
Salsicce, luganeghe e spiedi cotti sul barbecue: sono la passione degli italiani, anche se l'Oms vorrebbe metterli alla gogna. La carne arrostita era adorata da re Alboino e amata dalle corti dei principi. Anche Omero la faceva mangiare ai suoi eroi. Avvertenza ai lettori: questo articolo parla di cibi grassi e salati. Se Onu e Oms pretendono che sia apposta la scritta «Nuoce gravemente alla salute» su prosciutto crudo, grana e olio d'oliva, uguale scritta andrebbe applicata su salsicce, pancetta, luganeghe, costine di maiale e su tutte le succulenti bontà che, poste su una griglia, procurano gioia agli occhi e acquolina in bocca. Onu e Oms si preoccupano per la nostra salute, ma chissà perché vengono a rompere gli zebedei, cosa che fa altrettanto male, anzi malissimo, alle delizie alimentari made in Italy. Chi va avanti a leggere questo articolo, quindi, è consapevole di desiderare un po' di sano masochismo ai ferri. Almeno una volta alla settimana, come pare faccia oltre il 70 per cento degli italiani che durante il periodo estivo lustrano le graticole, accendono la carbonella, mettono sui ferri roventi spiedini, wurstel, salsicciotti, ma anche bisteccone, verdure, pesce. E via col tango: «Straziami, ma di braci saziami». Complici l'estate, la compagnia, il tempo e il luogo, ma ci sono carni che messe su una griglia danno il meglio di sé: le braci sfrigolanti sotto la gratella cavano il massimo del gusto da salamelle, luganeghe, spiedini misti inframmezzati da pezzi d'ortaggio, costate, costolette d'agnello, arrosticini, branzini, seppie, gamberoni... Aromi e sapori diventano particolari, di gran bontà e golosità. L'importante è che l'abbrustolatore o il serial griller del bbq (così i fanatici chiamano confidenzialmente il barbecue) sia avveduto, non abbia fretta di cuocere le carni e, al momento giusto, metta in pratica il consiglio di San Lorenzo che, rivolto agli aguzzini che lo stavano grigliando, suggerì: «Da questa parte sono cotto, giratemi».La storia della carne arrostita inizia quando i nostri pelosi progenitori, scoprendo il fuoco, abbandonarono la dieta crudista e si misero a cuocere carni, pesci e verdure. Prima alla fiamma viva, poi infilzati in rametti appuntiti, poi adagiati su pietre roventi e finalmente, nella tarda età del bronzo, con l'invenzione della graticola, sollevati sulle braci. La carne arrostita nutre le grandi civiltà occidentali e mediorientali, dall'egiziana all'achea, dalla fenicia alla micenea, dall'etrusca alla romana. La Bibbia racconta che, in uno dei momenti fondamentali della storia degli ebrei, quello dell'Esodo, il Signore per bocca di Mosè e di Aronne, alla partenza degli israeliti dall'Egitto, detta la cena della vigilia: carne d'agnello senza difetto abbrustolita al fuoco, con pane azzimo ed erbe amare: «Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco, con la testa, le gambe e le viscere».Budella? Che schifo! Assolutamente no. Il quinto quarto, ripulito, ben trattato e arrostito magistralmente, è squi-si-to. Ancora oggi, in tutte le regioni italiane, viscere e frattaglie ai ferri sono una specialità. Mai assaggiati i fegatelli di maiale, avvolti nella ratta, la rete che avvolge l'intestino del maiale, alla griglia? Consigliamo un viaggio in Toscana per colmare questa grave lacuna nella cultura gastronomica. Chi è al mare in Sardegna cerchi un locale che ha in menu sa cordha, l'intestino di pecora, arrostito allo spiedo o ai ferri. Una bontà. La trippa alla griglia romagnola è altrettanto ricercata dai buongustai. A Verona, nell'epoca d'oro della Balena Bianca, il boccone simbolo del potere democristiano erano i testicoli di toro grigliati che, ogni estate, i notabili gustavano in un banchetto all'aperto in una tenuta nel basso veronese. Anche ad Omero piacevano le frattaglie. Lo testimonia il commediografo Antifane: «Omero né carni né cervello faceva bollire, ma arrostiva gli intestini tanto era antiquato». L'aedo cieco fa mangiare ad Achille, Ulisse, Aiace, Enea ed Ettore, quello che mangiava lui. I pasti dei suoi eroi sono frugali: pane e carne. Ovina, bovina e, apprezzatissima, suina. Le uniche cotture ammesse erano lo spiedo e la griglia. Columella, fattore e scrittore romano del primo secolo dopo Cristo, nel suo ponderoso De Rustica, elenca gli utensili utili nelle spaziose cucine delle ville di campagna. Tra gli altri la craticula, una sorta di braciere con una griglia per arrostire le carni. Petronio, enumerando nel suo Satyricon le portate di una cena di Trimalcione, racconta che, dopo i ghiri cosparsi di miele e papavero, vengono serviti «salsicciotti a sfrigolare su una graticola d'argento» e «chiocciole su una graticola d'argento».Il medioevo è decisamente carnivoro. Unni, Ostrogoti, Visigoti, Longobardi e Franchi invadono la penisola con i canini pronti all'uso. Alla zappa preferiscono l'arco, al lavoro la caccia e la guerra, al raccolto la preda. Alboino e i suoi adoravano le carni arrostite. Carlo Magno, nelle «sole» quattro portate del suo pasto quotidiano, non si faceva mai mancare la selvaggina arrostita. Chi poteva, insomma, si concedeva spesso e volentieri una bella spiedata o una grigliata mista. Passato l'anno Mille e i suoi terrori anche i digiuni e la frugalità dell'ascetismo cristiano vengono stemperati. Un documento dell'abbazia benedettina di San Gallo informa che tra i numerosi e vari cibi che i monaci benedicevano prima di manducare, c'erano caprioli, cinghiali, marmotte, lepri, stambecchi, messi al forno o allo spiedo, e pollastre, piccioni, quaglie, tortore e uccelletti arrostiti ai ferri.Dal medioevo alle corti rinascimentali i gusti non cambiarono. Anzi, si arricchirono di nuove vivande. L'arte coquinaria diventò letteratura prima con Maestro Martino e poi con la schiera dei suoi discepoli ed epigoni. Nel '500 il cuoco Giovanni de Rosselli scrive l'Epulario nel quale insegna il modo di cucinare «ogni carne, uccelli et pesci». Bartolomeo Scappi, nello stesso secolo, dedica una parte della sua Opera, illustrata con 27 tavole, all'attrezzatura che non deve mancare in una cucina come si deve. Fondamentale «il grande fuoco con graticola a ferri grossi e capifuochi che sostengano i legni». Qualche anno prima, nel 1492, con la scoperta dell'America la storia della graticola s'incrocia con quella del barbecue. Fu lo stesso Cristoforo Colombo a raccontare come gli indigeni caraibici cuocevano la carne: su fiamma indiretta. Gli spagnoli chiamarono questo metodo di cottura barbacoa indicando i graticci sui quali veniva cotto il cibo. Altri studiosi dell'alimentazione sostengono che barbecue deriva dall'espressione gallica de la barbe a la queue, dalla barba alla coda. L'avrebbero usata per primi esploratori francesi dopo aver visto una capra cotta intera sulla graticola.Una ricerca dell'Aia, l'azienda agricola alimentare che vende carni da mettere sul barbecue, afferma che fu l'esploratore Hernando de Soto ad assistere alla preparazione di un banchetto a base di carne preparata sul barbacoa dalla tribù Chicksaw: «Una tecnica di cottura che si diffuse in tutte le colonie fino a raggiungere l'attuale Virginia. Il barbecue si diffuse a macchia d'olio, tanto che il territorio che va dalla Carolina al Texas, fin al Midwest di Kansas City, viene oggi identificato come la Barbecue belt (cintura del barbecue)».Ma qual è la differenza tra barbecue o grigliata? Per grigliata s'intende l'uso della gratella sulla quale distendere la carne da cuocere in modo semplice. La marinatura è nostrana: limone, extravergine d'oliva, sale pepe aglio, timo, alloro, rosmarino. Il barbecue è la piastra mobile di invenzione americana che si usa all'aperto con la carbonella. I griller e gli smoker Usa sottopongono la carne a cotture lentissime dopo marinature elaborate: fruttate con succo di mela, di agrumi, menta, o esotiche con yogurt, latte di cocco, aceto piccante, paprika. D'obbligo l'accompagnamento, post cottura, di salse: allo yogurt, all'avocado, nera al worcestershire e, naturalmente maionese e ketchup.
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