
Il recente colpo di Stato rischia di creare seri grattacapi alla Francia per quanto riguarda la Costa d'Avorio, e alla Cina per i massicci investimenti condotti nel Paese africano.«Non affideremo più la politica a un uomo. La affideremo alla gente. Veniamo solo per questo; è dovere di un soldato, salvare il Paese». Con queste parole, lo scorso 5 settembre, si esprimeva l'ufficiale dell'esercito guineano, Mamady Doumbouya, annunciando la sospensione della Costituzione e l'arresto del presidente della Guinea, Alpha Condé. Nelle ore successive, i golpisti hanno decretato un coprifuoco a livello nazionale e, secondo quanto riferito dalla Cnn, hanno attuato la chiusura delle frontiere aeree e terrestri. Stando a Reuters, ottanta prigionieri politici sarebbero stati rilasciati, mentre il principale leader dell'opposizione, Cellou Dalein Diallo, ha riferito di essere pronto a partecipare al governo di transizione di unità nazionale, pur specificando di non essere ancora stato consultato da Doumbouya. La situazione al momento resta relativamente incerta. A livello interno, questo colpo di Stato affonda le proprie radici in un contesto fortemente problematico. L'anziano presidente deposto era stato criticato in passato per una serie di ragioni. I suoi oppositori lo hanno infatti accusato sia di non essere stato in grado di promuovere la riconciliazione etnica sia di tendenze fondamentalmente autoritarie. Ricordiamo infatti che, lo scorso ottobre, Alpha Condé avesse vinto delle elezioni presidenziali piuttosto contestate. L'opposizione aveva sostenuto che si fossero verificati dei brogli, mentre al centro delle critiche era finito anche il fatto che il presidente uscente – dopo due mandati – avesse appositamente modificato la carta costituzionale per candidarsi a un terzo. Ne erano quindi sorte proteste, con tafferugli e alcuni morti. Nel frattempo, sono arrivate le principali reazioni internazionali al golpe. Il ministero degli Esteri francese ha emesso un comunicato, in cui si condanna «il tentativo di presa del potere con la forza» in Guinea. Tutto questo, mentre la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale ha sospeso il Paese. Condanne sono arrivate anche dall'Onu, dagli Stati Uniti e dalla Cina (quella stessa Cina che solitamente sostiene di condurre una politica di non interferenza). Ora, un aspetto indubbiamente rilevante di questa faccenda è quello delle relazioni con Parigi. Va rammentato che i rapporti tra il presidente francese, Emmanuel Macron, e Alpha Condé non fossero propriamente idilliaci. In particolare, l'anno scorso l'inquilino dell'Eliseo aveva criticato il suo omologo guineano per aver modificato la Costituzione, candidandosi così - come detto - a un terzo mandato. E' tuttavia probabile che Parigi tema adesso due fattori. Il primo è l'eventualità che possa esplodere una situazione di instabilità in Guinea. Il secondo è che possa verificarsi una sorta di effetto domino su uno stretto alleato dei francesi, come il presidente ivoriano, Alassane Ouattara, il quale l'anno scorso ha ottenuto un terzo mandato costituzionalmente controverso. Non sarà del resto un caso che, differentemente da quanto fatto con Condé – Macron non abbia ai tempi criticato più di tanto Outtara sulla questione. L'attuale posizione di Parigi in riferimento Guinea riflette quindi probabilmente delle preoccupazioni relative alla Costa d'Avorio: un Paese in cui, oltre al rischio del suddetto effetto domino, sta aumentando l'instabilità, soprattutto al confine con il Burkina Faso, dove - negli scorsi mesi - si sono registrati alcuni attacchi jihadisti. Non sarà d'altronde un caso che, secondo quanto risulta a La Verità, il presidente ivoriano starebbe da tempo cercando di mettere sotto controllo l'esercito: un fattore che tradisce inevitabilmente un certo nervosismo.La Cina, dal canto suo, teme impatti negativi sui significativi investimenti condotti in Guinea, che - ricordiamolo - risulta tra i principali produttori di bauxite a livello mondiale. Sotto questo aspetto, va infatti ricordato che Pechino sia fortemente dipendente dal Paese africano. E una tale situazione spiega il recente tentativo di interferenza cinese nelle attuali dinamiche interne guineane. «La Cina si oppone ai tentativi di colpo di Stato per prendere il potere e chiede l'immediato rilascio del presidente Alpha Condé», aveva tuonato il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin. Dopo il golpe, il prezzo della bauxite è schizzato alle stelle, mentre non è ancora del tutto chiaro quale sarà la collocazione internazionale del nuovo governo di Conakry. Tutto questo, secondo vari analisti, potrebbe costringere Pechino ad aumentare la propria dipendenza dall'Australia: uno scenario a cui tuttavia - visti i cattivi rapporti con Canberra - i cinesi guardano come il fumo negli occhi.
Intervista con Barbara Agosti, chef di Eggs, la regina delle uova che prepara in ogni modo con immensa creatività
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)
Il Quirinale aveva definito «ridicola» la rivelazione sul piano anti-Meloni del dirigente. Peccato che egli stesso abbia confessato che era vera, sminuendo: «Solo chiacchiere tra amici...». Lui è libero di tifare chi vuole: non a fianco del presidente della Repubblica.
Qualche scafato cronista, indispettito per aver preso quello che in gergo giornalistico chiamiamo «buco», ieri ha provato a metterci una pezza e a screditare lo scoop della Verità sul consigliere chiacchierone e maneggione di Sergio Mattarella. Purtroppo per lui, dietro le nostre rivelazioni non c’è nessun anonimo: se abbiamo rivelato che Francesco Saverio Garofani vagheggiava un «provvidenziale scossone» per far cadere Giorgia Meloni, e la costituzione di una grande lista civica che la possa battere alle prossime elezioni, è perché delle sue parole abbiamo certezza.
Annalisa Cuzzocrea (Ansa)
Sulle prime pagine di ieri teneva banco la tesi della bufala. Smentita dall’interessato. E c’è chi, come il «Giornale», si vanta di aver avuto l’informazione e averla cestinata.
Il premio Furbitzer per il giornalista più sagace del Paese va senza dubbio a Massimiliano Scafi del Giornale. Da vecchio cronista qual è, infatti, lui ci ha tenuto subito a far sapere che quella «storia», cioè la notizia delle esternazioni del consigliere del Quirinale Francesco Saverio Garofani, lui ce l’aveva. Eccome. Gli era arrivata in redazione il giorno prima, nientemeno, e con un testo firmato Mario Rossi, nota formula usata dai più sagaci 007 del mondo quando vogliono nascondersi. C’era tutto. Proprio tutto.
Elon Musk e Francesco Saverio Garofani (in foto piccola) Ansa
Da responsabile dei temi per la Difesa, l’ex parlamentare dem avrebbe avuto un peso determinante nel far sfumare l’accordo tra il governo e l’azienda di Elon Musk.
Inizio 2025. Elon Musk - i suoi rapporti con Trump erano ancora in fase idillio - veniva considerato una sorta di alieno che si aggirava minaccioso nel cielo della politica italiana. C’era in ballo un accordo da 1,5 miliardi per dotare il governo di servizi di telecomunicazione iper-sicuri. Contratto quinquennale che avrebbe assicurato attraverso SpaceX e quindi Starlink un sistema criptato di massimo livello per le reti telefoniche e internet dell’esecutivo, ma l’intesa riguardava anche le comunicazioni militari e i collegamenti satellitari per le emergenze.






