2024-06-08
La nuova battaglia con i turchi è per il grano
Mietitura del grano a Sanliurfa, Turchia (Getty Images)
L’ingegner Antolini, leader mondiale della produzione di molini, lancia l’allarme su Ankara: «Non hanno nessuno scrupolo, stanno colonizzando l’Africa centrale. Va attuato il piano Mattei». Coldiretti rincara la dose: «Vendono merci contaminate».Con una battuta si potrebbe dire che Lepanto non ha insegnato nulla. Nel nostro sistema agroalimentare è un passaparola incessante: mamma li turchi! Ci stanno invadendo con i pistacchi avvelanti da aflatossine, nocciole taroccate, ma soprattutto con il loro grano, che proprio tutto loro non è, e ci stanno erodendo il mercato della pasta. Se ci si sposta dalla dispensa allo specchio l’allarme è ancora più grave. Il sistema moda è alle prese con un dumping turco che abbassa del 75% i prezzi degli abiti. La Confartigianato delle Marche, per esempio, ha annunciato di aver perso in cinque anni 1412 imprese, un quarto del comparto moda, proprio a causa della concorrenza che viene da est e dalla Turchia in particolare. Tornando alla tavola la Coldiretti ha bloccato nel porto di Bari la porta-rinfuse Alma. Batte bandiera turca, è carica di grano, ma è una delle navi fantasma che stanno triangolando, aggirando le sanzioni, il grano russo e anche quello ucraino su cui Recep Tayyp Erdogan ha messo le mani essendo stato il garante dell’accordo Black Sea Grain che ha permesso l’uscita del prodotto ucraino dal porto di Odessa. Finito direttamente nei silos turchi. Per Coldiretti l’allarme sui prodotti d’importazione è pressante. Sono 208 le allerte sanitarie notificate in Italia tra gennaio e inizio giugno. Quasi un quarto, rileva Coldiretti, viene dalla Cina che è quella che spaccia più cibi contaminati seguita dalla Spagna e dalla Turchia che però triangola praticamente tutti i prodotti dei paesi asiatici. In particolare l’offensiva di Ankara è su grano e pasta. «È una situazione» spiega l’ingegner Alberto Antolini «che si è fatta molto preoccupante. È una decina di anni che vediamo i turchi sempre più aggressivi, ma adesso stanno conquistando con la loro pasta tutta l’Africa centrale. Sono i nostri primi concorrenti e giocano alla turca: cioè senza scrupoli».L’ingegnere, riminese di carattere e di nascita, opera a Cremona a capo della Ocrim, ottanta anni di leadership mondiale nella costruzione di molini soprattutto per grano e mais. Si può dire che là dove si fa uno spaghetto c’è una macchina Ocrim. «Il fatto è che gli spaghetti ora li fanno i turchi a cui alcuni dei nostri fabbricanti hanno ceduto macchine e know how e loro ci ripagano buttandoci fuori dai mercati o conquistandone di nuovi». Il tema è legato anche alla fame dei paesi centro-africani. «Com’è ovvio» spiega Antolini «noi ci muoviamo soprattutto su mercati poveri dove dopo il riso arrivano il mais e il grano per il pane. Il tema è che i turchi hanno fatto incetta di grano, ne producono anche molto, vanno in questi paesi e li colonizzano con il loro prodotto, con le loro farine e li fanno diventare dipendenti da loro. Lo step successivo è vender loro la pasta che ha un margine di guadagno superiore ed è il secondo scalino di consumo una volta superata la soglia della fame». I dati dicono chiaramente dell’avanzata turca. Noi produciamo circa 3,7 milioni di tonnellate di pasta (più o meno un quarto del mercato mondiale) ma i turchi in pochi anni sono diventati i secondi produttori con 2,2 milioni scavalcando anche gli Usa. «Hanno un vantaggio competitivo per noi poco superabile» spiega Antolini «se non facciamo valere le nostre prerogative: loro la pasta la fanno miscelando a una percentuale minima di semola di grano duro, farina di grano tenero e altre farine. Da noi c’è la legge 187 che ammette al massimo il 4% di farina di tenero, ma nessun italiano mangerebbe mai una pasta che non fosse al 100 per cento di grano duro. Questa caratteristica però non l’abbiamo protetta, né raccontata al mondo». Il risultato è che noi quest’anno siccome produrremo il 70% in meno di grano duro in Sicilia e il 20% in meno in Puglia importeremo come primo cliente il grano duro turco (che in realtà è triangolato dalla Russia) perché i turchi sono diventati con 4,3 milioni di tonnellate il secondo produttore mondiale. In realtà lo stanno anche comprando ovunque a prezzi stracciati, oltreché in Russia, in Kazakistan e in Turkmenistan, fanno dumping sulle quotazioni delle commodity, lo stoccano per poi liberarlo sul mercato secondo convenienza. Perfino i colossi americani stanno piantando grano ovunque per cercare di contenere l’offensiva turca e sostenere i prezzi. In dieci anni Ankara è passata da 42 tonnellate vendute all’estero a 1,3 milioni, il 40% lo compra l’Italia! «Questo» sottolinea l’ingegner Antolini che esporta il 98% della propria produzione di macchine per molitura con un fatturato della Ocrim attorno agli 80 miliardi «è il presupposto per la conquista dell’Africa. Loro arrivano portano le loro macchine, il loro grano, fanno la loro pasta e rendono il paese talmente dipendente. I turchi si muovono con dietro lo Stato che li finanzia e apre loro la strada attraverso accordi e pressioni diplomatiche. Noi non abbiamo fatto nulla di tutto questo sinora». Antolini una strada la indica: «È il cosiddetto piano Mattei, ma che è assai diverso da come viene raccontato. Noi stiamo cercando di creare le condizioni perché i paesi africani, penso ad esempio al Ghana, acquisiscano le capacità produttive agricole e di trasformazione autonome che li fa diventare nostri partner; non c’è logica di conquista, semmai di sviluppo comune. Ma questa logica appartiene solo al nostro mondo agricolo e agroalimentare. Bonifiche Ferraresi guidate da Federico Vecchioni interpreta così il piano Mattei ed è tuta la filiera che si muove: noi con le tecnologie e le macchine, loro con la ricerca sulle sementi e le tecniche agronomiche, le nostre filiere con il supporto di mercato e di distribuzione, ma siamo in larga misura da soli a “combattere” sul mercato. I turchi invece arrivano con logica potrei dire coloniale, sfruttano quanto possono e ci sfrattano». Il tema è posto. Magari non serve una nuova Lepanto, ma ricordarsi dell’allarme, mamma li turchi, sì.