2020-12-12
Griezmann divorzia da Huawei: «Spia gli uiguri»
Antoine Griezmann, (Getty images)
L'attaccante non sarà più il volto del colosso cinese, sospettato di produrre un software usato contro la minoranza musulmana.Antoine Griezmann, stella calcistica del Barcellona, interrompe la sua collaborazione con il colosso tecnologico cinese Huawei, di cui era uomo immagine per la promozione dei prodotti di telefonia fin dal 2017. La rottura sarebbe sorta a causa di un documento, inserito sul sito web di Huawei e poi rimosso, in cui si circostanziava la collaborazione dell'azienda con il gruppo Megvii, un'impresa in subappalto specializzata in intelligenza artificiale, allo scopo di produrre un sistema di riconoscimento facciale capace di riconoscere l'etnia di ogni individuo. La notizia, riportata dal Washington Post su segnalazione della società americana Ipvm, ha innescato un'ipotesi plausibile: quella tecnologia potrebbe essere usata in Cina per schedare la minoranza uigura, gruppo etnico turcofono di religione islamica presente nella regione dello Xinjiang, al confine con l'Afghanistan e il Pakistan, che manifesta intenzioni indipendentiste. Il meccanismo sarebbe semplice: il software manderebbe un segnale di allarme alle autorità di Pechino una volta rilevato un membro dell'etnia uigura. Huawei e Megvii sarebbero responsabili, secondo l'indiscrezione, di aver fornito attrezzature, macchine fotografiche, infrastrutture, al fine di perfezionare la capacità del programma di individuare i tratti somatici dei volti. Da qui la reazione di Griezmann. «A seguito dei forti sospetti che Huawei abbia contribuito allo sviluppo di una sistema di segnalazione per gli uiguri utilizzando un software di riconoscimento facciale, annuncio che metto immediatamente fine alla mia collaborazione con questa società», ha scritto l'atleta sui suoi profili social. Non è il primo calciatore a impegnarsi in una polemica con lo Stato asiatico. Qualche anno fa, l'attaccante di origini turche in forza all'Arsenal, Mesut Ozil, si era apertamente schierato a favore della causa uigura, con il risultato che una tv locale cinese aveva oscurato la messa in onda della partita di cartello Arsenal-Manchester City. In questo caso però, la risposta di Huawei è stata più conciliante. «Huawei è rattristata dalla decisione del signor Griezmann di porre fine al suo rapporto con la nostra azienda. Saremmo lieti di avere l'opportunità di illustrargli il lavoro che si sta attualmente svolgendo per affrontare le questioni dei diritti umani, dell'uguaglianza e della discriminazione, per rassicurare lui e tutti i nostri clienti e collaboratori che Huawei prende molto sul serio queste tematiche», esordisce la società attraverso un comunicato. E ancora: «Non sviluppiamo algoritmi o applicazioni nel campo del riconoscimento facciale, ma solo tecnologie per uso generico basate su standard globali nel campo dell'intelligenza artificiale. Huawei non è coinvolta a livello di applicazione del servizio che determina l'utilizzo di una tecnologia nata per scopi generici. I nostri prodotti e soluzioni sono conformi agli standard di settore e ai relativi requisiti legali. Aderiamo inoltre al Global Compact delle Nazioni Unite: esso sancisce tra i propri principi che le imprese devono sostenere e rispettare la protezione dei diritti umani». Si entra poi nel merito del documento svelato dal Washington Post: «Entrando nel merito del rapporto, questo fa riferimento a un test che non è stato utilizzato nella pratica commerciale. Il linguaggio utilizzato nel documento a cui si fa riferimento è del tutto inaccettabile e non è riconducibile a Huawei, che pone la non discriminazione al centro dei propri valori aziendali. Infine, la persona responsabile dell'approvazione del documento non è un dipendente Huawei, ma un subappaltatore». Qualche maligno potrebbe interpretarla in maniera non univoca. Come dire: noi, come Huawei, non abbiamo intenzione di intraprendere ricerche finalizzate a quella dimensione tecnologica, ma qualora quel documento rivelasse il contrario, sarebbe opera di un'azienda in subappalto, la Magvii, non nostra. La questione politica resta calda. Stando a svariati rapporti internazionali, un milione di uiguri sarebbero stati detenuti negli ultimi anni in campi di rieducazione. Pechino nega la cifra e sostiene si tratti di centri di formazione professionale. L'organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto secondo cui gli uiguri arrestati sarebbero stati identificati proprio da un'elaborazione informatica studiata ad hoc. Ma l'intelligenza artificiale applicata alla tecnica del riconoscimento facciale non è una questione solo cinese. Proprio negli Stati Uniti, di recente, non sono mancate polemiche sul tema. A giugno, il ceo di IBM, Arvind Krishna, ha inviato una lettera al congresso americano nella quale affermava che «Non accetterà l'utilizzo di qualsiasi tecnologia di riconoscimento facciale, incluse quelle offerte da altri fornitori, per fini di sorveglianza di massa, profilazione etnica, violazione di diritti umani e libertà. O per altri fini che non corrispondano ai nostri principi di fiducia e trasparenza».
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