2023-05-17
Adesso a Rezza scappa la verità. Il green pass non serviva a niente
L'ex ministro della Salute Roberto Speranza (Ansa)
L’ex dirigente del ministero, ormai in pensione, ammette: «Con Omicron sono quasi sparite le polmoniti gravi». Solo che, dopo la sua comparsa, il governo Draghi impose l’apartheid basato sulla tessera. E difeso dai tecnici.Ci vorrebbe Peter Griffin, linguacciuto protagonista di un noto cartone animato, che se non crede ai suoi occhi bofonchia: «Momento, momento, momento…». Si resta esterrefatti, come lui, a leggere le dichiarazioni di Gianni Rezza al Giornale: «Da quando è arrivato Omicron il virus ha un altro volto. Si è diffusa un’immunità ibrida (infezione e vaccini) e di polmoniti ne girano veramente poche». Momento, momento, momento: su questo giornale non scrivevamo che il vero vaccino era stato la variante sudafricana? Il ceppo comparve a novembre 2021, poco prima che il governo guidato da Mario Draghi decidesse che non gli bastava il green pass: ci voleva il super green pass. Quello consesso solo ai vaccinati - purché in regola con il richiamo - o ai guariti - purché, se si erano infettati da oltre sei mesi, porgessero anche loro il braccio. Chi non ce l’aveva, veniva bandito dalla vita in comunità. Dal 10 gennaio 2022, gli veniva vietato l’ingresso ovunque: treni, aerei, bus, metro, ristoranti all’aperto, impianti sciistici, hotel. Un clandestino in patria. Il ragionamento dell’ex direttore generale della Prevenzione al ministero, però, può significare soltanto una cosa: che l’imposizione dell’apartheid vaccinale non serviva a niente. Che il regime della carta verde era inutile ai fini del contenimento dei contagi - s’era già capito con Delta, capacissima di bucare lo scudo offerto dai farmaci a mRna - e ai fini della protezione dalle conseguenze gravi del Covid. Tranne che per anziani e fragili, Omicron era un virus blando. I tecnici lo sanno. I politici se ne sono resi conto. Entrambi, a quanto pare, ne erano già al corrente, all’epoca dei fatti. Eppure, gli uni hanno voluto non soltanto mantenere la tesserina con il codice a barre, ma addirittura renderne più stringente la disciplina; gli altri l’hanno difesa a oltranza. Draghi non s’è mai rimangiato la balla di luglio 2021: «Il green pass è la garanzia di trovarsi tra persone che non sono vantaggiose». Roberto Speranza, ancora il 14 febbraio 2022, sosteneva che l’obbligo di esibire la carta verde nei luoghi di lavoro era una «strategia giusta». E proprio Rezza, ad aprile 2022, aveva avuto il coraggio di proclamare: «Il green pass ha svolto egregiamente la sua funzione. È stato un ottimo strumento per diminuire il rischio di contagio nei luoghi chiusi». Per fortuna o purtroppo, le bugie hanno le gambe corte. La verità, quantunque in maniera involontaria, prima o poi viene a galla. Ricordiamo, per inciso, che a questi signori e ai loro autorevoli pareri si sono affidati i giudici della Consulta, nel salvare la costituzionalità dell’obbligo vaccinale per i sanitari. Il vaccino che aiutava a diminuire le infezioni, il Qr code ci consentiva di tornare in sicurezza alla vita normale… Due delle tante balle sesquipedali che gli oracoli del Covid ci hanno raccontato. Perseguitandoci a sfregio, nei mesi in cui sarebbe bastato lasciarci immunizzare naturalmente, per contatto con un virus che ormai aveva «un altro volto».Il bilancio dell’esperto, andato in pensione nel giorno in cui l’Oms ha dichiarato la fine dell’emergenza, riserva pure altri spunti succosi. A domanda sull’indagine di Bergamo, che vede indagati, tra gli altri, Giuseppe Conte e Speranza, Rezza risponde: «Non entro nei fatti giudiziari», ma «quando il Cts mi convocò dissi che serviva subito la zona rossa» nella Val Seriana. Un «atto dovuto», con il quale «sembravano tutti d’accordo. È mancata la decisione politica». Nulla di nuovo rispetto a quanto l’ex dirigente aveva spiegato alle toghe, che lo avevano sentito come teste. Benché, il 18 giugno 2020, Rezza avesse precisato che Giuseppi gli pareva «dubbioso» sull’idea di isolare i Comuni dei focolai. Ma poco importa. Il punto è un altro. O i tecnici hanno svolto in modo inappuntabile il loro mestiere e chi ricopriva ruoli di responsabilità li ha snobbati; oppure i politici si fidavano dei tecnici, che però erano pasticcioni e divisi; o entrambe le circostanze. Di sicuro, non possono essere vere contemporaneamente le versioni di Rezza e di Speranza: il primo, per il quale gli scienziati sarebbero stati impeccabili nelle raccomandazioni e che gli errori sono stati colpa dei decisori politici; il secondo, che sostiene di aver sempre e solo «seguito la scienza». Dalle carte dell’inchiesta emerge un quadro ben più fosco. Da un lato, i cervelloni brancolavano spesso nel buio (l’allora sottosegretario, Sandra Zampa, avrebbe definito «non all’altezza» i funzionari ministeriali) e bisticciavano tra di loro (proprio Rezza paragonava il Cts a «una mafia»). Dall’altro lato, i politici, avendo compreso che potevano cavalcare la pandemia, cercavano di manipolare la scienza. Anche perché, dall’altra parte, non trovavano personalità che mantenessero la schiena dritta. Clamorosi, ad esempio, gli ordini di Speranza al capo dell’Iss, Silvio Brusaferro: chiudere le scuole, vietare i funerali, non dare alla gente «troppe aspettative positive», così da giustificare un lockdown più lungo. Su una cosa, comunque, Rezza è lucido: un processo penale è esagerato? Vada per una «commissione d’indagine tecnica». Ecco: in Parlamento è stata appena creata una cosa simile. Si faccia in modo che funzioni. Almeno quella. Che c’è da temere? È andato tutto bene, no?
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)
Nel riquadro: Ferdinando Ametrano, ad di CheckSig (IStock)