2023-02-08
Proposta horror dalla Norvegia: donne morte usate come incubatrici
Lucio Malan e Isabella Rauti (Ansa)
Idea choc dall’Università di Oslo: pazienti senza attività cerebrale da «arruolare» come madri surrogate per sviluppare feti da vendere. E l’autrice specifica: per la gestazione si potrebbero usare pure gli uomini.Ripresentato da Fratelli d’Italia il ddl per rendere illegale la pratica anche all’estero. La proposta, bocciata lo scorso aprile da Pd e M5s, colpirebbe un business miliardario. Lo speciale contiene due articoli. Voi dite che esagerano? I senatori di Fdi, Lucio Malan e Isabella Rauti, hanno presentato un disegno di legge per estendere all’estero il reato di maternità surrogata. La loro potrebbe non essere una cattiva idea, considerando qual è la nuova frontiera dell’utero in affitto: reclutare come gestanti le donne cerebralmente morte. D’altronde, nei tempi in cui il serbatoio di «mamme per altri» - l’Ucraina in guerra - è fuori uso, bisogna fare di necessità virtù. E sopperire alla penuria di candidate. La brillante invenzione l’ha presentata Anna Smajdor, filosofa dell’Università di Oslo, in un paper uscito su Theoretical medicine and bioethics qualche mese fa. Nel giro di poche settimane, il testo ha acquisito una certa notorietà e, negli ultimi giorni, ne ha parlato il Daily Mail. L’autrice battezza con una bonaria etichetta burocratica l’orrida pratica che promuove: «donazione gestazionale dell’intero corpo». Un bel cortocircuito: nell’era in cui una disabile chiede un ascensore per la sedia a rotelle e lo Stato le propone l’eutanasia (è successo a un’atleta paralimpica in Canada), qualcuno, a chi è veramente defunto, vorrebbe negare il diritto di riposare in pace. Già, perché la Smajdor concede, sì, che per sottoporsi alla procedura horror bisognerebbe esprimere il proprio assenso. Tuttavia, ella ragiona per analogia con le procedure per la donazione di organi. E osserva che, nel Regno Unito, «i requisiti per il consenso» all’espianto sono «estremamente vaghi»; così, può capitare che gli organi delle persone finiscano per essere prelevati «senza alcuna chiara indicazione» che le vittime sarebbero state d’accordo. Il sillogismo che ne consegue è rigoroso: se «gli attuali protocolli per il consenso sono accettabili nel caso della donazione di organi, dovrebbero esserlo anche per la donazione gestazionale dell’intero corpo». Magari, con l’aggiunta di qualche «campagna pubblica d’informazione» in più. Possiamo stare tranquilli…Vi starete chiedendo se davvero sia possibile che una vita nasca in un corpo morto. La nostra filosofa sottolinea che non ci sono precedenti e che probabilmente servirebbero «interventi ormonali aggiuntivi». E ammette persino che quella della ventilazione a oltranza, allo scopo di servirsi dell’utero della donna trapassata, è considerata una «cattiva pratica medica». Pensate un po’ quant’è limitata la gente. Ma adesso tenetevi forte, dal momento che, contro le obiezioni etiche di senso comune, arriva una carrellata di commenti talmente grotteschi da far sembrare l’intero lavoro una specie di macabra trovata comica. Il segreto, sostiene infatti l’autrice, è trattare il corpo esanime da «mezzo per un fine», concependo l’individuo come «un deposito di tessuti che possono essere usati per recare beneficio ad altri». Non ci erano arrivate neppure le macchine del film Matrix, che almeno avevano l’accortezza di «coltivare» feti umani all’interno di bozzoli organici. E se qualcosa dovesse andare storto? Pazienza: c’è l’aborto, che avrebbe il vantaggio di essere meno traumatico della norma, giacché la madre biologica è incosciente. I committenti dovrebbero essere liberi decidere «a loro piacimento» il destino del nascituro. Il trionfo dell’umanesimo. A essere sinceri, non è la prima volta che i cervelloni discutono un’ipotesi del genere. Nel 2000, fu Rosaline Ber, sulla medesima rivista edita da Springer, a suggerire che le signore in stato vegetativo venissero impiegate come madri surrogate. Il progetto della Smajdor si spinge oltre: dalle donne in coma si passa a quelle cerebralmente morte e da quelle che non possono portare avanti la gravidanza si passa a chiunque desideri «evitare i rischi e le responsabilità della gestazione nel proprio corpo». L’ultima spiaggia - in tutti i sensi - del capriccio.Non siete rimasti ancora abbastanza scioccati? Potete contare su uno stomaco forte? Prima di proseguire nella lettura, abbiate comunque l’accortezza di assumere un gastroprotettore. A seguire, l’ultima chicca della raffinata pensatrice di Oslo: roba da trasecolare. Il guaio è che, esattamente come capita quando l’utero in affitto riguarda le donne vive, specie se sono povere e sono soggette e lasciarsi irretire dalle cospicue cifre offerte dagli aspiranti genitori, chi ha a cuore la dignità degli esseri umani potrebbe sollevare qualche obiezione. Le più allarmanti, per la sensibilità della cerchia progressista, sono quelle delle femministe. Per aggirarle, la Smajdor avanza una teoria strabiliante: far «partecipare» gli uomini alla donazione gestazionale. Sì, proprio così: gli uomini. In stato di morte cerebrale, ça va sans dire. Biologicamente impossibile? Non saranno certe bazzecole a fermare la prode bioeticista: «Nel 1999», scrive nel suo articolo, «Robert Winston disse […] che non c’erano problemi medici intrinseci nell’avvio di una gravidanza maschile: il pericolo starebbe nel parto». Nondimeno, «sappiamo già che le gravidanze possono essere portate a termine al di fuori dell’utero». E qui scatta il colpo di genio: l’obiettivo è mettere «incinto» un maschio, tenuto in vita artificialmente da un ventilatore meccanico e un po’ d’iniezioni di ormoni? Basta impiantargli il feto nel fegato. Un travaglio biliare, con il quale si risolvono il problema della scarsità di volontarie ancora vive e i dubbi morali sullo sfruttamento delle donne. Mary Shelley non avrebbe saputo immaginare nulla di più agghiacciante. Fortunata l’epoca in cui il mostro più abominevole era Frankenstein.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/horror-donne-morte-come-incubatrici-2659386769.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fdi-utero-in-affitto-reato-universale" data-post-id="2659386769" data-published-at="1675845610" data-use-pagination="False"> Fdi: utero in affitto reato universale Utero in affitto illegale non solo in Italia, ma pure all’estero. È lo scopo del disegno di legge che Fratelli d’Italia ieri ha ripresentato al Senato, avente ad oggetto la «Modifica all’articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n.40, in materia di perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all’estero da cittadino italiano». A differenza di altre iniziative legislative sui temi etici di cui si è parlato nelle scorse settimane, questo ddl è destinato ad incassare il pieno appoggio della maggioranza e dello stesso governo. Lo lascia immaginare il profilo dei suoi primi firmatari, che sono rispettivamente la sottosegretaria alla Difesa, Isabella Rauti, e il capogruppo a Palazzo Madama, Lucio Malan, ambedue esponenti di Fratelli d’Italia. Va detto che non si tratta di una novità. Già lo scorso anno, infatti, Matteo Salvini aveva raccolto le firme per un ddl simile e la scorsa legislatura, ad aprile, in commissione Giustizia alla Camera, era stato adottato un testo base proposto da Giorgia Meloni per perseguire appunto l’utero pure all’estero (Fi e Lega avevano votato con Fratelli d’Italia, il M5s e il Pd contro). In Italia infatti la pratica è già vietata. Lo stabilisce la Legge 40 del 2004, che all’articolo 12 - lo stesso che si vorrebbe ampliare - già oggi, al comma sei, afferma che «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro». Una disposizione netta, ma che non ha frenato il turismo procreativo verso i Paesi che invece l’utero in affitto lo consentono. Di qui il ddl di Rauti e Malan che tocca una materia sulla quale il governo ha anche deciso di chiedere un parere al Comitato di bioetica. Parere che verosimilmente sarà di condanna della maternità surrogata. Questo, almeno, vien da pensare rileggendo quanto - appena nominato presidente di tale Comitato, lo scorso dicembre - aveva dichiarato alla Verità il professor Angelo Vescovi: «Esiste un mercato là fuori. E ci si dimentica una cosa: che la donna che funge da madre surrogata lo fa spesso in condizioni di disperazione e necessità. Al di là di rari casi, questo è diventato un commercio come lo fu la fertilizzazione in vitro all’inizio, fuori controllo».Ed è proprio per questo - per arginare una situazione internazionale «fuori controllo» -, che è stato ripresentato il ddl di Rauti e Malan, il cui testo afferma che «le pene si applicano anche se il fatto è commesso all’estero». Diversamente non si potrebbe davvero arginare, si legge ancora, «la diffusione del cosiddetto turismo procreativo, quel fenomeno per cui coppie italiane che non possono avere figli si avvalgono della tecnica della surrogazione di maternità in un Paese estero in cui la stessa è consentita».«Le pratiche della surrogazione di maternità», sempre secondo Fratelli d’Italia, «costituiscono un esempio esecrabile di commercializzazione del corpo femminile e degli stessi bambini che nascono attraverso tali pratiche, che sono trattati alla stregua di merci». Rauti e Malan si propongono pertanto di fermare, col loro ddl, quel che definiscono «mercimonio di madri e bambini». Difficile, in effetti, chiamare altrimenti una pratica che già oggi muove nel mondo un giro d’affari di alcuni miliardi che entro il 2032, secondo la Global Market Insight - una società di consulenza e indagini di mercato americana - potrebbero diventare 129, più della metà del patrimonio dell’uomo più ricco del mondo, Elon Musk.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)