2023-01-12
Governo affannato a fermare una speculazione che non c’è. Ma il 5 parte l’embargo russo
Rincari medi alla pompa inferiori a quelli delle accise. Prodotto raffinato in difficoltà e scorte ai minimi. L’Ue importerà da India e Cina il greggio di Mosca a prezzi più alti.Basterebbe guardare i numeri per dissolvere il mito della speculazione sui prezzi della benzina: a fronte di un rincaro delle accise di 18 centesimi al litro dal 1° gennaio, i rincari medi alla pompa sono stati di 16,8 centesimi, secondo l’ultima rilevazione ufficiale del 9 gennaio. Invece, una volta partita la solfa mediatica su furbetti e speculatori, il governo si è fatto prendere da un affannoso quanto ingiustificato zelo riparatorio, inventando un nuovo aggravio burocratico per i distributori e attivando controlli sul territorio in cerca di qualche rialzo dei prezzi che sia al contempo anche un illecito. Il governo ha peccato di comunicazione e non ha difeso una scelta politica del tutto lecita, presa in sede di legge di bilancio per il 2023: quella di non prolungare lo sconto sulle accise, che peraltro era già stato ridotto a fine novembre. Ora autorità Antitrust, Mister Prezzi e Guardia di finanza avranno parecchio da fare per un po’. Lasciamoli lavorare e guardiamo invece ai rischi che si prospettano osservando l’industria petrolifera mondiale.A numeri attuali, il costo industriale della benzina alla pompa è pari a 0,75685 euro al litro, cioè 756,85 euro per 1.000 litri. A sua volta, esso è composto dal margine del distributore (pari a 209 euro per 1.000 litri, secondo i dati Unem, pari all’11,5% del prezzo finale) e dal costo del prodotto (548 euro per 1.000 litri, pari al 30% circa del prezzo finale). È su questa ultima voce che influiscono diversi elementi. In primis il cambio euro/dollaro, visto che i prodotti raffinati sono quotati in dollari, poi il costo del petrolio greggio e quello dei noli marittimi. Ognuno di questi elementi ha un ruolo nella determinazione del prezzo del prodotto finale, assieme alla situazione delle scorte, che rappresenta un altro fattore che influenza il prezzo. In condizioni di domanda alta e scorte basse, come avviene oggi, il prezzo tende al rialzo e viceversa.Ma è soprattutto l’ultima componente di costo, cioè il segmento della raffinazione, a rappresentare oggi il rischio maggiore parlando di prezzi di diesel e benzina. La raffinazione è un business a sé, che può avere periodi di sovracapacità o, come capita oggi, di capacità produttiva ridotta rispetto alla domanda.Oggi, il diesel all’ingrosso costa più della benzina (767 euro contro 548 euro per 1.000 litri), perché la domanda non è diminuita, mentre l’offerta di prodotto raffinato è in difficoltà. In Europa, infatti, il settore delle raffinerie è stato molto colpito da chiusure e disinvestimenti, che ne hanno ridotto la capacità produttiva, soprattutto a seguito delle politiche green e dei lockdown del 2020. Inoltre, le scorte sono ai minimi negli Usa, in Asia ed anche in Europa, dove si trovano ai livelli molto bassi che si registrarono nel 2008.Il mercato si è portato avanti e inizia a prezzare la missione impossibile che l’Unione europea si è data, ovvero sostituire integralmente il gasolio importato dalla Russia a partire dal 5 febbraio, data in cui scatterà l’embargo sui prodotti petroliferi.L’Unione europea ha un fabbisogno di gasolio pari a circa 4,8 milioni di barili al giorno (bbl/g) e il 12% circa di questo quantitativo è direttamente importato dalla Russia. L’embargo costringerà l’Ue, tra meno di un mese, a reperire sul mercato circa 600.000 bbl/g di gasolio. Non è un caso che negli ultimi due mesi l’Ue abbia fatto incetta di gasolio russo, riportando in alto le importazioni che nei mesi di novembre e dicembre hanno toccato quantitativi record, pari a circa 800.000 bbl/g. Difficile trovare un momento peggiore per avviare un embargo di questo tipo. Il deficit di offerta di distillati medi già presente strutturalmente a livello mondiale obbligherà l’Ue ad entrare in aspra competizione con il resto del mondo per accaparrarsi i quantitativi che le servono. È infatti difficile che la Russia riesca in breve tempo a dirottare i prodotti che prima esportava in Ue verso altri mercati. Almeno nei primi mesi, il taglio alle forniture russe ridurrà l’offerta mondiale e questo significa che i prezzi del gasolio dovranno salire. Le nuove capacità di raffinazione in Asia e in Medio Oriente non saranno in grado di produrre a regime prima di qualche mese. Difficile anche che l’Europa riesca da sé a ricostituire in breve tempo una capacità di raffinazione adeguata: troppa ne servirebbe, e sarebbero necessari tempo e denaro. Ma quale privato investirebbe oggi in una raffineria, sapendo che il green deal europeo nel giro di pochi anni spazzerebbe via il suo investimento? I raffinatori europei, tra l’altro, sono soggetti al pagamento delle quote di CO2 secondo il sistema europeo Ets, per la parte che eccede le allocazioni gratuite, cosa che fa aumentare i costi. Un raffinatore indiano non ha questo problema.Una variabile importante è la situazione dell’economia mondiale, quella cinese ed americana in particolare. L’incognita cinese resta legata agli sviluppi della strategia zero-Covid, che nel caso di prolungati lockdown farebbe calare la domanda dando respiro ai prezzi. Negli Usa, gli ultimi dati sulla produzione manifatturiera sembrano indicare un calo dell’attività e dunque un possibile allentamento della domanda. Anche in questo caso i prezzi dei distillati potrebbero calare. Ma ad oggi gli elementi che spingono per un rialzo dei prezzi sono la maggioranza.Ironicamente, l’Ue finirà per importare a prezzi più alti da India e Cina, che utilizzeranno il greggio russo comprato a prezzi stracciati da Mosca, incamerando lauti guadagni. Un altro capolavoro dell’Unione europea.
Antonio Tajani (Ansa)
Alla Triennale di Milano, Azione Contro la Fame ha presentato la Mappa delle emergenze alimentari del mondo, un report che fotografa le crisi più gravi del pianeta. Il ministro Tajani: «Italia in prima linea per garantire il diritto al cibo».
Durante le Giornate Contro la Fame, promosse da Azione Contro la Fame e inaugurate questa mattina alla Triennale di Milano, è stato presentato il report Mappa delle 10 (+3) principali emergenze alimentari globali, un documento che fotografa la drammatica realtà di milioni di persone colpite da fame e malnutrizione in tutto il mondo.
All’evento è intervenuto, con un messaggio, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha espresso «gratitudine per il lavoro prezioso svolto da Azione Contro la Fame nelle aree più colpite dalle emergenze alimentari». Il ministro ha ricordato come l’Italia sia «in prima linea nell’assistenza umanitaria», citando gli interventi a Gaza, dove dall’inizio del conflitto sono state inviate 2400 tonnellate di aiuti e trasferiti in Italia duecento bambini per ricevere cure mediche.
Tajani ha definito il messaggio «Fermare la fame è possibile» un obiettivo cruciale, sottolineando che l’insicurezza alimentare «ha raggiunto livelli senza precedenti a causa delle guerre, degli eventi meteorologici estremi, della desertificazione e dell’erosione del suolo». Ha inoltre ricordato che l’Italia è il primo Paese europeo ad aver avviato ricerche per creare piante più resistenti alla siccità e a sostenere progetti di rigenerazione agricola nei Paesi desertici. «Nessuna esitazione nello sforzo per costruire un futuro in cui il diritto al cibo sia garantito a tutti», ha concluso.
Il report elaborato da Azione Contro la Fame, che integra i dati dei rapporti SOFI 2025 e GRFC 2025, individua i dieci Paesi con il maggior numero di persone in condizione di insicurezza alimentare acuta: Nigeria, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Etiopia, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Myanmar e Siria. In questi Paesi si concentra oltre il 65% della fame acuta globale, pari a 196 milioni di persone. A questi si aggiungono tre contesti considerati a rischio carestia – Gaza, Sud Sudan e Haiti – dove la situazione raggiunge i livelli massimi di gravità.
Dal documento emergono alcuni elementi comuni: la fame si concentra in un numero limitato di Paesi ma cresce in intensità; le cause principali restano i conflitti armati, le crisi climatiche, gli shock economici e la fragilità istituzionale. A complicare il quadro contribuiscono le difficoltà di accesso umanitario e gli attacchi agli operatori, che ostacolano la distribuzione di aiuti salvavita. Nei tredici contesti analizzati, quasi 30 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, di cui 8,5 milioni in forma grave.
«Non è il momento di tagliare i finanziamenti: servono risorse e accesso umanitario per non interrompere gli interventi salvavita», ha dichiarato Simone Garroni, direttore di Azione Contro la Fame Italia.
Il report raccoglie anche storie dal campo, come quella di Zuwaira Shehu, madre nigeriana che ha perso cinque figli per mancanza di cibo e cure, o la testimonianza di un residente sfollato nel nord di Gaza, che racconta la perdita della propria casa e dei propri cari.
Nel mese di novembre 2025, alla Camera dei Deputati, sarà presentato l’Atlante della Fame in Italia, realizzato con Percorsi di Secondo Welfare e Istat, che analizzerà l’insicurezza alimentare nel nostro Paese: oltre 1,5 milioni di persone hanno vissuto momenti di scarsità di risorse e quasi 5 milioni non hanno accesso a un’alimentazione adeguata.
Dal 16 ottobre al 31 dicembre partirà infine una campagna nazionale con testimonial come Miriam Candurro, Germano Lanzoni e Giorgio Pasotti, diffusa sui principali media, per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere la mobilitazione di aziende, fondazioni e cittadini contro la fame nel mondo.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)