2024-10-10
Diesel, banche, case. Premier costretta a intervenire contro il tira e molla
Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)
Video della Meloni: «Non alzeremo le tasse». Giorgetti obbligato a spiegare meglio le sue parole: «Il gasolio non salirà per i Tir».Siamo stati facili anticipatori. L’audizione di Giancarlo Giorgetti di martedì sera è finita sui giornali nel modo peggiore possibile. Per il governo. Il messaggio passato è stato semplice. Chi ha usufruito del Superbonus e degli altri incentivi casa vedrà alzarsi la rendita catastale e di conseguenza pagherà più tasse. In realtà già nelle repliche all’audizione il ministro aveva specificato che il suo intervento era da intendere in altro modo. Cioè, si alzeranno le rendite solo per quelle case ristrutturate che saliranno di classe. Beh, che dire.... è già esattamente quanto prevede la legge. Insomma, come abbiamo titolato ieri il pezzo («Giorgetti alza l’Imu per mezz’ora») e poi avremmo dovuto aggiungere: «Specifica che farà rispettare la legge». Ci mancherebbe altro. Abbiamo invece preferito concentrarci su un altro concetto: l’aumento delle accise sul gasolio. Aumento non per una mezz’ora ma per sempre. Anche qui però il ministro Giorgetti ha ritenuto di intervenire ieri con una forma di autoesegesi che ormai sta diventando un genere letterario. Ha spiegato, sollecitato dalle polemiche delle associazioni di categoria, che l’aumento del prezzo del carburante diesel non riguarderà gli autotrasportatori, elemento assolutamente omesso nel corso dell’audizione. Così ieri è di nuovo intervenuto il sottosegretario Federico Freni per rilasciare una serie di dichiarazioni rassicuranti: «Nessuna tassa sulle case». Seguendo un copione simile a quello della scorsa settimana quando lo stesso Freni fu chiamato a fare l’esegesi dell’intervista video (pre registrata) del ministro proiettata nel corso dell’evento Bloomberg di fronte a un consesso di banchieri. In quell’occasione Giorgetti chiese sacrifici facendo poi scatenare la ridda di polemiche sui cosiddetti extraprofitti. Polemiche tutt’altro che spente da Matteo Salvini che in occasione di Pontida ha pensato bene di sintetizzare: «Se serve per la manovra, a pagare siano i banchieri». Benzina sul fuoco dei rapporti già tesi tra Forza Italia e Lega. Antonio Tajani ha espresso più volta la sua idea sul tema. Gli istituti e la finanza aiutano il tessuto produttivo e non vanno penalizzati. Messaggio inviato dall’azzurro anche a Palazzo Chigi dove era nata lo scorso anno l’idea degli extraprofitti. Sembra che si stia creando un triangolo poco piacevole. Al centro del quale si posiziona la finanza del Nord. Banche e assicurazioni sono disposte a fornire un contributo una tantum per la manovra, ma in cambio desidererebbero modifiche alla legge capitali (lista del cda e soprattutto voto plurimo) prima che questa entri in Gazzetta a modificare il Tuf, il Testo unico della finanza. Sono temi che sfuggono a una certa platea che sicuramente è più attenta al prezzo del gasolio o al bollettino dell’Imu, ma sono al contrario temi che influiscono molto sull’agenda politica. Così non c’è da stupirsi che le tensioni facciano salire i toni delle dichiarazioni e quindi un po’ anche la confusione. Una confusione che ha modificato pure l’agenda del premier. Ieri a metà pomeriggio Giorgia Meloni è apparsa sui canali social per tirare una linea. «Leggo in queste ore dichiarazioni fantasiose secondo cui il governo vorrebbe aumentare le tasse che gravano sui cittadini. È falso. Questo lo facevano i governi di sinistra. Noi le tasse le abbassiamo. Noi resteremo fedeli al nostro impegno: lavorare per una manovra che rilanci l’economia, migliori la vita degli italiani, senza chiedere loro nuovi sacrifici». Partita chiusa? La sensazione è che fino alla fine della prossima settimana le fibrillazioni e il detto/non detto andranno avanti. Prima del 20 ottobre non ci sarà un testo scritto. Ciascun partito prova a tirare la giacchetta ai numeri. Mentre il ruolo di Giorgetti potrebbe essere quello di comunicare in modo netto ai mercati la strategia del taglio del debito e del deficit. Quando il ministro sottolinea i 100 punti di spread guadagnati (cioè ridotti) in poco tempo sembra comunicare direttamente al mercato che è quello che andrà a comprare azioni dalla vendita di pezzi di partecipate. Non solo. È chiaro che la freddezza e il distacco che si è consumato tra la finanza del Nord (che guarda con grande simpatia a Marina Berlusconi) e il governo sembra aver spinto quest’ultimo a stringere rapporti stabili con i grandi fondi Usa, come Blackrock, e il tycoon dello spazio Elon Musk. Ai fondi interessa che i governi siano stabili, non cambino idea e abbiano i conti regola. Un po’ come l’Ue, ma con una differenza fondamentale. Che ai grandi fondi non interessa nulla di come il bilancio migliori. Con surplus, con tagli, con più accise. Quello che è certo è che il piano strutturale di bilancio in linea con il nuovo Patto di stabilità prevede 12 miliardi di tagli o tasse ogni anno per sette anni. Da qualche parte arriveranno. Ci auguriamo che si vada a mettere mano alla giungla di tax expenditures. E che se saliranno le accise per il gasolio scenderà qualcosa d’altro. Vedremo quando la manovra sarà scritta nero su bianco e non sulla sabbia.
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Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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