
L'educazione civica torna obbligatoria in tutte le scuole. Ma a cosa serve, se poi si aboliscono note e sospensioni?Un passo avanti (forse) e due indietro (sicuramente). Con due voti distinti, il Parlamento italiano negli ultimi giorni ha peccato di illogicità. L'avanzata potenziale riguarda l'educazione civica, una materia da tempo ingiustamente negletta nell'armamentario educativo, che in base a un disegno di legge approvato ieri dalla Camera dei deputati con 451 sì, nessun contrario e tre astenuti (e che ora passa al Senato) dovrebbe finalmente tornare a essere obbligatoria nelle scuole elementari e medie inferiori. La sicura retromarcia riguarda invece le punizioni per gli studenti indisciplinati. E la ritirata, oltre che certa, è particolarmente grave. Perché martedì 30 aprile la Camera dei deputati ha abrogato due articoli del regio decreto che nel 1928 aveva introdotto le mitiche «note sul registro», le sospensioni e le espulsioni: insomma, il già limitato arsenale sanzionatorio a disposizione dei docenti per arginare i comportamenti scorretti degli allievi.Ma partiamo dall'educazione civica. Dal prossimo settembre, i docenti di scuole elementari e medie dovranno trovare un'ora settimanale per insegnare agli studenti un po' di Costituzione e di educazione alla legalità. Ci sarà anche il voto in pagella, e il ministero dell'Istruzione avrà a disposizione un fondo di 4 milioni di euro per la formazione specifica dei docenti. Non è molto, ma è pur sempre un inizio. Il problema è il guazzabuglio di nozioni che si vorrebbero infilare a forza nella materia riesumata. Secondo quanto hanno stabilito i deputati, il ministero dell'Istruzione dovrebbe emanare le linee guida per riempire di contenuti le 33 ore annuali di educazione civica, e la legge suggerisce siano da contemplare perfino «lezioni sull'attendibilità delle fonti sul web», come fosse facile insegnare a difendersi dalle «fake news». Ma l'elenco delle sottomaterie continua, perfino con l'insegnamento dell'«Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile», cioè il programma d'azione ambientale sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite. E non basta ancora: in quella misera ora settimanale, maestri e professori dovrebbero insegnare anche «elementi fondamentali di diritto, con particolare riferimento al diritto del lavoro»; dovrebbero poi educare «al rispetto e alla valorizzazione del patrimonio culturale e dei beni pubblici comuni»; dovrebbero infine gettare qualche seme in materia di «educazione stradale, educazione alla salute e al benessere, educazione al volontariato e alla cittadinanza attiva». Detto fra noi, insegnare tutto questo sarebbe un po' troppo perfino per San Carlo Borromeo, il santo patrono dei maestri. E ci vorrebbe ben altro che un'ora: forse proprio un miracolo.A chiedere con forza il ritorno dell'educazione civica a scuola, negli ultimi mesi, era stato più volte il ministro dell'Interno, Matteo Salvini. Ieri il leader leghista, in partenza per l'Ungheria, si è detto «felice per la promessa mantenuta». Dal Parlamento gli è arrivato in risposta lo sberleffo della deputata di Liberi e uguali, Laura Boldrini, che sempre ieri lo ha invitato a tornare sui banchi: «Salvini dà un pessimo esempio in materia di educazione civica», ha detto l'ex presidente della Camera, «avrebbe proprio bisogno di andare a lezione». Quanto alle punizioni, il regio decreto abrogato il 30 aprile dalla Camera prevedeva i mezzi disciplinari «verso gli alunni che manchino ai loro doveri». Si trattava di uno spettro di misure, a seconda del comportamento da sanzionare: si partiva con l'ammonizione; seguiva la nota sul registro «con comunicazione scritta ai genitori»; veniva poi la sospensione, che andava da uno a dieci giorni di lezione; si chiudeva con l'esclusione dagli scrutini o dagli esami della prima sessione; e infine con l'espulsione dalla scuola, con perdita dell'anno. Cancellando tutto questo, la Camera ha praticamente esteso anche alla scuola primaria la perniciosa logica buonista dello «Statuto degli studenti e delle studentesse», varato nel 1998 per le scuole medie inferiori e superiori dal ministro dell'Istruzione Luigi Berlinguer: quel provvedimento, voluto da uno dei governi ulivisti guidati da Romano Prodi, stabiliva non si dovesse parlare più di «punizioni», un concetto sostituito ipocritamente con quello degli «interventi educativi», e si prevedeva che nuove e più miti «sanzioni» fossero stabilite (semmai) nei regolamenti d'istituto.Ventuno anni fa, insomma, partiva il disastroso smottamento della disciplina scolastica, quello che nei decenni successivi avrebbe portato alla totale delegittimazione dei docenti e dato vita prima al fenomeno del bullismo, ormai allargatosi agli asili infantili, e più recentemente anche a quello delle aggressioni di maestri e professori da parte degli allievi (e anche dei loro genitori). Martedì scorso, la Camera ha concluso il misfatto.
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Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.