2020-10-29
I soldi di Conte sono come i carrarmati di Mussolini
Il Mef prende fondi non spesi da decreti precedenti e li sposta sugli indennizzi. Il trucco serve a evitare altro extra deficit. Però, con nuove restrizioni alle porte, il buco nei conti è inevitabile.I (miseri) risarcimenti dovrebbero arrivare entro il 15 novembre. E guarda caso, il 16 scatta la tagliola di 263 adempimenti fiscali.Lo speciale contiene due articoli.Il decreto Ristori stanzia nel complesso 5,4 miliardi di euro a deficit. Mentre ne prevede 6,2 come saldo netto a finanziare. Tradotto: l'80% della spesa impatterà sul debito di quest'anno, il rimanente sui conti del 2021. Nel complesso, il governo, l'altra sera, ha promesso di dare la mancia a ristoratori e baristi (la media delle erogazioni a fondo perduto è di circa 5.000 euro una tantum), vantandosi di non dover chiedere un ulteriore scostamento di bilancio. In fase di pandemia non dovrebbe essere motivo di successo. Il decreto Ristori è infatti l'emblema dell'incapacità di spendere i soldi e di farli girare come si fa con il gioco delle tre carte. O come faceva Benito Mussolini, che alla sfilate mandava sempre gli stessi carrarmati. Basti pensare che i due miliardi circa per la cassa integrazione che copriranno il periodo che va da metà novembre a fine gennaio fanno parte degli stessi stanziamenti erogati dai decreti Cura Italia, Rilancio e Agosto. Solo che si tratta della fetta non spesa. Stesso discorso per i 2,4 miliardi da erogare a fondo perduto ai codici ateco obbligati a chiudere alle 18 dal dpcm del 24 ottobre. Pure questi soldi arrivano da fondi non spesi nei mesi e nelle settimane precedenti. Non si tratta però di magia ma di una possibilità che il ministro Roberto Gualtieri si è fatto approvare lo scorso giugno. Con il decreto 52, datato appunto 16 giugno, il ministro ha la possibilità di verificare in tempo reale il tiraggio (l'andamento della spesa) delle diverse misure approvate nei decreti d'urgenza e decidere in autonomia di riallocare il denaro non speso in nuovi fondi legati a successivi decreti. Giuseppe Liturri, sulle nostre colonne, ha denunciato in tempo reale l'anomalia della norma che va a sottrarre al Parlamento la prerogativa di verifica delle scelte del governo. Non a caso il premier va in Aula a chiedere il permesso di sforare i conti e fare nuovo deficit. E quando si presenta deve anche dichiarare che cosa farà con quel denaro. In questo modo invece il Mef ha mano libera per creare vasi comunicanti e spostare dove vuole i fondi. La mossa è grave perché azzera del tutto l'attività di valutazione ex ante ed ex post delle misure adottate. È ancor più grave perché bypassa le convenzioni democratiche e sopprime la trasparenza. I cittadini vengono travolti dalla propaganda dei miliardi stanziati, ma non sono mai informati dell'entità effettiva di quelli erogati e spesi. Bisogna inoltre considerare che ogni decreto varato necessita di decine di decreti attuativi, perennemente in ritardo. Il decreto Agosto prevede ben 66 ricaschi attuativi. A oggi solo uno è stato approvato. Al Cura Italia di marzo ne mancano 9, su un totale di 34. Il decreto Rilancio non è nemmeno a metà strada: 52 approvati e 85 in coda. Il che significa che parte del denaro stanziato non può essere erogato fino al termine delle pratiche. Innescando di fatto un circolo vizioso, che impedisce agli imprenditori di ricevere i fondi e dall'altra parte confonde le acque e modifica il «tiraggio» delle spese stanziate. La capacità di un governo si misura nell'azzeccare le previsioni ma anche nel portare a termine le promesse avviate. In tempi di pandemia significa spendere fino all'ultimo euro possibile. Invece, qui accade il contrario. E Gualtieri non dovrebbe vantarsene in tv. Al contrario, ci saremmo aspettati un mea culpa. Purtroppo, il gioco delle tre carte non sembra finire qui. Nonostante più volte i giallorossi abbiano dichiarato di non dover modificare la Nadef e la legge Finanziaria inviata a Bruxelles, la continua riallocazione dei fondi crea buchi di bilancio sul 2021. Appare chiaro che l'idea di fondo era quella di spostare le risorse non utilizzate quest'anno al prossimo. L'andamento dei contagi e il rischio di un inasprimento del lockdown imporranno, a fine novembre, lo stanziamento di altre risorse, il che allargherà la forchetta del deficit. Balleranno forse 10 miliardi. Tanto, se si considera che su altri 15 pende la spada di Damocle del Recovery fund. La manovra del 2021, definita 15 giorni fa, spera di poter utilizzare il denaro legato ai progetti del Recovery plan. Ieri pomeriggio la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, se n'è uscita con una dichiarazione tanto vera quanto sconcertante: «Prima di rafforzare il Recovery, va finalizzato». Lapalissiano. Non per il premier, che continua a negare l'evidenza. Solo che la realtà non può permettersi tale lusso. Si dovrà presto ammettere che i fondi Ue saranno minimi, e che per sostenere le aziende ferite dal Covid servirà molto altro. Il tutto con margini di trattativa con Bruxelles bassi. Ricordiamo che per il 2021 i giallorossi si sono impegnati a fare 19 miliardi di deficit solo per azzerare le clausole di salvaguardia sull'Iva. Vedremo che accadrà. Nel frattempo si vive alla giornata, e quella di ieri è finita (nonostante le dichiarazioni) con la pubblicazione consueta della Gazzetta ufficiale. Che però ancora non conteneva il decreto Ristori.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gualtieri-tenta-il-gioco-delle-tre-carte-ma-mettera-a-soqquadro-il-bilancio-2648538745.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-raggiro-dei-ristori-alle-partite-iva-stanno-dando-i-soldi-per-pagare-le-tasse" data-post-id="2648538745" data-published-at="1603929330" data-use-pagination="False"> Il raggiro dei ristori. Alle partite Iva stanno dando i soldi per pagare le tasse Sia pure con la Dad, il ministro della Pubblica (d)istruzione, Lucia Azzolina, dovrebbe imporre I promessi sposi agli studenti - e a sé medesima, come autocoscienza. Noi tutti dovremmo leggerne almeno i capitoli 11, 12, 18, 19 e 31. Sapremmo che siamo vittime di un raggiro, a cominciare dal cosiddetto decreto Ristori, che con una mano dà e con l'altra toglie. Siamo governati da azzeccagarbugli che truccano le carte. C'è nel romanzo un compendio quasi profetico dei nostri giorni: le rivolte, le ignavie, le gride. Ci sono perfino i virostar che compaiono in tv contraddicendosi a ogni ora, nei panni del protofisico Ludovico Settala. Al nostro Giuseppe Conte (zio) bisognerebbe regalare una copia del romanzo per Natale - che lui vuole salvare, sacrificando nel frattempo il 20% del Pil tra cultura, turismo e ristorazione complice il vicedisastro don Dario Franceschini - per fargli comprendere che sta trascinando l'Italia al fallimento. Non è bastato «l'assalto ai forni» - fomentato dalle solite frange d'imbecilli, se non peggio di malviventi - a fargli capire che con le promesse a vuoto non si va da nessuna parte. Il premier, dopo averci preso per scemi, annunciando entro dicembre un vaccino inesistente, ci riprova con il decreto Ristori. Lo ha varato in fretta e furia, spacciandolo per un'altra potenza di fuoco. Che è meno di una fionda: 2,4 miliardi a fondo perduto spalmati su 460.000 partite Iva, che fanno 5.217 euro a testa, nulla rispetto a quanto è stato speso per le sanificazioni. In tutto, considerando cassa integrazione, reddito d'emergenza e amenità varie, fanno 5 miliardi. La sola filiera agroalimentare ne perde 10. Basta leggerlo in trasparenza per sapere che è pieno di fregature. La più clamorosa è che l'Agenzia delle entrate, se va bene, il 15 novembre accrediterà spiccioli sui conti correnti e il giorno dopo batterà cassa con la riscossione dell'Iva e degli acconti Irpef. Dunque, con una mano Conte e Roberto Gualtieri danno, con l'altra tolgono. Per saperlo basta andare sul sito dell'Agenzia - il pagatore dei ristori! - dove, alla voce «scadenze fiscali», si apprende che nel mese di novembre i contribuenti sono tenuti, a vario titolo, a fare 263 pagamenti. Il giorno più caldo è il 16: scadono sia l'acconto Irpef sia l'Iva trimestrale, quella che pagano di solito piccole aziende come ristoranti e palestre e i professionisti per i quali non v'è alcun ristoro. Viene il sospetto che il decreto sia stato varato a un unico scopo: dare a chi non li ha i soldi per pagare le tasse. Se il ministro Gualtieri si è dimenticato di sospendere o cancellare questi adempimenti, lo faccia immediatamente; se scientemente li ha nascosti, si dimetta. Così il Conte zio si è fatto anche Azzeccagarbugli, per imbonire meglio i cittadini già sottoposti al regime di terrore creato attorno al virus cinese. Hanno raccontato che ci sarà l'impignorabilità fino a fine anno, ma con la Pa in smart working i pignoramenti comunque non possono essere fisicamente eseguiti; fanno saltare la seconda rata dell'Imu, ma non sarà per tutti e servirà un ulteriore provvedimento. La proroga della cassa integrazione in costanza di blocco dei licenziamenti è ridicola per entità e durata e tutto il ristoro alla fin sarà un brodino. Per di più iniquo. Un ristorante fa più della metà del suo incasso con la cena e dargli un indennizzo che è solo una volta e mezzo quella delle pasticcerie è penalizzante. Non c'è alcuna rifusione delle spese di adeguamento dei locali alle misure anti Covid, che oggi il governo cestina. Il resto sono mance. Anzi, c'è la presa in giro dello sconto fiscale sugli affitti. Di fatto è impraticabile, perché chi avrebbe diritto a detrarre ha incassato meno di quanto si può scalare e il Fisco se non c'è capienza non fa detrarre! Il premier ha sempre fatto così: dai Promessi sposi alle promesse spese è questione di un paio di vocali. Nell' ultimo dpcm, quello che chiude bar e teatri, ristoranti e piscine, si fa ricorso alla raccomandazione. Non si è mai visto in un testo di legge, al massimo compare nelle circolari, e chissà perché Sergio Mattarella certe cose non le nota. La raccomandazione è la forma più tartufesca che esista. In gergo tecnico si chiama droit souple. È una subdola induzione a fare. Non ha valore perché non prevede sanzione, ma non produce neppure obblighi per chi la formula. Chi la riceve - in questo caso la generalità dei cittadini, ed è gravissimo - la percepisce però come cogente. Chi formula la raccomandazione ha il vantaggio di ottenere lo scopo senza assumersi la responsabilità di averlo indotto. Queste forme surrettizie di normazione sono totalmente aderenti al carattere levantino del Conte zio. Per allontanare da sé la responsabilità di non aver predisposto i trasporti, dice che bisogna limitare la mobilità, se non si è fatto nulla per adeguare gli ospedali si dice che la situazione è drammatica, per evitare di licenziare, come sarebbe doveroso, Domenico Arcuri, il supercommissario, si stabilisce che è indispensabile la didattica a distanza, anche se abbiamo passato l'estate a discutere di banchi a rotelle e speso un sacco di soldi per comprarli ora che non servono. È un continuo scaricabarile, di cui pagano il prezzo i cittadini. Questo è in sostanza il droit souple: erode l'imparzialità della legge, camuffa le responsabilità delle decisioni, sposta l'onere di indicare la condotta corretta da chi emana le leggi a chi le deve subire interpretandole. È perfettamente manzoniano come scenario. Il Conte zio, del resto, altro non è che un'autorità dell'influenza, che opera nell'ombra ed erode ogni altra autorità. È l'autorità delle gride che decretano pene severe, o precetti come quelli antivirus, cui si sono conformati ingenuamente i ristoratori, che possono essere modificati ad arbitrio di sua eccellenza. È il Conte zio che opera, forte della sua necessitata inutilità, in questa Italia ai tempi della peste cinese.