2025-01-23
Statali, il governo avverte la Cgil: pronti a aumentare i salari per legge
Il no di Landini e della Uil blocca il rinnovo dei contratti di 2,3 milioni di lavoratori con risorse da 20 miliardi già in manovra. Se lo stallo dovesse continuare, l’esecutivo interverrà. Si perderebbero però gli altri benefit.Già a febbraio 193.000 dipendenti di ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici vedranno le loro buste paga lievitare di circa 180 euro lordi al mese. I lavoratori della funziona pubblica sono infatti gli unici statali che hanno rinnovato il contratto 2022/24, appena qualche mese fa. Rinnovo che si è contraddistinto per polemiche, il voto di Cisl e autonomi ha superato di un soffio l’opposizione di Cgil e Uil, e un referendum abbastanza strampalato (con regole fai da te) messo su in fretta e furia dalla sigle soccombenti. Il problema è che la stessa cosa non potranno farla i lavoratori della sanità, quelli degli enti locali (Comuni, Regioni ecc) e molto probabilmente anche quelli della scuola (solo per citare i contratti più importanti) che hanno numeri diversi. Per un motivo o per un altro in queste categorie, Cgil e Uil con l’aiutino di qualche sindacato autonomo, hanno la maggioranza e quindi possono bloccare il rinnovo e di conseguenza gli aumenti in busta paga. Parliamo di poco meno di 2,5 milioni di persone che ogni mese che passa «perdono» in media circa 180 euro lordi dai loro stipendi. In un Paese dove la questione salariale è messa in cima alle priorità delle politiche del governo e dove le opposizioni hanno fatto una battaglia di principio sul salario minimo, è un paradosso non da poco. Anche perché l’esecutivo ha messo complessivamente in manovra una ventina di miliardi per i nuovi contratti della Pa. Nel merito, i sindacati di Landini e Bombardieri reclamano il recupero di tutta l’inflazione del periodo, parliamo del 16,5%, e non si accontentano del 6%, che rappresenta comunque un record rispetto agli ultimi rinnovi. Nella sostanza, l’opposizione è tutta politica, perché ormai da tempo i due sindacati dicono no a qualsiasi proposta arrivi dall’esecutivo di centrodestra. Il punto è capire se c’è la possibilità di trovare una mediazione. Ovvio che ci siano delle speranze, ma la realtà dice che siamo davvero appesi a un filo. La dimostrazione pratica l’abbiamo avuta con la trattativa congelata per il rinnovo degli enti locali. L’esito scontato dell’incontro è di poche ore fa. «L’ultimo testo proposto», spiega il presidente Aran (la controparet statale), Antonio Naddeo, «include misure significative come l’erogazione di buoni pasto nei giorni di lavoro agile, un’importante novità rispetto al passato insieme ad altre innovazioni normative, ma non è bastato a raggiungere un accordo. Riconosciamo la necessità di approfondire temi rilevanti [...], tuttavia, senza una volontà condivisa di chiudere il contratto, il proseguimento delle trattative rischia di diventare improduttivo. L’Aran rimane disponibile, ma voglio sottolineare che, in assenza di un’intesa generale, tali discussioni non potranno portare alla definizione del contratto. Confidiamo nel senso di responsabilità di ciascuno, nell’interesse dei lavoratori e della funzionalità degli enti locali». Il problema è che nel mese di aprile si svolgeranno le elezioni delle Rsu (le rappresentanze sindacali interne), per cui alla questione politica nazionale se ne aggiunge un’altra locale e di difesa degli interessi di bottega, per cui sarà impossibile che Cgil e Uil facciano passi indietro. E dopo molto dipenderà dall’esito del voto: i sindacati si conteranno di nuovo (i voti nelle Rsu e gli iscritti certificati dall’Aran determinano infatti la rappresentanza di ciascun sindacato nella categoria) e poi eventualmente decideranno le strategie. La prospettiva, dunque, è che fino almeno a maggio-giugno non cambi nulla e che tutto venga rimandato a settembre-ottobre, dopo l’estate. Insomma, l’ipotesi migliore è che 2,3 milioni di dipendenti pubblici perdano non meno di 1.500 euro lordi dalle buste paga del 2025. Ecco perché al di là delle frasi pronunciate in un’intervista al Sole 24 Ore, il ministro della Funzione Pubblica Paolo Zangrillo e il governo stanno valutando seriamente la possibilità di imporre questi aumenti per legge. Non subito, perché l’idea è di insistere con la trattativa, nella speranza che possa succedere qualcosa (ma al momento si davvero fatica a capire cosa) che inverta il trend, però a un certo punto dalle parole si passerà ai fatti. «Lo stallo», ha evidenziato il ministro, «non può essere infinito, perché io questi soldi ai nostri lavoratori li voglio dare. Ricordo che c’è sempre la possibilità di un’erogazione unilaterale, come abbiamo fatto a fine 2023 con l’indennità di vacanza contrattuale, ma sarebbe una sconfitta per tutti [...]». Appunto. Perché se il governo agisse unilateralmente, si salverebbe la parte economica, ma si perderebbero tutti gli istituti extra contrattati. Il ticket anche per lo smart working, il patrocinio legale, l’assistenza psicologica ecc. Resta però il paradosso di una manovra che per la prima volta ha stanziato 8 miliardi nel 2024 e 12 nel 2025 per il rinnovo dei contratti degli statali e non li usa. Un’enormità, se consideriamo i vincoli di bilancio dei conti pubblici. Inevitabile che se lo stallo dovesse continuare, il governo sarà costretto a metterci una pezza.
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