2025-02-17
Grazie al Pnrr stanno devastando il verde pubblico
Sei milioni di alberi da piantare in città perlopiù a guida Pd: il progetto Draghi per «salvare il territorio dal cambiamento climatico» ha prodotto solo abbattimenti massivi e ripiantumazioni flop. Con la compiacenza dell’Ue.Altro che boschi urbani: la giunta capitolina ha segato pini a iosa su parere di «esperti» Ma i numeri di questa ecatombe non sono stati ancora resi pubblici. Esposto della Lega.L’agronomo di fama internazionale Daniele Zanzi: «Stanno privando figli e nipoti di un servizio ecosistemico cruciale, un abbaglio clamoroso. Urgono interventi concreti, non ideologici. Milano e Roma le città messe peggio».Lo speciale contiene due articoliLa rivoluzione verde inserita nel Pnrr approvato a luglio 2021 era stata accompagnata dalla solita grancassa dei media: com’è bravo Mario Draghi, com’è lungimirante questo governo dei «migliori» nel destinare, in piena pandemia, più di un terzo dei fondi del Pnrr (il 37 per cento, 59,47 miliardi di euro) al verde anziché alla salute pubblica; e guai a sollevare un sopracciglio, pena l’infame marchio di «complottista». E com’è virtuoso SuperMario che spende tutti questi soldi (nostri, ça va sans dire) per salvare il territorio e cercare di contrastare i temibili «cambiamenti climatici». Sono passati quattro anni e i contraccolpi di quell’enorme abbaglio patrocinato dal governo dell’ex banchiere sono sotto i nostri occhi: il patrimonio verde italiano è stato intaccato, con conseguenze che non si limitano alla deturpazione di quel paesaggio che faceva dell’Italia la nazione più bella del mondo, ma anche all’impatto ambientale misurato sulla base di criteri scientifici (la malagestione del verde danneggia la salute dei cittadini). Per non parlare del danno erariale: l’abbattimento selvaggio di centinaia di migliaia di alberi monumentali nelle più importanti città italiane è una stoccata alle casse statali, defraudate dell’oro verde. Come è potuto accadere?Tra gli obiettivi della rivoluzione verde c’era quello di piantare in 14 città metropolitane, quasi tutte a guida Pd o liste civiche di sinistra (Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia) ben 6,6 milioni di alberi entro il 2024 «per combattere la perdita di biodiversità e gli effetti dei cambiamenti climatici». L’avviso pubblico per aderire ai bandi è del 30 marzo 2022, il budget dell’operazione è di 330 milioni di euro, 50 euro per ogni albero piantato. I tempi sono stretti: bisogna mettere a dimora almeno 1 milione e 650.000 alberi entro il 2022, altrettanti entro il 2023, il resto nel 2024. Presto gli amministratori italiani scoprono che tutti quegli alberi da piantare non sono disponibili. Il 18 maggio 2022, il colpo di genio: il ministro dell’Ambiente e della Transizione ecologica Roberto Cingolani conferma che nel conteggio degli alberi sono inclusi anche i semi; si equipara di fatto il valore ecosistemico di una ghianda a quello di una quercia adulta. Obiettivo: raggiungere i target del Pnrr entro fine anno. Il governo Meloni entra in carica il 22 ottobre 2022; il giorno prima Cingolani stipula una convenzione con Umbraflor, piccola azienda umbra specializzata in cipressi, olmi, noccioli e pioppi, che diventa di fatto fornitore unico di tutte le città metropolitane italiane per l’acquisizione di semi e piantine. Soltanto il 14 marzo 2023 la Corte dei Conti obietta che piante e semi non sono esattamente la stessa cosa, ma a questo punto il MiTe comunica che anche la Commissione europea ha dato il via libera all’improprio scambio tra piante e semi: è sufficiente che i semi («postime») siano certificati. La certificazione è di competenza delle Regioni che possono delegare, a loro volta, vivai pubblici e privati; la certificazione può essere rilasciata attraverso un’autodichiarazione. Oste, il vino è buono?C’è poi la questione delle superfici disponibili: sulla carta l’obiettivo dell’investimento è di sviluppare boschi urbani, in realtà molte aree si rivelano non idonee e sono limitate da vincoli urbanistici. Risultato: anziché riforestare zone cementificate gli amministratori, con l’alibi del principio di precauzione («potrebbero cadere», «potrebbero ammalarsi») buttano giù il verde esistente per poi ripiantarlo. E menomale che tra gli obblighi specifici del Pnrr vige il principio di «non arrecare un danno significativo» (Do no significant harm - Dnsh), tanto simile al «primum non nocere» già disatteso in pandemia.Roma, governata da Roberto Gualtieri (Pd) è certamente la città più massacrata con la distruzione di olmi, platani, lecci e pinus pinea sani, i famosi pini romani, in via di sparizione dalla skyline della capitale: perfino il New York Times ha lanciato l’allarme, finora inascoltato. Ma anche Milano e Torino non sono da meno: nella città guidata da Beppe Sala si moltiplicano i comitati cittadini che protestano contro la distruzione di querce centenarie, cedri, tigli, glicini. Nel capoluogo piemontese, le associazioni civiche hanno trascinato il Comune in tribunale, denunciando la scomparsa del Parco del Maesino. A Bologna è in atto una vera deforestazione urbana, accusa il Wwf citando il caso del Parco Don Bosco e di molte altre zone (ad esempio il Parco Paleotto) della città piddina che pur si professa green. A Napoli è stata disboscata la suggestiva collina di Posillipo; impazzano i disboscamenti illeciti nel Parco del Vesuvio e a Giugliano. A Firenze sotto attacco Monte Morello ma anche Viale Giannotti, con buona pace dello «scudo verde» (sic) approvato dalla giunta di Palazzo Vecchio: tutta propaganda. Il problema è che per la cura del verde esistente non c’è un euro e non c’è cultura: al posto delle potature gli amministratori procedono con traumatiche capitozzature, semi e giovani arbusti piantati non sono manutenuti. La fallanza ufficialmente è del 30 per cento entro il primo anno, entro il secondo anno muoiono quasi tutte.Da non dimenticare, infine, che l’Italia sta sacrificando un patrimonio verde che ha un valore non soltanto ecosistemico, ambientale e paesaggistico ma anche erariale: a Roma il valore di ogni albero monumentale tirato giù è (sotto)stimato a 30.000 euro l’uno. Basta fare due conti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/grazie-al-pnrr-stanno-devastando-il-verde-pubblico-2671164538.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gualtieri-falcia-e-nasconde-la-mano" data-post-id="2671164538" data-published-at="1739700658" data-use-pagination="False"> Gualtieri falcia e nasconde la mano Gli effetti della malagestione del verde per gli effetti del Pnrr sono evidenti in tutte le città italiane ma nella più iconica, la capitale, sono visibili a occhio nudo. Il famoso pino romano o pinus pinea celebrato anche da Ottorino Respighi sta scomparendo. Il Comune di Roma dal 2021 sta procedendo a ritmo serrato a una manutenzione del verde sintetizzabile in due passaggi: capitozzatura, abbattimento. Il sindaco Roberto Gualtieri del Pd in campagna elettorale aveva promesso «un milione di alberi»: è finita che da settembre 2021 a settembre 2023 ne ha fatti abbattere 17.825 e ne ha ripiantati solo 2.403, cambiando di fatto i connotati alla capitale. Secondo il sindaco, però, non c’è alcuna emergenza: gli alberi sono semplicemente arrivati «a fine ciclo vita», come ha detto a un gruppo di cittadini inferociti dopo la morte di una donna di 82 anni nel quartiere Monteverde per la caduta di un olmo che pur era stato segnalato, invano, dai residenti. Secondo Gualtieri, «Roma ha un parco alberi un po’ vecchio. Molti alberi sono vecchiotti e non sono stati potati». Detto, fatto: le ditte esterne incaricate della manutenzione del verde a Roma, che si occupano contemporaneamente dell’accertamento della salute degli arbusti e anche del loro costoso abbattimento (a seguito di diagnosi - ciclostilata - di «morte in piedi») hanno proceduto con le famigerate «capitozzature», che agli alberi hanno dato il colpo finale. «Un’amministrazione ha il dovere di seguire il consiglio degli scienziati e degli agronomi», si è difeso Gualtieri. Ma chi sono questi esperti? Non si sa. Il sistema esternalizzato alle ditte del verde appare fuori controllo. Interrogata pubblicamente dalla Verità qualche mese fa, l’assessore Sabrina Alfonsi non ha mai replicato: alla faccia della trasparenza. Così come non è pubblico il numero esatto di alberi abbattuti dal 2023. Nonostante i molteplici accessi agli atti, il dipartimento Ambiente Servizio Giardini sta negando la trasparenza ai consiglieri e alle associazioni: sono ampiamente scaduti i 30 giorni per l’accesso ai dati ufficiali e aggiornati degli abbattimenti da settembre 2023 a febbraio 2025. Il Comune avrebbe l’obbligo di renderli pubblici ma non lo fa, e per questo sta per arrivare sulla scrivania del sindaco un esposto-denuncia del capogruppo della Lega capitolina e membro della commissione Ambiente Fabrizio Santori. I riferimenti normativi e giuridici più importanti che afferiscono alle infrazioni reiteratamente riscontrate a Roma sono molti. Si parte dall’art. 734 del Codice penale (distruzione o deturpamento di bellezze naturali), alla legge n. 10 del 14 gennaio 2013 (norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani e, art. 7, disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberature di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale), poi c’è la legge n. 157 del 1992 sulla tutela della fauna selvatica (divieto di abbattimento degli alberi e degradazione degli spazi verdi, vietato nel periodo delle nidificazioni, anche se a Roma i pini del Pincio sono stati abbattuti proprio in quel periodo), passando per il Dm n. 3 del 10 marzo 2020 (divieto di capitozzatura e criteri minimi ambientali). Ma basterebbe che si rispettasse il Regolamento capitolino del verde pubblico del 2021 sui pini, giganti del paesaggio romano, ritenuti oggetto di tutela, anche ai fini del loro ripristino, «in quanto caratteristici di determinati periodi storici» e soprattutto «specie identitaria del paesaggio romano». Ormai in via di scomparsa. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/grazie-al-pnrr-stanno-devastando-il-verde-pubblico-2671164538.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="in-nome-dellambiente-distruggono-lambiente-e-un-suicidio-collettivo" data-post-id="2671164538" data-published-at="1739700658" data-use-pagination="False"> «In nome dell’ambiente distruggono l’ambiente: è un suicidio collettivo» «Hanno distrutto l’ambiente in nome dell’ambiente». Non poteva essere più perentorio Daniele Zanzi, agronomo di fama internazionale, tra i massimi esperti di alberi monumentali (per i suoi restauri botanici si è guadagnato gli elogi della Regina Elisabetta). La situazione è così drammatica? «Sì. Le poche statistiche cui abbiamo accesso non rendono l’idea. Per non parlare dei benefici ecosistemici di cui siamo stati privati». Si sradica per ripiantare alberi simili, oltretutto in zone già verdi. Che senso ha? «Nessuno, né logico né scientifico, senza contare che distruggono anche tutte le vite associate: fauna, funghi, microrganismi. Oggi gli alberi si piantano per i benefici ecosistemici riconosciuti. Il sindaco di turno obietta: “Cosa volete? Abbatto un albero e ne ripianto dieci”. Ma una pianta adulta ha un valore nettamente superiore rispetto a quello di un giovane albero». I soldi del Pnrr a cosa servono, allora? «A creare lavoro. È passato un Frecciarossa pieno di soldi e i nostri amministratori sono saliti in corsa per arraffare più denaro possibile. Il green è una religione ma servono interventi concreti, non ideologia. L’ambiente non si salva mettendo semplicemente a dimora nuove piante». In compenso quelle mature le abbattono. «Cito il professor William Moomaw: per compensare il valore di un solo albero abbattuto di 80 anni di vita bisognerebbe mettere a dimora più di 3.000 nuove piante di circonferenza del tronco non inferiore a 14 cm, affinché svolgano una buona funzione fotosintetica fin dal momento della messa a dimora». A Roma hanno tirato giù migliaia di alberi e pini secolari. Secondo Gualtieri erano arrivati a fine ciclo vita. «La morte di una pianta non è mai improvvisa, le piante deperiscono lentamente. La morte improvvisa avviene solo per opera di una motosega». C’era il rischio che fossero malate. «Io ho 71 anni, sono entrato in una fase a rischio della mia vita, ma non vorrei mai che, per precauzione, qualcuno domani mi facesse un’iniezione (ride)». A Roma qualche albero è caduto, due donne sono morte. «Un conto è morire perché l’uomo ha potato male un albero, ma le statistiche dicono che le morti collegate direttamente alla caduta improvvisa di un albero sono tra 6 e 8 l’anno in tutta Italia. Nel 70% dei casi, parti dell’albero cadono per manutenzione non corretta. L’altro 30% è dovuto allo sradicamento intero della pianta per danni sull’apparato radicale provocati dall’uomo, ad esempio scavi per il rifacimento del manto stradale». Dunque è l’uomo che non sa prendersi cura del verde? «Guardi, io ho fatto abbattere alberi quando era necessario. Ma sono le compagnie assicurative a dirci che il rischio che un albero cada per conto suo è infinitesimale. Un poeta shakespeariano scrisse della quercia di Robin Hood: “Questa pianta ci ha messo 300 anni per crescere, 300 anni per vivere e le ci vorranno 300 anni per morire”». Una morte dolce... «Se qualcuno mi spara al cuore, io muoio subito. Le piante invece, decentrando le proprie attività vitali, impiegano anni prima di morire. È un meccanismo di sopravvivenza incredibile che noi non abbiamo. Le piante sono comparse 400 milioni di anni fa e si sono adeguate a tutte le situazioni. Si chiama crescita adattiva, è un meccanismo formidabile. L’uomo invece vuole imporre la propria velocità, ma la natura non ama la velocità». I pini di Roma hanno all’incirca 80 anni. «Dire che sono a “fino ciclo vita” è ridicolo! Alcuni pinus pinea a Varese hanno 200-250 anni, ci sono sequoie di 3.000 anni. Applicare alle piante i parametri medici e sociali che applichiamo a noi umani è completamente fuorviante». Quindi il progetto del Pnrr di sostituirle è un abbaglio clamoroso? «Sì: ci stiamo privando di un patrimonio incredibile». Il Pnrr è stato vagliato nei dettagli dal governo Draghi. Possibile che nessuno dei «migliori» sia intervenuto? «C’era dietro una montagna di quattrini e un’estrema ignoranza, nel senso latino di “non conoscenza”: sono stati stanziati miliardi per riqualificare piantando il nuovo, ma neanche un euro in progetti di conservazione dell’esistente». Il governo di allora si era impegnato a piantare alberi che però non erano disponibili. Cingolani disse che potevano essere piantati anche semi, con l’avallo dell’Ue. «Un raggiro. Ci vogliono 48.000 semi per compensare il valore ecosistemico di un albero maturo abbattuto... faccia i calcoli». Ci stanno suicidando? «Stiamo privando figli e nipoti di un servizio ecosistemico cruciale. È un suicidio collettivo». Come tutelare l’ambiente? «Mettendo le piante in condizioni di essere vigorose e smettendola con alcuni tipi di potature». Delle 14 città metropolitane coinvolte nel progetto del Pnrr, quali stanno peggio? «Sicuramente Roma e Milano».
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
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