2018-07-17
C’è la prova: una manina contro Di Maio nel suo ministero
La relazione tecnica è stata modificata con le tabelle Inps, che però contengono solo i costi e non i benefici. Così i dati contestati sono diventati legge. Qualcuno al dicastero del Lavoro è intervenuto. O ha chiuso gli occhi.C'è un grande caos sotto il cielo del decreto Dignità. Le dichiarazioni del ministro Luigi Di Maio che ha accusato ignoti di aver modificato il testo a sua insaputa hanno acceso una ridda di numeri e un'infinità di polemiche. Il ministero del Lavoro e dell'Economia si sono schierati contro Tito Boeri, numero uno dell'Inps. Giovanni Tria ha detto che le valutazioni dell'Istituto non hanno basi scientifiche nonostante dal testo finale si evinca chiaramente una perdita potenziale di 8.000 posti di lavoro all'anno. In pratica, sarebbe stato emanata un decreto «Tafazzi» che si fa male da solo. Peccato che il testo sia finito al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che l'ha firmato lo scorso 12 luglio. I numeri vistati da Boeri sono parzialmente giusti, ma come dice Tria non sono scientifici perché tengono conto solo dei costi e non dei benefici del decreto. Qualunque valutazione ex ante si basa su entrambi i pilastri. Per questo il numero di perdite previste è un siluro che finisce dritto contro il governo. Solo che la manina denunciata da Di Maio non è di Boeri, sebbene i suoi dati siano fuorvianti. Ma proviene da un funzionario della Ragioneria o più facilmente dello stesso dicastero di Di Maio, quello del Lavoro. Con una certa difficoltà abbiamo ricostruito il viaggio del documento. Il giorno precedente al Consiglio dei ministri del 3 luglio il ministero del Lavoro invia la propria relazione Air, analisi di impatto della regolazione, che accompagna tutti gli atti normativi del governo. Non siamo riusciti a recuperarla, ma in data 10 luglio il nucleo Air di Palazzo Chigi diffonde come da prassi la propria valutazione. Nelle poche pagine i tecnici spiegano che i colleghi del Lavoro non hanno fatto alcuna valutazione ex ante del decreto. Non solo, il testo non conterrebbe nemmeno gli obiettivi economici che per legge servono a fare le valutazioni a posteriori. In pratica una legge dovrebbe consentire ai tecnici di calcolare quanto costa, quali benefici vuole apportare e quanto pesano. Essendo monca di tali informazioni, la Ragioneria chiama l'Inps e chiede di fare qualche calcolo. L'Istituto di Boeri provvede e invia una tabella nella quale stima che il prossimo anno si perderanno 8.000 posti di lavoro. Lo fa calcolando il numero di contratti che non potranno essere prolungati fino a 36 mesi (come previsto dal decreto Dignità). A quel punto la proiezione viene spalmata su dieci anni e si raggiunge la fatidica cifra di 80.000 posti di lavoro. L'Inps sembra però dare per scontato che tutte queste persone perderanno il posto di lavoro e non verranno riassorbite in alcun modo. Da qui deriva il costo accessorio della Naspi, l'ammortizzatore sociale per chi resta a spasso. Dalla relazione addirittura si evince che lo stipendio medio di questi precari sarebbe di 1.800 euro al mese. Un dato che è difficile prendere per buono. Però diventa Bibbia. E qui subentra la manina. Il parere dell'Inps sollecitato doveva essere allegato alla relazione tecnica come prevedono le prassi e come si evince leggendo il sito della Ragioneria. Invece il file di Boeri viene incorporato e in pratica diventa legge (come si evince dallo stralcio pubblicato in basso). Non è dato sapere se la modifica sia avvenuta in sede di Ragioneria dello Stato o addirittura di ministero del Lavoro. Però in ogni caso qualcuno dei funzionari di Di Maio si sarebbe dovuto accorgere della modifica. Proprio perché le aggiunte devono essere allegate e non incorporate. Invece, nulla. Il testo bollinato viene recepito e spedito al Colle per la firma e per la pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Dunque, ha ragione Di Maio. Il documento da lui rilasciato non è quello finale. E l'anomalia è palese. Altrimenti il nucleo Air di Palazzo Chigi non avrebbe fatto quella valutazione. Non avrebbe detto, insomma, che il testo è privo di qualunque valutazione d'impatto. Tutto ciò è grave. È grave anche che un decreto non contenga numeri e non sappia prevedere i costi e i benefici che introdurrà nella società civile. Non solo. Visto il pasticcio creatosi, per la prima volta, la Ragioneria ha chiesto all'Inps di fornire ogni tre mesi una Vir. L'acronimo sta per Verifica d'impatto della regolamentazione.In pratica, una volta cambiate le norme sul lavoro l'Istituto di previdenza dovrà calcolarne i costi. Ma se è vero che la relazione non contiene gli obiettivi economici, sarà molto difficile calcolare i reali effetti. Soprattutto in così poche settimane. Le Vir teoricamente hanno lassi di tempo non inferiori ai due anni. A questo punto conviene leccarsi le ferite. Magari istituire una legge che sia in grado di tracciare tutti i passaggi dei decreti e trattenere le impronte digitali di chi li maneggia. Pilotare la macchina dei ministeri è la cosa più difficile per qualunque ministro, soprattutto per i non esperti in materia. Per il resto, temiamo che nata così la legge non sarà mai trasparente. Non capiremo mai quanti posti di lavoro fa perdere e quanti ne riesce a creare. I famosi costi e benefici. L'Inps non li ha calcolati e probabilmente non li calcolerà in futuro.
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