2018-09-22
Guru dell’eutanasia arrestato per omicidio
Sean Davison è accusato in Sudafrica di avere soppresso un amico reso tetraplegico da un incidente. Leader della «internazionale della dolce morte», l'ultima volta se l'è cavata con poco: aveva aiutato la madre malata a uccidersi. E lo ha ammesso in tribunale.«Non ho commesso alcun crimine». Si difende così Sean Davison, cinquantasettenne guru dell'eutanasia a livello mondiale, commentando l'arresto a suo carico avvenuto martedì da parte degli agenti di polizia di Città del Capo (Sudafrica). Davison, ricercatore e docente nel campo delle biotecnologie all'Università di Western Cape, è accusato dell'omicidio del medico quarantatreenne Anrich Burger, divenuto tetraplegico a causa di un incidente stradale occorso nel 2005. Secondo quanto riporta la stampa locale, i due sarebbero stati legati da un rapporto di amicizia.Nato in Nuova Zelanda, lo scienziato ha acquisito la cittadinanza sudafricana dopo essersi trasferito per perfezionare gli studi in campo virologico. La sua controversa figura è assurta agli onori delle cronache nel 2010, quando è stato arrestato per l'omicidio della madre, Patricia Ferguson, morta nel 2006 in Nuova Zelanda. Le circostanze che in quel caso portarono all'arresto hanno dell'incredibile. Lasciato il Sudafrica per assistere il genitore, Davison tenne un diario giornaliero degli ultimi tre mesi della donna sul quale annotava il progredire delle terribili sofferenze causate dal cancro. Dopo il decesso della signora Ferguson, il figlio inviò il testo a una casa editrice, la quale a sua volta chiese all'autore di omettere le parti nelle quali descriveva come aveva aiutato la madre a morire con una dose letale di morfina. Tuttavia, una copia del manoscritto originale arrivò nelle mani della polizia neozelandese, che decise di procedere all'arresto. A seguito della vicenda, già di per sé sufficientemente strana, scaturì un processo altrettanto singolare. Nel settembre del 2011 Davison ammise la propria colpevolezza, ma limitatamente al reato di suicidio assistito, e la pena comminata fu piuttosto lieve. La Corte, infatti, cedette alle pressioni dell'arcivescovo anglicano Desmond Tutu, premio Nobel per la pace nel 1984, intervenuto in sua difesa. Il giudice condannò Davison a cinque mesi di arresti domiciliari, riconoscendo che le sue azioni erano state ispirate da sentimenti di «amore e compassione» nei confronti della madre. Quella circostanza segnò per lo scienziato l'inizio della carriera come attivista pro eutanasia. Fondatore dell'associazione Dignity South Africa, Davison è attualmente anche presidente della World federation of right to die societies, una sorta di internazionale della «dolce morte».Questa volta monsignor Tutu non ha atteso il processo per dire la sua. L'arcivescovo emerito ha espresso ieri la propria solidarietà nei confronti dello scienziato, dichiarando che «proprio come dovrebbe avvenire in vita, ritengo giusto che i malati terminali vengano trattati con compassione e correttezza quando giunge il momento della morte». Secondo l'anziano prelato, «ciò dovrebbe includere la possibilità, per le persone che arrivano agli ultimi stadi della vita, anche la possibilità di scegliere quando e come lasciare la Madre Terra. Alle cure palliative, che già esistono, si dovrebbe affiancare una dignitosa morte assistita, che i legislatori dovrebbero introdurre, attivare e regolare in maniera appropriata».Peccato però che in Sudafrica, nonostante il dibattito pubblico in corso alimentato dal pressing delle associazioni locali, l'eutanasia sia una pratica illegale. Adesso i pubblici ministeri sono convinti che la morte di Burger non sia un caso isolato. Un inquirente ha dichiarato alla stampa che, visti i precedenti, Davison potrebbe essere coinvolto in altri casi simili. Nonostante non siano state formulate accuse ben precise, è verosimile che ora le indagini si orienteranno alla ricerca di altri episodi di eutanasia. Nel frattempo, lo scienziato è stato scarcerato a fronte del pagamento di una cauzione di 20.000 rand sudafricani (circa 1.200 euro), in attesa del processo che dovrebbe svolgersi a novembre.Contrariata la reazione degli attivisti pro eutanasia. Philip Nitschke, direttore di Exit international e inventore di «Sarco», la capsula ad azoto liquido creata per somministrare la dolce morte di cui La Verità ha dato conto alcuni mesi fa, ha espresso in un comunicato stampa tutto il proprio disappunto. Di rientro dal Sudafrica, dove ha incontrato Davison, Nitschke ha tuonato che «il tempismo nell'arresto di Sean e la gravità delle accuse suggerisce che questa sia un'azione dietro alla quale esiste una motivazione politica». Molto più freddo, invece, il comunicato di Dignity South Africa, l'associazione fondata e diretta dal biotecnologo accusato di omicidio. Pur solidarizzando con il proprio leader, il professor Willem Landman, membro del comitato esecutivo, auspica che la giustizia faccia «il suo corso», precisando che «Davison ha una vita privata e professionale al di fuori di Dignity e, come ogni buon cittadino, è giusto che si prenda le responsabilità per le azioni commesse».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)