2024-08-07
La Harris sceglie come vice un estremista di sinistra che piace ai filopalestinesi
Kamala Harris e Tim Walz (Getty Images)
Correrà con Walz, gradito anche a Obama. A favore di immigrati illegali e veicoli elettrici, rischia di costare ai democratici i voti degli operai e la Pennsylvania.Aveva un’occasione d’oro per dimostrarsi realmente competitiva alle elezioni di novembre. E invece, anziché sfruttarla, Kamala Harris ha preferito cedere alle pressioni dell’estrema sinistra filopalestinese. Dovendo scegliere come proprio vice tra il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro e quello del Minnesota Tim Walz, la candidata dem ha alla fine optato ieri per quest’ultimo. Subito è arrivato l’appoggio di Barack e Michelle Obama: «Kamala Harris ha scelto un partner ideale e ha chiarito esattamente per cosa si batte... Walz non ha solo l’esperienza per essere vicepresidente, ha i valori e l’integrità».Una mossa però non lungimirante. Innanzitutto Shapiro avrebbe quasi certamente portato in dote alla Harris la Pennsylvania. Ora, è vero che sia la Pennsylvania sia il Minnesota sono in bilico. Tuttavia, mentre in Minnesota vincono i i candidati dem dal 1976, la Pennsylvania fu espugnata da Donald Trump nel 2016 e difficoltosamente riconquistata da Joe Biden nel 2020. È quindi chiaro come proprio la Pennsylvania rappresenti uno Stato maggiormente in bilico rispetto al Minnesota. In secondo luogo, Shapiro ha la fama di essere un dem pragmatico. Se avesse scelto lui, la Harris, che viene sistematicamente accusata dai repubblicani di essere troppo liberal, avrebbe bilanciato il ticket, rendendolo più attrattivo per l’elettorato centrista. Optando invece per Walz, la vicepresidente ha virato notevolmente a sinistra: appena l’altro ieri, The Hill aveva del resto riportato che la candidatura del governatore del Minnesota a running mate sarebbe stata fortemente caldeggiata dall’ala progressista del Partito democratico. Non a caso, la campagna di Donald Trump ha subito bollato ieri Walz come un «estremista liberal». Un terzo elemento da considerare è che, nell’agosto 2020, il governatore fu accusato dal sindaco dem di Minneapolis, Jacob Frey, di aver ignorato gli avvertimenti che gli erano stati recapitati sui disordini scoppiati in città a seguito della morte di George Floyd: disordini che, ricordiamolo, finirono col mettere la stessa Minneapolis a ferro e fuoco, anche perché Walz schierò in ritardo la Guardia nazionale. Ma non è finita. Oltre ad aver sostenuto il rilascio di patenti di guida agli immigrati irregolari, il governatore del Minnesota è un grande fautore dell’auto elettrica: una posizione, questa, che difficilmente sarà ben accolta dai metalmeccanici di uno Stato cruciale come il Michigan. Dulcis in fundo, si fa per dire, un recentissimo sondaggio della Pbs aveva rilevato come la popolarità di Walz fosse inferiore a quella di Shapiro.E allora per quale ragione la Harris ha virato sul governatore del Minnesota anziché su quello della Pennsylvania? La motivazione risiede nel fatto che, nelle ultimissime settimane, la vicepresidente ha subito significative pressioni da quella sinistra filopalestinese che detesta Shapiro. Oltre che ebreo, quest’ultimo è un ferreo sostenitore di Israele e, negli scorsi mesi, ha duramente criticato le controverse proteste pro Palestina verificatesi negli atenei americani. Un atteggiamento senza dubbio coraggioso, che gli è costato l’astio dell’estrema sinistra. Le galassie anti israeliane hanno infatti aperto un sito chiamato Genocide Josh, lanciando inoltre una raccolta firme contro di lui. A esprimere critiche verso Shapiro sono state anche testate vicine ai progressisti, come The New Republic e Salon. Prese di posizione contro il governatore della Pennsylvania sono inoltre arrivate da If not now: organizzazione coinvolta nelle proteste studentesche che, secondo Politico, è storicamente spalleggiata dalla Tides foundation. Quella stessa Tides foundation a sua volta finanziata da quel George Soros, che, a luglio, aveva garantito il proprio appoggio alla candidatura presidenziale della Harris. Non va poi trascurato che, durante le primarie dem, le comunità arabo-americane, da sempre vicine alla sinistra dell’Asinello, avevano avviato una campagna di boicottaggio ai danni della ricandidatura di Biden, da loro accusato di essere troppo favorevole a Israele. Si tratta di comunità che, da un punto di vista elettorale, godono di un peso significativo in alcuni Stati chiave, come il Michigan. Evitando di scegliere Shapiro, la vicepresidente ha quindi probabilmente pensato di scongiurare possibili defezioni elettorali in queste aree, oltre a probabili proteste durante l’imminente convention nazionale di Chicago. Peccato per lei che un simile atteggiamento pavido e di corto respiro non disinnescherà le tensioni interne all’Asinello. Come riportato da The Hill, vari deputati dem hanno strenuamente difeso Shapiro dagli attacchi dell’estrema sinistra in questi giorni: deputati di area moderata che difficilmente digeriranno senza batter ciglio la scelta di Walz. È inoltre interessante notare come ieri, parlando della bocciatura di Shapiro, l’ex advisor di Barack Obama, Van Jones, abbia posto la questione dell’antisemitismo in seno al Partito democratico. «Si può essere dalla parte dei palestinesi senza essere un fanatico antiebraico, ma ci sono alcuni fanatici antiebraici là fuori», ha detto alla Cnn.Insomma, anziché avere il coraggio di sparigliare le carte e di provare a rivolgersi all’elettorato centrista, la Harris ha preferito l’autoreferenzialità progressista. Risultato: dentro il Partito democratico sono tornati a volare gli stracci, mentre vari strateghi dem, da David Axelrod a James Carville, stanno sottolineando che il clima di euforia recentemente formatosi attorno alla vicepresidente non durerà in eterno. Adesso arriva la parte difficile per la Harris: una Harris che, scegliendo Walz come vice, ha già compiuto il suo primo, plateale, passo falso. E intanto Trump ringrazia.