2023-08-08
«Il green uccide il lavoro? È giusto così»
Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione Ue dal 2019 (Getty Images)
L’ex braccio destro di Margrethe Vestager ammette: «Se a causa della transizione scompare l’industria bisogna farsene una ragione» La Commissione: «Non è il nostro pensiero». I «ministri Ue» si spaccano tra gli integralisti del clima e chi pensa al voto del 2024.L’industria pesante europea rischia di scomparire a causa delle regole imposte dalla transizione ecologica? «Se scompare, così sia, è evidentemente necessario che succeda. Che senso ha produrre acciaio qui se possiamo acquistarlo spendendo tre volte meno in Indonesia?». Ma questo questo rischia di avere effetti pesantissimi sull’occupazione. Come la mettiamo? «Se seguissimo questo ragionamento, avremmo ancora 40.000 minatori a Liegi. Non facciamoci illusioni. Le economie sono flessibili, si evolvono. Gli urti vengono assorbiti».Il pensiero del belga Pierre Régibeau, l’ex braccio destro del commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager va riportato in modo preciso, serve usare i virgolettati, perché le sue sono parole pesanti che stanno facendo e faranno sicuramente discutere. Régibeau non è uno dei tanti «oscuri» funzionari di stanza a Bruxelles, ma è uno degli economisti più influenti che ha lavorato per anni (ha lasciato da pochissimo) in un delle funzioni cruciali dell’Unione, quella legata alla concorrenza sul mercato. Tanto per intenderci è la persona al cui posto la Vestager aveva proposto l’americana Fiona Scott Morton suscitando una mezza rivolta non solo perché la Morton non è europea, ma anche perché aveva fatto da consulente di colossi come Amazon, Apple e Microsoft. Le dichiarazioni di Régibeau, rilasciate in un’intervista a L’Écho, danno il senso chiaro del pensiero integralista che ha dettato la linea a Bruxelles in questi anni e che nella sostanza ha imposto l’allarme green prima di ogni altra cosa, prima della sopravvivenza dell’industria e quindi prima anche della sopravvivenza dei posti di lavoro. Al punto che Régibeau ha criticato le volontà protezionistiche che si stanno manifestando in Europa e che per ceti versi una parte della Commissione sta avallando. Ecco, l’economista belga fa senz’altro parte di quel «gruppo integralista» dell’ambiente che secondo il guru dell’auto e presidente dell’associazione europea dei costruttori Luca De Meo guarda al futuro in modo miope, ci costringe a giocare 11 contro 15 con la Cina e sta mettendo in ginocchio l’industria delle quattro ruote. Comunque, che questo fosse il pensiero forte della Commissione l’avevamo capito dalle varie direttive su casa, auto, imballaggi, alimentare e natura che ci stanno perseguitando, ma l’intervista ha anche un secondo merito, se così possiamo chiamarlo: evidenzia la spaccatura che sul tema si sta consumando a Bruxelles. A stretto giro, infatti, è intervenuto Margaritis Schinas, che dal 2019 è vicepresidente della Commissione, dopo esser stato portavoce della Commissione Juncker dal 2014 al 2019. In un tweet lapidario il politico greco ha preso le distanze da Régibeau: «Tali opinioni possono costituire buoni titoli ad agosto, ma in nessun caso rappresentano la Commissione. Ci sono voluti una pandemia e una guerra per rendersi conto che l’Europa ha bisogno di una solida capacità industriale e di autonomia strategica».Che la Commissione si sia ravveduta? Più che a una presa di coscienza viene naturale pensare che ci si trovi di fronte a un calcolo elettorale. Il prossimo anno ci sono le elezioni e tra i commissari a Bruxelles è partito il «si salvi chi può». Come ha documentato La Verità pochi giorni fa la stessa Vestager ha sbloccato miliardi di aiuti di Stato per Parigi e Berlino, premiando i governi che daranno le carte dopo il voto. Un dato su tutti: nell’ultimo anno sono stati autorizzati 700 miliardi di aiuti di Stato con un solo progetto bocciato, mentre nel 2015 c’era stato il via libera per appena 98 miliardi con 20 proposte fermate. Non solo. Da qualsiasi sondaggio viene fuori un dato: i cittadini ne hanno le scatole piene delle imposizioni e delle nuove spese che sono costretti ad affrontare a causa delle direttive Ue. Insomma se socialisti e Verdi vogliono riportare a casa la pagnotta bisogna cambiare linea, far capire che a Bruxelles stanno prevalendo toni più concilianti rispetto alla svolta green e che gli interessi di industria e occupazione non possono essere messi in secondo piano. Esattamente l’opposto di quello che ha sentenziato l’ex braccio destro della Vestager e l’opposto di quello che ha sostenuto in questi anni Frans Timmermans, il vicepresidente della Commissione e «padre» del gigantesco pacchetto ambientalista che da candidato presidente in pectore per la prossima tornata europea è diventato all’improvviso il nome da spendere in patria per guidare una coalizione tra Socialisti e Verdi nei Paesi Bassi. Alcune votazioni, in primis quella sulla cosiddetta normativa per il ripristino della natura che in nome della tutela dell’ecosistema rischia dare un’altra «stangata» alle produzioni degli agricoltori, hanno evidentemente aperto gli occhi ai politici più «scafati». Se andiamo avanti di questo passo - è il ragionamento - la maggioranza Ursula (Ppe e Socialisti) si spappola e si gettano i popolari nelle braccia della destra. Meglio per adesso moderare i toni e prendere le distanza dagli «integralisti» del clima. Tanto dopo il voto si fa sempre in tempo a inscenare una nuova giravolta.
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