2020-10-24
Governo incapace di evitare il peggio e con il lockdown si rischia la rivolta
Rimettendo in ordine i giornali che si accumulano sulla mia scrivania, mi è tornato fra le mani un vecchio numero di Panorama. L'edizione porta la data del 27 maggio di quest'anno e il titolo è composto da due righe secche: «Una rabbia contagiosa». Sommario: «I soldi che non arrivano. Il lavoro che scompare. I prezzi che aumentano. Le promesse che il governo non sa mantenere. Così l'Italia sprofonda nella crisi. Dove la paura ora diventa collera». L'uscita in edicola del settimanale coincise più o meno con la fine degli arresti domiciliari e il ritorno degli italiani alla libertà.Dunque, cinque mesi fa era evidente ciò che stava per accadere. Non ci voleva il Mago Otelma per immaginare gli effetti di una pandemia che aveva costretto le aziende a chiudere, lasciando centinaia di migliaia di lavoratori senza il posto. Eppure, sebbene si potessero prevedere le conseguenze del blocco di commercio e industria, nulla è stato fatto per evitare il peggio. Tra Stati generali e chiacchiere varie, si sono persi mesi preziosi che avrebbero consentito di predisporre le misure per far risorgere il Paese. Non solo: tra passerelle e decisioni fondamentali come la sanatoria per i braccianti agricoli (ovviamente stranieri), a cui si sono aggiunte un paio di campagne elettorali (per il referendum e per le Regioni), il governo ha trascurato di mettere in campo i provvedimenti per prevenire una seconda ondata dell'epidemia che aveva ucciso 36.000 italiani.Così, causa inettitudine oltre che incompetenza, eccoci tornati sull'orlo del baratro, con il rischio non solo di un altro lungo elenco di vittime, ma pure con la paura di un nuovo lockdown, che per l'economia italiana potrebbe essere esiziale. Le ricadute di tutto ciò possono essere sintetizzate in quella copertina profetica di Panorama, con il titolo «Una rabbia contagiosa». E a dirlo non siamo noi, che potremmo essere ritenuti di parte, visto che siamo editori anche del prestigioso settimanale. A sostenere la nostra stessa tesi è uno dei principali collaboratori del governo, ossia il professor Ranieri Guerra, vale a dire il rappresentante dell'Organizzazione mondiale della sanità nel Comitato tecnico scientifico, organismo a cui si abbeverano prima di ogni decisione sia Roberto Speranza che Giuseppe Conte. Che dice l'esimio luminare? In un'intervista al Fatto quotidiano spiega che i cosiddetti coprifuoco sono un palliativo per non chiudere tutto. Ma perché non ricorrere a misure più decise, come un blocco totale, chiede l'intervistatore? La risposta è netta: «Dobbiamo evitarlo perché provocherebbe rivolte armate. Le persone sono state sfinite dai tre mesi di lockdown».Il rappresentante dell'Oms procede illustrando quali sarebbero le conseguenze di nuovi arresti domiciliari: «Bisogna fare una valutazione sullo stato di salute mentale di tutti e dei nostri ragazzi in particolare». Come dire che rinchiudendo in casa persone che rischiano di perdere il lavoro e ragazzi che devono trascorrere le loro giornate a studiare davanti a un computer si rischia che qualcuno sbrocchi e dia di matto. «Come Organizzazione mondiale della sanità abbiamo registrato un aumento di suicidi tra i giovani, per fortuna non in Italia, l'aumento del consumo di bevande alcoliche tra le mura domestiche. Il lockdown è una misura pesante».Quelli di Guerra sono discorsi di buon senso, soprattutto vedendo ciò che sta accadendo in alcune città, dove le persone si ribellano alle imposizioni. Anche qui non ci voleva molto a immaginare che la paura e il disagio economico sarebbero state una miscela esplosiva, in grado di deflagrare proprio in autunno. Perché va bene appellarsi al senso di responsabilità degli italiani, che da marzo a giugno sono stati obbedienti e chiusi in casa. Ma poi, dopo aver fatto ciò che dovevano, oggi quelle stesse persone che hanno perso il lavoro o rischiano di perderlo si chiedono che cosa abbia fatto lo Stato. Se noi abbiamo rispettato le regole, si domandano, perché chi governa non ha rispettato le promesse, perché non ha aumentato i posti in terapia intensiva, non si è procurato tamponi e vaccini, non ha tracciato i contagiosi? Insomma: perché noi abbiamo fatto la nostra parte e la politica non la sua? Guerra dice nell'intervista che uno dei temi centrali nella lotta alla diffusione del Covid è il trasporto pubblico, quello locale in modo particolare. È lì che ci si contagia. Peccato che il commissario all'Emergenza, l'ormai famoso Domenico Arcuri, quello che ha impiegato il suo tempo con i banchi a rotelle, in una recente intervista abbia dichiarato che nessuno gli ha chiesto di occuparsi di autobus e dunque abbiamo gli stessi mezzi pubblici affollati di prima del coronavirus. C'è da stupirsi, dunque, se un tipo pacifico come Guerra parla di rivolte armate?
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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