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Hillary e Bill fin da studenti erano in mano alle lobby

«Non ci crederai, ma i professori vogliono che io mi candidi per una borsa di studio della Rhodes Foundation a Oxford». È il 1964 e a scrivere con tanto entusiasmo a un'amica è uno studente della Georgetown University, William Jefferson Clinton, detto Bill, in procinto di accedere nel tempio dell'olimpo lobbistico. Mancano sette anni al suo incontro, in una biblioteca di Yale, con Hillary Rodham, ma, in compenso, il ragazzone dell'Arkansas ha altre frequentazioni di un certo peso. Per esempio il professor Carroll Quigley, il cui corso segue con profitto. Chi era costui? Ne parla Geminello Alvi in un articolo pubblicato in questi giorni sulla sua rivista on line, La Confederazione Italiana. Quigley era uno studioso delle élite che hanno il compito di favorire la diffusione planetaria della Anglosaxon Idea. Non un complottista, ma un'autorità accademica: Alvi lo definisce «lo Spengler americano» e spiega che nei suoi libri è possibile trovare «la conferma che esistono almeno dei canali di reclutamento delle élite, assai diversi da quelli pretesi dalla favoletta delle primarie o delle elezioni.

Poco conta insomma chi vince le presidenziali. Quello che conta è che i concorrenti democratici o repubblicani siano stati filtrati dalle aristocrazie venali o dall'establishment di pochi Club, o di poche università, dove gli insider si sono amalgamati in un potere esclusivo».

Gli stessi ambienti frequentati da Clinton sin da ragazzo, proprio grazie a Quigley, e che oggi spingono per paracadutare sua moglie alla Casa Bianca. Centrale per la carriera di quello che diventerà il 42esimo presidente sarà per esempio il salotto di Pamela Harriman. Un'altra personalità da scoprire: già sposata col figlio di Churchill, aveva portato all'altare in seconde nozze Averell Harriman, banchiere in affari con Prescott Bush, padre di George Bush, ma con ottime entrature anche nella Russia sovietica: «La prima visita di Harriman in Russia – racconta Alvi – avvenne quando era zar Nicola II; l'ultima su invito di Andropov nel 1983.

Nel frattempo aveva però negoziato la sua concessione mineraria con Trotsky, il che non gli impedì poi di visitare Stalin ed elaborare un trattato nucleare con Krushchev». Sua moglie Pamela, che ebbe storie d'amore con Gianni Agnelli ed Elie de Rothschild, sarà figura di riferimento nel Partito democratico. Nel 1993, Bill Clinton la nominò ambasciatrice in Francia. La gratitudine, in certe cerchie, è una moneta preziosa. Mica scema la signorina Rodham a scegliersi come futuro marito uno che piace così tanto alla gente che piace (anche se a lui piacciono le belle ragazze). Marcata stretta da Sanders, Hillary ha faticato a liberarsi dall'etichetta di candidata dei poteri forti. Varie volte ha insistito sulle sue origini nella middle class, ma non ha funzionato. È difficile presentarsi come una figlia del popolo quando emerge che dalla fine del suo incarico come Segretario di Stato, nel 2013, Hillary ha guadagnato più di 21,6 milioni di dollari solo per prendere la parola a delle convention, spesso organizzate da banche.

Fa poi spavento la cifra che entrambi i coniugi Clinton avrebbero incassato dal 2001 a oggi grazie ai loro interventi: oltre 153 milioni di dollari per 729 discorsi, una media di quasi 211 mila dollari a intervento. Di questa cifra, 7,7 milioni di dollari sarebbero arrivati da 39 discorsi fatti per alcune grandi banche, come Goldman Sachs e Ubs. E poi non può mancare lui, il re dei burattinai: George Soros, che alla Clinton ha donato a gennaio 8 milioni di dollari. Quando era Segretario di Stato, i dirigenti del suo Open Society Institute erano di casa nel suo ufficio, e così altri miliardari: l'editore Mort Zuckerman, influente membro della lobby filo-israeliana, i coniugi Bill e Melinda Gates e Warren e Susie Buffett.

La lista dei finanziatori della sua campagna elettorale è emblematica: Monsanto, Barclays, Goldman Sachs, Coca Cola, Exxonmobil, Pfizer. Ma tra i 10 e i 25 milioni sono arrivati alla Clinton anche dal «Reame dell'Arabia Saudita», con un rinforzo tra 1 e 5 milioni di dollari avuti dagli inquietanti «Amici dell'Arabia Saudita». Anche il Qatar ha messo mano al portafoglio. Davvero non crea imbarazzo il fatto che il possibile futuro presidente degli Usa sia finanziato da uno degli Stati più oscurantisti, accusato di rapporti ambigui con il terrorismo?

Altra stranezza: nelle casse della Fondazione Clinton sono arrivati anche ingenti fondi raccolti da una banca russa vicina al Cremlino. Non era Trump l'amico di Putin? Ma si sa, per il potere oligarchico non conta il colore del gatto, basta che acchiappi i topi. Lo diceva, non a caso, Mao Tse Tung.

Fs aumenta gli investimenti e la puntualità
Stefano Donnarumma, ad di Fs
L’ad Stefano Donnarumma presenta le nuove strategie: pronti 18 miliardi per il 2025 e progetti per 177 miliardi fino al 2034. La flotta verrà rinnovata e si punterà su digitalizzazione della rete e apertura ai privati. Matteo Salvini rilancia i cantieri e il Ponte di Messina.

Investimenti per 18 miliardi nel 2025, 7 di questi solo per il Pnrr. Cifre senza precedenti per il gruppo Fs come spiegato dall’amministratore delegato Stefano Donnarumma ieri in occasione della presentazione del Piano strategico 2025-2029. «Questi risultati rappresentano le fondamenta della traiettoria di lungo periodo delineata nell’aggiornamento del Piano strategico, che prevede ulteriori investimenti per 177 miliardi di euro nel periodo 2026-2034. Il prossimo anno puntiamo a superare il target dei 18 miliardi», mentre per quanto riguarda gli obiettivi al 2029, nonostante una perdita iniziale pari a 200 milioni di euro nel 2024, restano gli stessi: «20 miliardi di euro di ricavi, 3,5 miliardi di euro di Ebitda e un risultato netto pari a 500 milioni di euro, coerenti con la traiettoria di crescita prevista per i prossimi anni», ha commentato presentandosi sul palco vestito da ferroviere per «trasmettere l’orgoglio e l’emozione di essere ferrovieri e italiani».

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Lista d’attesa lunga per avere le cure: chiede l’eutanasia. E il Canada gliela dà
Iniezione letale (iStock)
Donna affetta da una patologia rara, ma non grave, si deprime per le tempistiche dell’operazione e ottiene l’ok al fine vita.

Una donna affetta da una malattia rara, ma tutt’altro che in fin di vita bensì semplicemente stanca di aspettare l’intervento chirurgico di cui avrebbe bisogno, arriva a chiedere - e ottiene - la morte assistita. Sembra assurdo che un caso simile possa esistere e, probabilmente, lo è. Peccato sia una storia vera: quella che vede suo malgrado protagonista Jolene Van Alstine, 37 anni, residente nella provincia canadese del Saskatchewan. La donna soffre da otto anni di iperparatiroidismo primario normocalcemico, una malattia paratiroidea molto rara ma curabile. Il punto è che nel Saskatchewan pare non ci siano chirurghi in grado di eseguire l’operazione di cui ha bisogno. Per questo, la trentasettenne deve essere indirizzata fuori provincia, ma non può ottenere un’indicazione senza prima essere visitata da un endocrinologo e - di quelli della sua zona, alcune decine - nessuno accetta nuovi pazienti.

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Marco Scatarzi e Lorenzo Cafarchio raccontano boicottaggi, accuse grottesche e tentativi di censura tra fiere del libro e festival. Perché il pluralismo diventa un problema solo quando non è di sinistra?

La strage silente delle miocarditi da vaccini
Vaccini (iStock)
È provato che il farmaco usato per il Covid, specie nei soggetti giovani, possa causare microlesioni rilevabili solo con esami mirati. Spesso la sintomatologia è nulla: arriva solo un’aritmia improvvisa e fatale. Eppure la «scienza» dà dei cialtroni alle tante vittime.

Il malore improvviso ha un nome. La mio/pericardite associata ai vaccini a mRna contro Sars-CoV-2, è un fenomeno epidemiologicamente ben documentato, in particolare nei maschi tra 12 e 29 anni. Studi pubblicati su The Lancet, Nature, Jama hanno confermato infatti un aumento dell’incidenza rispetto ai tassi di background pre-Covid, soprattutto nella settimana successiva alla seconda dose.

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