla solidità delle banche che hanno prestato denaro in grande quantità senza essere rimborsate.Alla fine, insomma, vista la situazione, le associazioni di categoria e i singoli operatori hanno accettato qualunque soluzione, a partire dal green pass, nella speranza che il mercato potesse ripartire. Così, però non è stato e, anzi, il certificato verde si è dimostrato un ulteriore limite per i ricavi (e i ristori) del settore.
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