2020-04-27
Gualtieri si smentisce un’altra volta. Il conto del Papeete era una truffa
Mentre continua a negare la pochezza delle misure anti crisi, a La Stampa dice: «Il tasso d'interesse del debito calerà, come negli anni scorsi». Ma sei mesi fa accusava Matteo Salvini di aver lasciato una voragine.«Contrazione, grave ma pienamente gestibile e recuperabile». Così esprimeva il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri sulla prevista decrescita del Pil italiano dovuta al Covid 19; era il 24 marzo 2020, in audizione alle commissioni parlamentari. Di lì a breve il Fmi avrebbe ovviamente certificato la gravissima crisi economica planetaria pari a un -3%. Ma si consideri che per convenzione è recessione mondiale non appena si scende sotto un aumento del 3%. E quale sarà l'economia che più soffrirà? Ma ovviamente l'Italia, con un raggelante -9,1%. Mai così male dal 1861 ad oggi, salvo gli ultimi tre anni del conflitto bellico. Gestibile, certo. Del resto già nella lettera inviata ai commissari Valdis Dombrovskis e Paolo Gentiloni il 5 marzo 2020 Gualtieri faceva orgoglioso sfoggio della sua pronta comprensione di questa tragica crisi: «Rinnoviamo il nostro impegno al Parlamento e a voi», scriveva il ministro, mentre prefigurava un «pacchetto di emergenza» una tantum di appena lo 0,3% del Pil per far fronte «all'epidemia Covid 19 e alla conseguente crisi economica». In pratica sarebbe bastato un deficit aggiuntivo di circa sei miliardi in più - e solo per il 2020 - per far fronte all'emergenza. Poi arriva il Documento di economia e finanza 2020 e i loro estensori - Giuseppe Conte e Gualtieri - ci spiegano con parole loro come la manovra economica prossima ventura non sarà minimamente all'altezza. A pagina 14 si pensa a una «deviazione temporanea di bilancio a ulteriori 55 miliardi in termini di indebitamento netto (pari a circa 3,3 punti percentuali di Pil)» per far fronte a una perdita di reddito che nella pagina prima viene quantificata in «oltre 126 miliardi». In pratica un indennizzo di 55 miliardi a fronte di un danno stimato di quasi 130. Ma a voler essere incrollabilmente ottimisti si può pensare che arriverà un momento in cui Gualtieri capirà la gravità della situazione. L'occasione giusta avrebbe potuto essere ieri, visto che La Stampa del neodirettore Massimo Giannini ha pubblicato un colloquio col responsabile di Via XX settembre. Ed è qui che Gualtieri giganteggia. «Il nostro tasso di interesse medio del debito anche quest'anno continuerà a scendere come ha fatto negli anni scorsi». Interessante, caro ministro, apprendere dalle sue labbra che gli oneri sul debito pubblico stanno continuando a calare da anni, come peraltro scriviamo da sempre. Ma non era lei a denunciare, con il suo partito, il Pd, allora all'opposizione, il governo gialloblù tutto deficit e debito sulle spalle delle future generazioni? O era una sua controfigura omonima quella che, in un'intervista televisiva a Lucia Annunziata lo scorso 29 settembre (cioè poco più di sei mesi fa) si esprimeva sprezzante: «Abbiamo questo grande conto del Papeete che ci è stato lasciato da pagare e dobbiamo farlo in modo equilibrato, senza danneggiare la crescita, trovando le soluzioni e anche la giusta mediazione tra le posizioni in campo». E se Matteo Salvini avesse veramente sfasciato i conti pubblici, ci sarebbe da chiedersi com'è che il rapporto deficit/Pil nel 2019 è stato addirittura pari all'1,6% contro il 2,4% dell'anno prima. Cosa di cui ora Gualtieri va pure orgoglioso mentre il Paese muore di fame. Nel frattempo, al ministro sfuggono apprezzabili lampi di sincerità. Da una parte trova il coraggio di affermare che «se consideriamo la crescente quota del debito» detenuto dalla Banca d'Italia, aumenteranno gli interessi incassati da quest'ultima e quindi i dividendi in favore del governo. È una partita di giro non difficile da comprendere. Se lo Stato emette 100 miliardi al tasso del due per cento e la Banca d'Italia ne sottoscrive 80, vorrà dire che gli interessi annui effettivamente pagati agli investitori non saranno due miliardi ma appena 400 milioni, dal momento che i rimanenti 1,6 miliardi rimarranno nelle tasche dello Stato. Dall'altro la sincerità di Gualtieri sembra però poi trasformarsi in una implicita minaccia: «Per assicurare una rapida discesa del nostro debito potremo tornare a un saldo primario pienamente sostenibile sul piano economico». La frase non chiarissima sembrerebbe decifrabile più meno così: quest'anno l'Italia incasserà meno tasse rispetto a quanto spendiamo (al netto degli interessi sul debito). Ma tranquilli, dal prossimo anno torneremo ad avere un avanzo primario positivo, e quindi torneremo a tassare gli italiani come al solito. Che questo serva ad abbassare il debito è poi una preclara sciocchezza. Basterebbe consultare i dati custoditi al dicastero dello stesso Gualtieri. Nel 1990 l'Italia aveva un debito di 668 miliardi misurati in euro. Da allora fino al 2017 abbiamo cumulato un avanzo primario di 770 miliardi da destinare al servizio del debito (capitale e interessi) che oggi è pari a 2.400 miliardi. In pratica, come se a fronte di un vostro debito di 668 euro nel 1990 - e dopo averne pagati 770 in quasi 30 anni - vi ritrovaste ancora da pagare 2.400 euro. Lo capirà Gualtieri che non è questa la strada?