2024-10-10
Con Google «a pezzi» Trump si frega le mani
Donald Trump (Getty Images)
Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti valuta lo smembramento delle attività del colosso per violazione della legge antitrust. The Donald, che aveva annunciato causa penale contro la censura del suo attentato, potrebbe sfruttare la mossa dem a suo favore.Il governo americano sta valutando la possibilità di uno «spezzatino» di Google per porre fine al suo monopolio nel settore delle ricerche online, e quindi riuscire a tenere a freno una delle aziende tecnologiche più potenti al mondo. La mossa è stata fatta dal dipartimento di Giustizia (DoJ) degli Stati Uniti che ha formulato delle raccomandazioni sulle pratiche commerciali del colosso di Mountain View nel settore dei motori di ricerca, indicando anche che sta valutando un possibile smembramento delle attività. Tutto emerge da documento del tribunale, dopo che ad agosto un giudice ha stabilito che Google ha violato la legge antitrust statunitense e bollato l’azienda come «monopolista». Il documento di 32 pagine - citato ieri dal Financial Times - descrive in dettaglio le sanzioni che il dipartimento di Giustizia potrebbe richiedere ad Amit Mehta, il giudice che presiede il caso. Mehta aveva stabilito che Google ha speso decine di miliardi di dollari in accordi esclusivi per mantenere un dominio illegale sulla ricerca. I pubblici ministeri, emerge, stanno quindi «considerando rimedi comportamentali e strutturali» per impedire a Google di utilizzare prodotti come il browser Chrome, l’app store Play e il sistema operativo Android per dare al suo motore di ricerca un vantaggio rispetto ai rivali o ai nuovi operatori. Inoltre, il DoJ ha suggerito di limitare o vietare gli accordi di default e «altri accordi di condivisione dei ricavi relativi alla ricerca e ai prodotti correlati alla ricerca». Questo include gli accordi di Google sulla posizione di ricerca con i dispositivi iPhone e Samsung di Apple, che costano all’azienda miliardi di dollari all’anno in pagamenti. L’agenzia ha suggerito che un modo per farlo è quello di richiedere una «schermata di scelta», che potrebbe consentire agli utenti di scegliere tra altri motori di ricerca. Tali rimedi porrebbero fine al «controllo di Google sulla distribuzione di oggi» e garantirebbero che lo stesso colosso californiano «non possa controllare la distribuzione di domani». L’azione dell’antitrust Usa da un lato punta a ripristinare la concorrenza nel campo delle ricerche online, dall’altro vuole evitare che Google crei nuovi monopoli in settori ancora in via di sviluppo. A partire dall’Ia. La replica della società non si è fatta attendere ed è arrivata tramite un post che definisce «radicali» le ipotesi contenute nella bozza del Doj. Le richieste, sostiene Google, avrebbero «conseguenze significative e indesiderate per consumatori, aziende e la competitività americana». In particolare, secondo Mountain View, forzare la condivisione dei risultati di ricerca con i concorrenti metterebbe a rischio la privacy degli utenti. Ostacolare l’Ia di Google, invece, potrebbe «frenare l’innovazione».Mehta ha dichiarato che intende pronunciarsi sui rimedi entro l’agosto 2025 e che un appello da parte di Google potrebbe ritardare di anni l’impatto finale. Nell’ambito della seconda fase del processo Google, intanto, il dipartimento e il colosso californiano sono pronti a depositare le loro proposte di sentenza definitiva e gli elenchi dei testimoni rispettivamente il 20 novembre e il 20 dicembre. Questa settimana, in un altro caso antitrust, un giudice ha emesso un’ingiunzione permanente che costringerà Google a offrire alternative al suo negozio Google Play per il download di applicazioni sui telefoni Android.Lo spezzatino del gigante tech potrebbe rappresentare la più grande vittoria antitrust per il governo Usa da quando un giudice ordinò lo scioglimento di Microsoft 24 anni fa per aver alterato illegalmente la concorrenza (la sentenza fu però annullata in appello un anno dopo). Ma la mossa può avere anche un enorme impatto a livello politico perché la notizia esce a meno di un mese dalle elezioni che vedono sfidarsi Kamala Harris e Donald Trump. Proprio il tycoon, lo scorso 28 settembre, ha minacciato, se sarà rieletto, di ordinare al dipartimento di Giustizia di avviare una causa penale contro Google, sostenendo che il gruppo guidato da Sundar Pichai sta ingiustamente mostrando articoli negativi su di lui ma non sulla sua avversaria Harris. «Google ha utilizzato illegalmente un sistema per rivelare e mostrare solo brutte storie su Donald Trump, alcune inventate a questo scopo, mentre allo stesso tempo rivela solo belle storie sulla compagna Kamala Harris», aveva affermato su Truth. Google aveva replicato che «entrambi i siti web della campagna appaiono costantemente in cima a Search nella ricerche rilevanti e comuni». Non solo. A fine luglio anche Elon Musk, patron di X e supporter di Trump, aveva accusato Google di oscurare il tycoon nelle ricerche e ha pubblicato un video della Harris con l’intelligenza artificiale che è stato visto oltre 100 milioni di volte. Musk aveva poi ripubblicato lo screenshot di un utente che su Google aveva cercato «tentato assassinio a» e le prime voci erano l’attentato a Reagan, Truman e Ford. Non a Trump che lo ha subito il 13 luglio mentre teneva un comizio elettorale in una fiera agricola a Meridian, alla periferia ovest di Butler, in Pennsylvania. Il fondatore di Space X ha anche postato una lista dei donatori di Joe Biden sottolineando che al primo posto, con oltre 1,7 milioni di dollari, c’è Alphabet, società di proprietà del colosso di Mountain View.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.