2022-11-07
Grazie a Gualtieri Roma rischia di perdere 5 milioni per la sua metro
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Il comune amministrato dal sindaco dem starebbe rischiando di perdere gli ingenti fondi già stanziati dal ministero delle Infrastrutture, 5,6 milioni di euro, per la programmazione dell’ampliamento della linea A da Battistini, attuale capolinea, a Monte Mario - Montespaccato, finanziato dal fondo progettazione opere prioritarie. L’assessore Eugenio Patanè smentisce: «È una notizia uscita su alcuni blog, destituita di qualsiasi fondamento».Quello della Roma dei 15 minuti è uno tra i concetti più ricorrenti nel programma elettorale del sindaco Roberto Gualtieri. Una proposta politica e concettuale relativa al trasporto pubblico capitolino e non solo, ribadita in più occasioni durante il primo anno di sindacatura. Un’idea che però sembra nascondere qualche problema.Per essere più chiari Roma starebbe rischiando di perdere gli ingenti fondi già stanziati dal ministero delle Infrastrutture, oltre cinque milioni di euro (5,6 per l’esattezza), per la programmazione dell’ampliamento della sua linea metropolitana. Stiamo parlando del progetto di prolungamento della Metro A, da Battistini (attuale capolinea) a Monte Mario - Montespaccato, finanziato dal fondo progettazione opere prioritarie.Questa la ricostruzione e il retroscena, di un incontro avvenuto lo scorso 3 novembre, tra l’assessore comunale alla Mobilità Eugenio Patanè e alcuni comitati cittadini, fatta e rilanciata dal community «Salviamo la Metro C» su Facebook.L’escamotage per impedire che il denaro già assegnato torni nelle casse dello Stato sarebbe una richiesta di proroga comunale da inoltrare al ministero. Eppure l’assessore Patanè alla Verità respinge le accuse al mittente: «È una notizia uscita su alcuni blog, destituita di qualsiasi fondamento. A tal proposito in quell’occasione pubblica mi sono state fatte alcune domande». Dunque come se ne esce? «Le alternative sono due: nel primo caso riusciamo ad appaltare nei termini (scadenza 30 marzo 2023, ndr) la progettazione dell’ampliamento; oppure chiederò una proroga al ministero». E ancora: «Per il momento non ravviso la necessità di avanzare la richiesta di proroga. Sono molto sorpreso dell’attenzione mediatica degli ultimi giorni sul caso». Tornando all’opera, sulla carta, siamo di fronte ad una rivoluzione infrastrutturale per Roma, che ad oggi sconta un ritardo «secolare» in termini di qualità e quantità nel trasporto pubblico rispetto alle capitali europee. Il nuovo capolinea della Metro A, infatti, sarebbe Bembo. Dove dovrebbe essere realizzata la biforcazione: con i passeggeri, che da una parte, con quattro fermate raggiungerebbero Monte Mario; dall’altra, con tre soste, si troverebbero ad Acquafredda. Tra le poche certezze il costo stimato dell’opera: 900 milioni di euro. Se mai vedrà luce.Ieri sul tema è intervenuto anche il consigliere regionale della Lega, Daniele Giannini: «Solo un anno fa, per tutta la campagna elettorale delle amministrative di Roma, la sinistra come un disco rotto parlava di mobilità sostenibile, di green, di ampliare fasce verdi e Ztl, insomma di lasciare a casa i veicoli privati per incentivare l'uso dei mezzi pubblici, poi veniamo a scoprire che, pur avendo la possibilità e i fondi per progettare il prolungamento della Metro A, siamo a un nulla di fatto». «Purtroppo», ha chiosato Giannini, «siamo abituati alle finte promesse meramente elettorali della sinistra e Gualtieri e Patanè non sono da meno, anzi, oltre al danno la beffa: ora rischiano di vedersi sfumare un'opera infrastrutturale tanto importante, proprio sotto al naso».
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)