2024-09-02
«Noi ebrei traditi dai progressisti»
Nel riquadro Guido Guastalla (Ansa)
L’editore Guido Guastalla: «A sinistra dilaga l’antisemitismo: inseguono i musulmani per qualche voto in più. Dal 7 ottobre mi sento solo perfino a Livorno, dove la mia famiglia arrivò 500 anni fa. La Digos mi consiglia di non andare in giro».Livorno è la sola città a non aver mai conosciuto un ghetto ebraico; i sefarditi vennero chiamati da Ferdinando I de’ Medici a fertilizzare la nascente città nel 1591 e dettero vita a una loro cucina, una loro cultura e a una loro lingua: il bagitto. Joseph Belforte nel 1805 stampò il primo libro di preghiere in ebraico e poi suo figlio Salomone Belforte dette vita ad una casa editrice che è il faro della cultura ebraica nel mondo. Attività che continua con Guido Guastalla, 82 anni, ma scritti solo sulla carta d’identità, scampato da neonato alla Shoah, laureato in filosofia con Nicola Badaloni, amico personale di Giorgio Amendola, con una militanza giovanile nel Pci, grandissimo mercante d’arte ed editore per scelta: essere un pilastro della cultura ebraica.Guardandolo da Livorno c’è un rigurgito di antisemitismo? Come si vive da ebreo?«Si vive nell’ansia perché l’antisemitismo è potente e pervasivo. Ho visto che a Roma e a Milano, le ha animate Klaus Davi, ci sono state iniziative per rispondere dopo il 7 ottobre al clima di odio verso di noi; qui a Livorno, è strano a dirsi, siamo soli. È la stessa atmosfera del ’38, la comunità nazionale ci dice di stare tranquilli, di stare nascosti. Ci sentiamo traditi dalla sinistra come gli ebrei italiani che erano in larga misura fascisti si sentirono traditi da Mussolini. Una mano ce l’ha data il governo: ha blindato l’ingresso della sinagoga, ha affidato alla Folgore, i paracadutisti del generale Roberto Vannacci, la nostra sicurezza. Il sindaco di Livorno, Luca Salvetti, indipendente eletto dal Pd che non si è mai fatto vedere nella nostra comunità, quando il 12 ottobre abbiamo fatto una manifestazione per il massacro perpetrato da terroristi di Hamas ci ha impedito di esporre la bandiera di Israele».Anche nell’unica città senza ghetto essere ebrei è diventato rischioso?«Io sono in là con gli anni e non mi faccio intimidire, ma mia moglie dice di sì. Su un social un ragazzotto pro Pal mi ha apostrofato: ebreo torna a casa. Gli ho replicato: sono già a casa mia. Ci stiamo da 2.200 anni in Italia, ci siamo da prima di Cesare. E poi dove devo andare? Se mi dite che Israele, perché occupa i territori, deve sparire, dov’è la mia casa? Giorni fa in piazza Grande qui a Livorno c’era una manifestazione pro Palestina, sempre con gli slogan “a morte Israele”, che significano “morte agli ebrei”. Una funzionaria della Digos mi ha ripetuto: Guastalla non stia in piazza, vada a casa, è meglio per lei e per noi. Le ho risposto: le pare che io non possa stare nella mia città, libero dove la mia famiglia è arrivata mezzo millennio fa? Una signora che passava ha aggiunto: gli ebrei hanno fatto Livorno; si devono rintanare quelle m… che fanno confusione. Dopo il 7 ottobre però i nostri giovani sono andati via, siamo rimasti in 400 tutti in là con l’età».È un clima da triangolo giallo?«È ancora più pervasivo. Mi spiego con un episodio. Il professor Samuele Rocca che vive tra Milano e Gerusalemme ha scritto un bellissimo libro sui Cesari e l’ebraismo. Doveva presentarlo all’Università di Pisa dove c’è il Cise, centro studi sull’ebraismo. Ebbene il professor Arturo Marzano - delegato alle attività gender dell’ateneo che ha dedicato un suo libro al proprio compagno: un inviato Onu a Gaza - storico dell’Asia nonché fratello di tanta sorella, e la dottoressa Carlotta Ferrara degli Uberti che dovrebbe occuparsi di antisemitismo, hanno deciso che il libro di Rocca non doveva essere presentato perché lui insegna all’Università di Ariel che secondo loro sta nei territori occupati. In realtà Ariel è in Samaria, ma Rocca non è potuto entrare all’Università di Pisa e ha subìto una sorta di “linciaggio mediatico” in chat. Siamo alla discriminazione e all’esaltazione della Palestina che è un falso storico».In che senso la Palestina è un falso storico?«Non è mai esistita una nazione palestinese, né mai c’è stato un popolo palestinese. Si è determinato solo dopo che gli ebrei alla fine dell’Ottocento hanno fertilizzato i terreni e hanno prodotto sviluppo economico nell’area, così alcune tribù arabe che venivano dai Paesi confinanti si sono insediate in quelle terre. A creare la Palestina è stata l’Unione sovietica che nel ‘64 s’inventa l’Olp e agita una sorta di colonialismo ebraico perché ha bisogno di strappare l’Occidente, perseguendo il disegno ateista alla Robespierre, dalla sua radice. Così iniziano a circolare parole d’ordine come razzismo, antisionismo che è sinonimo di antisemitismo, e s’inventano la Palestina».L’antisemitismo sta tutto a sinistra?«Sì, duole dirlo, ma è così: oggi la sinistra è antisemita. Su questo la sinistra è cambiata molto. Quando ci fu il massacro di Sabra e Shatila nell’82 mio figlio che andava al liceo fu bersaglio di intolleranza. Arrivarono a telefonare a mia moglie dicendole: sei convinta che tuo figlio sia a scuola, ma ce lo abbiamo noi e non lo rivedrai. Allora il sindaco di Livorno Pino Raugi e l’onorevole Nelusco Giachini del Pci vennero a casa nostra a offrirci solidarietà e protezione. Oggi vanno dietro ai pro Pal. Il clima è cambiato. Molti nostri amici prendono le distanze da noi. E sono convinti che aprire ai musulmani, aprire indiscriminatamente all’immigrazione, sia segno di progresso. Si sono dimenticati in fretta della testimonianza di Oriana Fallaci. A destra ci sono rarissimi episodi di antisemitismo. Prendo per esempio Ignazio La Russa: il presidente del Senato è da sempre amico della famiglia Meghnagi e della comunità milanese»,Ha ragione Olaf Scholz in Germania a preoccuparsi?«Sì, ha ragione Scholz e noi in Italia dovremmo stare attenti. L’islam si presenta con la faccia buona, dialogante, ma ha in testa l’umma: il creare un mondo solo islamico dove noi, cristiani ed ebrei perché obbedenti alle religioni del libro, siamo considerati dhimmi: gli schiavi privilegiati. L’islam è convinto che Abramo fosse musulmano e che poi il mondo si è corrotto e la loro missione è di ricostituire attraverso la umma, che è insieme religione e Stato, l’armonia del mondo. Hanno deciso di conquistarci: in Gran Bretagna ormai quasi tutti i sindaci sono islamici. Usano l’immigrazione come mezzo di istillazione dell’islam e ci sono anche forme terroristiche. Tra l’altro per loro non esiste il concetto di popolo, esiste solo quello di ubbidienza religiosa. Loro negano che esista il popolo d’Israele che fu così designato da Dio quando affidò a Mosè il compito di guidarlo nella terra promessa, perciò vogliono la distruzione d’Israele».L’Europa è sotto scacco dell’islam?«Sì e non lo dico io. Lo ha detto l’abate e vescovo di York, che in un libro scrive: l’Europa è in preda a un cupio dissolvi. Lo ha gridato quasi Shmuel Trigano – di cui sto pubblicando un bellissimo libro su Gerusalemme: è uno dei massimi intellettuali francesi – che mi ha confidato: sono reduce da un incontro con i socialisti, mi hanno spiegato che loro stanno con i musulmani perché sono di più degli ebrei e hanno tanti voti. Sembra di sentire Jean Luc Mélenchon. Per gli ebrei in Francia la vita sta diventando impossibile. Dal Sud, dove c’è stato l’ultimo attentato, la diaspora verso Israele è continua. Mia moglie che è vicepresidente della comunità delle donne ebree riceve continuamente appelli dalla Francia».Bisogna dunque fermare l’immigrazione?«Bisogna integrare facendo rispettare la nostra identità. Quando Giovanni Paolo II ha posto il tema delle radici giudaico-cristiane aveva ben presente che l’Europa avrebbe avuto bisogno di rafforzarsi per poter ospitare».Ma Francesco predica porte aperte…«Francesco fa del marketing della fede: ha capito che i musulmani sono di più e si accoda a loro. Non ha la forza teologica di Ratzinger. A Francesco di rispondere al bisogno di sacro dell’uomo non interessa nulla. Per tenersi buoni gli islamici tifa per l’immigrazione indiscriminata e ha azzerato i rapporti con gli ebrei; tra i cattolici i focolarini e i comboniani sono pro Pal e pro islam. Se ne accorgeranno: l’islam è come i coccodrilli. Il vescovo di Livorno da noi non è mai venuto, neppure dopo il 7 ottobre, e pensare che un tempo il dialogo tra ebrei e cattolici era quotidiano».È vero che lei fa il tifo per Donald Trump?«Sì, per gli ebrei americani e anche per noi. Con Kamala Harris i conflitti non finiranno mai. E poi come si fa a credere a una che ha allestito alla convention democratica lo spazio Lgbtq+ per gli americani di religione islamica? Ma lo sanno che cosa succede ai gay nell’islam e anche in Palestina? Basta questo per pensare che Trump è meglio».E la simpatia per il generale Vannacci?«Nasce dall’aver constatato che è un uomo colto: tre lauree, parla sei lingue, si è formato a Parigi, ha una visione dell’Europa che molti non hanno e conosce perfettamente il pericolo islamico. Mi ha detto una sera a cena: “Guastalla, si rende conto che dicono di me che sono antisemita? Io che ho combattuto come ufficiale della Folgore contro il terrorismo islamico”. Mi sono accorto che i giornali mainstream gli fanno dire cose che lui neppure si sogna. E sono convinto che abbia una statura istituzionale molto alta».Eppure lei è stato comunista, militante del Pci. Come mai tanta distanza?«Sono stato convintamente comunista fino al ‘67 quando ci fu la guerra dei 6 giorni. Allora Emilio Sereni venne e mi disse: compagno Guastalla, devi scegliere tra la tua appartenenza ebraica e il partito. Io lo guardai e dissi: voi pensate che si possa scambiare un’appartenenza che si perpetua da 3.500 anni per una storiella che ha appena 70 anni? Me ne andai, tenendo buoni rapporti. Ma ripensandoci mi spiego tante cose di questi nostri giorni difficili e penso a persone degnissime come Emanuele Fiano. Chissà che fatica fanno».
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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