La battaglia di Bakhmut sembra ancora lunga, gli uomini sono stremati ma non hanno nessuna intenzione di indietreggiare. Muovendosi tra le campagne di questo fronte si sentono pochi colpi di artiglieria. Un comandante dell'esercito ucraino ci spiega che sono rimaste pochissime munizioni e che non riescono a rispondere per coprire i compagni della fanteria.
La battaglia di Bakhmut sembra ancora lunga, gli uomini sono stremati ma non hanno nessuna intenzione di indietreggiare. Muovendosi tra le campagne di questo fronte si sentono pochi colpi di artiglieria. Un comandante dell'esercito ucraino ci spiega che sono rimaste pochissime munizioni e che non riescono a rispondere per coprire i compagni della fanteria.A Chasiv Jar entriamo la mattina, c’è movimento in città, qualche movimento di carri e jeep che si riposizionano su questa specie di piccolo altopiano che guarda dall’alto Bakhmut. La città è deserta, in attesa di diventare o no il prossimo fronte i civili rimasti fanno la spola tra una scantinato usato come rifugio e il «centro dell’invincibilità» per prendere delle provviste, del te caldo e scaldarsi davanti alla stufa a legna. In quello che rimane di un ospedale nel centro città ci sono solo un medico militare e alcuni infermieri che ricevono in continuazione feriti e morti dal fronte poco più in là, le barelle sono intrise di sangue, la stanzetta di un edificio poco lontano è adibita a camera mortuaria conta già cinque, sei sacchi con dentro altrettanto cadaveri, il bollettino di morte della giornata. Il sole scalda le mattinate ancora ghiacciate ma scalda anche la neve che si scioglie e dà il via alla stagione del fango qui in Ucraina. Gli stivali iniziano a sprofondare passo dopo passo, bisogna calcolare bene i passaggi per non rimanere fermi a metà tra una casa sicura e le trincee del fronte, per questo i volontari si organizzano per come possono, nell’unità dei «gattini delle steppa» di cui abbiamo già scritto questa estate. Non ci sono più i quad che usavano tra le trincee e i campi di Kherson, ora c’è un Dune Baggy, fatto a mano dal telaio di una Suzuky Swift e adattato alla condizioni di questo fronte. Un mezzo che serve per avere più velocità e agilità rispetto alle grandi jeep o ai mezzi cingolati che comunque sono riservati all’esercito.Ci portiamo in una zona dove opera une delle brigate meccanizzate, un villaggio di case sicure poco dietro la linea del fonte, qui i soldati vengono a riposare durante le pause di rotazione dai turni in trincea, distinguiamo gli uomini che tornano da quelli che vanno per via del fango sulle divise, fresco per quelli che tornano secco per quelli che partono. Muovendosi tra le campagne di questo fronte si intravedono i carri armati nascosti nella vegetazione, alcune postazioni vengono rinforzate, qualche carro qua e là fa fuoco, una cadenza di fuoco lentissima, un colpo, poi dopo cinque minuti un altro. Pensiamo sia una tecnica ma poco dopo un comandante ci dice apertamente che hanno pochissime munizioni e che non riescono a rispondere per coprire i compagni della fanteria. La battaglia di Bakhmut sembra ancora lunga, gli uomini sono stremati ma non hanno nessuna intenzione di indietreggiare.
Il Tempio di Esculapio, all’interno del parco di Villa Borghese (IStock)
La capitale in versione insolita: in giro dal ghetto ebraico a Villa Borghese, tra tramonti, osterie e nuovi indirizzi.
John Lennon e la cover del libro di Daniel Rachel (Getty Images)
Un saggio riscrive la storia della musica: Lennon si ritraeva come il Führer e Clapton amava il superconservatore Powell.
L’ultimo è stato Fedez: dichiarando di preferire Mario Adinolfi ad Alessandro Zan e scaricando il mondo progressista che ne aveva fatto un opinion leader laburista, il rapper milanese ha dimostrato per l’ennesima volta quanto sia avventata la fiducia politica riposta in un artista. Una considerazione che vale anche retrospettivamente. Certo, la narrazione sul rock come palestra delle lotte per i diritti è consolidata. Non di meno, nasconde zone d’ombra interessanti.
Gianrico Carofiglio (Ansa)
Magistrato, politico in quota Pd per un breve periodo e romanziere. Si fa predicatore del «potere della gentilezza» a colpi di karate. Dai banchi del liceo insieme con Michele Emiliano, l’ex pm barese si è intrufolato nella cricca degli intellò scopiazzando Sciascia.
(IStock)
Pure la Francia fustiga l’ostinazione green di Bruxelles: il ministro Barbut, al Consiglio europeo sull’ambiente, ha detto che il taglio delle emissioni in Ue «non porta nulla». In Uk sono alle prese con le ambulanze «alla spina»: costate un salasso, sono inefficienti.
Con la Cop 30 in partenza domani in Brasile, pare che alcuni Paesi europei si stiano svegliando dall’illusione green, realizzando che l’ambizioso taglio delle emissioni in Europa non avrà alcun impatto rilevante sullo stato di salute del pianeta visto che il resto del mondo continua a inquinare. Ciò emerge dalle oltre 24 ore di trattative a Bruxelles per accordarsi sui target dell’Ue per il clima, con alcune dichiarazioni che parlano chiaro.







