2020-01-11
Haftar uccide i primi miliziani turchi. E Giuseppi tace sul patto col generale
L'ufficiale libico ignora la tregua e punta verso Tripoli. Colpiti degli uomini inviati sul campo da Recep Tayyip Erdogan. Mentre resta il segreto sull'incontro tra Giuseppe Conte e il leader della Cirenaica, crescono i timori per la sorte di Eni.Sembra abbastanza chiaro - a meno di improvvise sorprese e di colpi di scena al momento non prevedibili - che il generale Khalifa Haftar non abbia intenzione di fermarsi, nonostante la richiesta di cessate il fuoco indirizzata alle parti, l'altro giorno, da Russia e Turchia. Haftar sente la vittoria più vicina, e procede nella sua avanzata. È di ieri la notizia dei primi miliziani turchi caduti: ed è scontato che sia stato il fronte di Haftar a colpirli. Resta invece un dubbio di fondo su quanto questa prosecuzione dell'offensiva di Haftar sia condivisa dal suo sponsor maggiore, Vladimir Putin. Le opinioni al riguardo divergono: alcuni analisti ritengono che Haftar stia decidendo autonomamente l'intensificazione degli attacchi, mentre altri suppongono che possa essere stato più o meno tacitamente autorizzato a determinare un fatto compiuto sul campo, che renda sempre più fragile la posizione di Al Serraj e della fazione sostenuta dalla Turchia. Al riguardo, è significativa la dichiarazione del comando generale delle forze armate arabe libiche, cioè il fronte che fa capo ad Haftar, che per un verso ringrazia Putin e accoglie con favore l'iniziativa russa, ma per altro verso dichiara di proseguire la lotta «per sradicare i gruppi estremisti in Libia». Il comando ha sottolineato in uno statement che «gli sforzi delle forze armate nella loro guerra contro i gruppi terroristici classificati da risoluzioni del Consiglio di sicurezza hanno dimostrato attraverso l'esperienza che uno stato civile può essere istituito solo eliminando questi gruppi che hanno sequestrato la capitale Tripoli. Tali gruppi sono supportati da alcuni Paesi che forniscono loro attrezzature militari, munizioni, droni. Inoltre, i governi che sostengono gruppi terroristici a Tripoli stanno trasferendo un gran numero di terroristi da tutto il mondo per combattere contro le forze armate e il popolo libico». E ancora: «Raggiungere la stabilità e la sicurezza, rispondere alle esigenze del cambiamento democratico, concordare un quadro nazionale per un'equa distribuzione della ricchezza dei libici senza esclusione o emarginazione, sono elementi che ci portano a dire che lo scioglimento e il disarmo delle milizie sono diventati una richiesta nazionale e internazionale. Ciò porta all'attuazione di nuovi accordi di sicurezza nella capitale, e renderà possibile un efficace processo sovrano e la formazione di un governo in grado di applicare le sue decisioni in tutte le parti del Paese».In sostanza, si evincono due punti: guerra totale a Tripoli e quindi ad Al Serraj; e soprattutto, il fatto che proprio il recente invio anche di miliziani jihadisti da parte della Turchia (oltre a soldati regolari) sia divenuto un ulteriore argomento a favore di Haftar per presentare e legittimare la sua azione come un'iniziativa anti-terroristica.Certo, nello scenario di un'affermazione di Haftar, resta da capire cosa accadrebbe per l'Italia. Come La Verità ha anticipato ieri, sulla base di rivelazioni provenienti da fonti di Bengasi vicinissime ad Haftar, l'uomo forte della Cirenaica, nel colloquio romano con Giuseppe Conte, non avrebbe fatto mancare alcune rassicurazioni all'Italia rispetto alla nuova Libia da lui eventualmente guidata. Ma il punto vero riguarda l'Eni: non solo, ovviamente, la sicurezza delle sue installazioni in questa fase di conflitto, ma soprattutto il fatto di non essere scavalcata in futuro da altri player petroliferi. Di tutta evidenza, però, non possono bastare due frasi rassicuranti diHaftar pronunciate nel chiuso di Palazzo Chigi: se l'Italia perderà platealmente peso specifico nel teatro libico, come già sta accadendo, c'è da temere un riverbero anche nella gestione futura delle risorse energetiche.E in ogni caso sarebbe preciso dovere del governo fare chiarezza sui contenuti del colloquio con Haftar: che si sono detti Conte e il generale? Quanto all'altro fronte, quello che fa capo a Al Serraj, Palazzo Chigi e Farnesina sono ormai consapevoli di quanto il rapporto con l'Italia sia compromesso. L'uomo di Tripoli non ha gradito non solo la presenza a Roma di Haftar, ma soprattutto che Conte abbia dato plasticamente la sensazione di voler partecipare alla divisione delle spoglie di Al Serraj, prim'ancora che la sua sconfitta sia maturata sul campo. Conte e Di Maio, l'altro ieri, hanno ragionato su come ristabilire un contatto, ma per ora non ci sono novità. La stessa visita in Italia, l'altra sera, del ministro degli Interni di Al Serraj, Fathi Bishaga, era dovuta solo alla volontà di incontrare l'ambasciatore Usa a Tunisi, Donald Blome, senza alcuna intenzione di recuperare un qualche filo diretto con il governo di Roma, per il momento.