2020-09-04
«Ho creato il linguaggio del corpo delle dive»
Gianni Bozzacchi Getty images)
Prima fotografo delle star, da Liz Taylor alla Bardot, poi produttore: è un pezzo di storia del cinema, amico di Sergio Leone e di Fellini. Gianni Bozzacchi: «Liz voleva solo me, Antonioni era rimasto impressionato da come avevo immortalato la Koscina stesa per terra»Quando il jet set era una cosa seria, una comunità cosmopolita che si muoveva tra Saint-Tropez, Portofino e la Costa Smeralda sbandierando bellezze, celebrità e quarti di nobiltà, Gianni Bozzacchi era il fotografo delle dive, lo scatto più ricercato da stelle e stelline. L'evoluzione del paparazzo: non un semplice testimone, ma un personaggio lui stesso, con il fascino del cacciatore pronto ad agguantare la sua preda per donarle l'immortalità. Le sue foto hanno segnato un'epoca e quando le luci si sono spente con il medesimo coraggio si è lanciato nel mondo del cinema come produttore. Ora insegue il sogno di una vita: un film su Enzo Ferrari, per il quale è coinvolto anche Robert De Niro.Quando ha cominciato a fare il fotografo?«Io non volevo fare il fotografo, volevo fare il pilota di Formula 1! Quando ancora non avevo la patente, mi sono inventato un lavoro con un amico. Tutte le notti andavo a Milano, dove mi consegnavano Tuttosport e La Gazzetta dello Sport, a Bologna prendevo Il Resto del Carlino e lo Stadio, mi fermavo a Firenze e ritiravo La Nazione e alle cinque e un quarto ero a Roma, in modo da poter distribuire questi giornali nella Capitale. Poi ho avuto un incidente grave e con i soldi che ho guadagnato con questo lavoro ho comprato delle macchine fotografiche».La fotografia ce l'aveva nel sangue...«Mio padre era a capo del reparto fotografico dell'Istituto centrale di patologia del libro, a via Milano, a Roma. Fotografia scientifica: rilevazione di immagini scomparse nel tempo, quando l'inchiostro sbiadiva. Attraverso i raggi ultravioletti riusciva a riportare alla luce documenti molto importanti. Mi ricordo da bambino che recuperava immagini e scritture del Rinascimento, per esempio scritti di Michelangelo e di Machiavelli. Mi ha insegnato a ritoccare e ho cominciato a lavorare per Luxardo, Cantera, per tutti i fotografi che facevano ritrattismo. Andavo con il pennelletto, il raschietto e l'inchiostro di china, facevo il mio lavoro, mi pagavano e via. Poi ho cominciato a ritoccare per Johnny Moncada, famoso fotografo di moda, e, dopo il militare, che ho svolto al Cinefoto dello Stato Maggiore dell'Esercito, sono andato a lavorare da Pierluigi Praturlon, il fotografo de La dolce Vita. A un certo punto mi ha mandato in Africa, nel Dahomey ora Benin, dove stavano girando The Comedians, con Elizabeth Taylor, Richard Burton, Alec Guinness e Peter Ustinov. Non sapevo di essere diventato un ritoccatore molto gradito a LizTaylor, che faceva pervenire a Pierluigi le sue foto per farle ritoccare». L'incontro con Liz Taylor le ha cambiato la vita.«Ho fotografato Liz in tutti le pose: conoscevo benissimo il suo viso, avendo ritoccato le sue foto. Sono tornato a Roma e ho ripreso a lavorare da Pierluigi, poi mi hanno detto che le foto scattate in Africa le erano piaciute e che mi aveva convocato a Nizza. Così sono andato da lei, ma non parlavo ancora inglese, per cui dal tono della voce ero convinto che fosse arrabbiata con me, poi, mentre facevo i bagagli per ritornare a Roma, il suo segretario mi ha detto che Richard Burton mi voleva parlare. Pensavo che anche lui ce l'avesse con me, invece mi ha chiesto se volevo far parte della loro famiglia. Io ero un ragazzino, quel mondo non lo conoscevo, allora ho chiesto: “Perché?". “Elizabeth ha bisogno di te". Siamo andati a fare una piccola crociera a bordo della loro barca, il Kalizima. Arrivare a Montecarlo sullo yacht è stata un'emozione indescrivibile. Grace Kelly è salita a bordo e, tutto eccitato, sono andato a telefonare a mia madre per dirle chi avevo conosciuto, ma lei era più interessata alla mia salute!». È entrato dalla porta principale nel jet set...«Mi sono trovato in questo mondo favoloso, in una posizione che forse nemmeno meritavo, però la mia fotografia, adesso posso dirlo tranquillamente, era così istintiva e piena di talento che ottenevo dei risultati. Sono stato per quindici anni un fotografo molto amato da tutte le dive del mondo, a cominciare da Brigitte Bardot. Sono diventato fotografo personale di Grace Kelly, fotografavo Farah Diba tre volte l'anno, in più facevo gli special dei film... ne ho fatti 160. A un certo punto ho capito che dovevo crescere, ho attaccato la macchina fotografica al chiodo e ho deciso di fare il produttore. Non per essere un semplice finanziatore, ma un produttore creativo, che sceglie la storia, individua lo sceneggiatore, sviluppa con lui il progetto, poi decide quale sia il regista perfetto per quella storia e sceglie gli attori. Avevo conosciuto Monte Hellman e con lui abbiamo sviluppato l'idea di un film».Ed è nato Amore piombo e furore, un western malinconico con Fabio Testi, Jenny Agutter e Warren Oates. Fa un cameo anche Sam Peckinpah, leggenda del western americano.«Sam Peckinpah era amico di Jerry Harvey, uno degli sceneggiatori del film. Abbiamo chiesto a Peckinpah, solo pagandogli il biglietto aereo, di fare il ruolo di un giornalista e a quel punto è venuta l'idea di mettere in quella scena anche Federico Fellini e Sergio Leone. Fellini avrebbe fatto il cieco e Leone il proprietario dell'albergo in cui Peckinpah incontra il pistolero interpretato da Fabio Testi. Ero molto amico con Sergio Leone». Fellini invece?«Sono andato da Fellini con Peppino Rotunno, che ha accettato di fare l'autore della fotografia del film per amicizia nei miei confronti, a una paga molto più bassa di quella sua standard. Abbiamo organizzato un pranzo con Fellini, Peckinpah, Leone, Hellman e gli sceneggiatori. La mattina mi ha chiamato Ivo Palazzi, che avevo messo come autista di Sam Peckinpah, per dirmi che Sam chiedeva della roba bianca.“Non so che fare, questo insiste". Ho raggiunto Peckinpah, abbiamo preso un caffè, a un certo punto mi ha guardato le scarpe e ha visto degli stivaletti che avevo comprato da Raphael, a piazza Barberini. “Dove li hai comprati?". “Vieni, te ne regalo un paio". L'ho portato da Raphael, gli ho comprato due paia di stivali, l'ho riportato in albergo, poi sono ritornato a casa, mi sono cambiato per andare a pranzo. Peckinpah si è presentato brillo e ha cominciato con Leone a dirsi a vicenda: “Tu sei un maestro...", poi si è messo seduto e ha cominciato a offendermi perché “questa mattina, Sergio, avevo tanto bisogno di sostegno e questo disgraziato che si vuol considerare produttore non me ne ha dato". Allora io gli ho indicato le scarpe, lui ha spinto la sedia indietro, si è tolto lo stivale e lo ha messo sul tavolo, si è alzato e se ne è andato. Fellini e Leone si sono ritirati. Due giorni dopo, comunque, Sam Peckinpah ha girato la sua parte: era un bravo attore, ma un uomo strano. Il titolo originale del film era China 9 Liberty 37. Qualche anno fa, quando stavo mettendo su la mia società, sono andato alla Warner per ricomprarlo per ragioni affettive: era costato settecentomila dollari, mi hanno chiesto sedici milioni di dollari!». Poi ha prodotto, sempre con De Paolis, Amo non amo, opera prima di Armenia Balducci.«Con Valerio avevamo costituito una società, la Compagnia europea cinematografica, con l'idea, secondo me geniale, di produrre dei film europei. Io già pensavo al cinema europeo, non al cinema italiano, per allargare gli orizzonti. Armenia Balducci era la compagna di Gian Maria Volonté, al quale abbiamo chiesto se volesse fare il film. Ci ha risposto: “Con la mia compagna no". Jacqueline Bisset ha voluto a tutti costi interpretare la protagonista. A quel punto Volonté ha detto: “Voglio fare il film, ma lo voglio girare in francese, non in inglese". “No, no, si fa in inglese". Volonté si è arrabbiato e abbiamo litigato. Jacqueline e Armenia hanno deciso che l'interprete giusto fosse Maximilian Schell, mentre per l'altro ruolo maschile avevamo Marcello Mastroianni, che però ha avuto un'infezione ai denti due giorni prima delle riprese. Bisognava trovare un attore all'ultimo momento...». Come ha risolto la situazione?«Ho chiamato Terence Stamp, che avevo conosciuto perché doveva essere il protagonista di Blow-up di Antonioni. Michelangelo mi aveva notato da Pierluigi mentre stavo fotografando Sylva Koscina. Gli ero montato sopra, lei era stesa per terra... ero conosciuto nel mondo per il mio body language. Michelangelo mi ha chiamato per insegnare in segreto a Terence Stamp a manovrare la macchina fotografica, poi, quattro-cinque giorni prima delle riprese, ha deciso di prendere David Hemmings e ho insegnato anche a lui le movenze del fotografo. Purtroppo Amo non amo era un film sbagliato, troppo lungo. È uscito al Rivoli un giorno ed è stato subito smontato. L'ho portato in America, l'ho fatto rimontare dal grande montatore Sam O'Steen, ho fatto comporre la colonna sonora a Burt Bacharach e così sono riuscito a salvarlo: è stato distribuito in America con il titolo Together. La versione rimontata ha un senso, l'esasperazione e la lentezza del primo montaggio spingeva lo spettatore ad alzarsi e ad andarsene».Questi due film l'hanno spinto verso l'America.«Ho lavorato cinque anni per la Metro-Goldwyn-Mayer. In Italia l'autore del film è il regista, per me invece l'autore del film è il produttore, inteso come produttore creativo. Un giorno mi ha chiamato Sergio Leone: “Vie' qui che damo la risposta a Il padrino", allora sono tornato in Italia. Ho letto il copione: settecento pagine, straordinario, ma troppo lungo. Ho detto a Sergio: “Secondo me lo sbaglio di questo film è il titolo: gli americani non l'accetteranno mai, ti faranno la guerra, ti bloccheranno". Mi è venuto in mente un titolo che Sergio ha registrato: In Gold We Trust, aggiungendo una elle al celebre motto riportato sulle monete americane, con quell'ironia tipica di noi italiani. Sergio era quasi convinto, poi ha voluto mettere il titolo originale, C'era una volta in America. Ho portato il progetto alla Mgm. Mi hanno dato l'ok: “Facciamo il film, però deve tagliare almeno un centinaio di pagine". Avrei dovuto produrlo io per la Mgm e il cast che Sergio aveva messo su prevedeva Robert De Niro e Dustin Hoffman, che avevano accettato. Cosa è successo? Sergio ha ridotto i caratteri della battitura del copione, tagliando dieci pagine, e la Mgm ha detto no. Poi ho conosciuto Arnon Milchan, un israeliano molto ricco che amava molto Leone ed è stato il vero finanziatore di C'era una volta in America. L'ho messo in contatto con Sergio, è venuto a Roma, hanno firmato il contratto. Sono stato fregato da tutti e due. È vero che ha conosciuto i Beatles?«Sì. Quando ero in Inghilterra a lavorare con Liz Taylor, i Beatles sono venuti a conoscerla. Con loro c'era Jerry Pam, che li avrebbe lanciati in America. Ero innamorato della loro musica e quindi ho chiesto a Jerry di farmi fare la copertina di un loro disco. Ho lavorato su Abbey Road, sono andato nella loro grotta, The Cavern Club, e ho lanciato l'idea di loro quattro che camminano sulle strisce. Avrei voluto scattare la foto con la pioggia. Poi sono andato in Messico per un film con Peter Ustinov e quando mi hanno chiamato per dirmi che avrei potuto scattare quella fotografia, non potevo lasciare il set e tornare in Inghilterra».