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2022-04-26
Gli Usa mettono Berlino con le spalle al muro
Gerhard Schröder (Ansa)
Non dà segni di tregua il pressing americano nei confronti della Germania. Alle sollecitazioni continue sull’invio di armi e aiuti all’Ucraina invasa, si sommano quelle tese a far adottare un embargo sui prodotti energetici dalla Russia. Nella nuova prospettiva americana, il modello europeo germano-centrico va ridimensionato e ricondotto a una logica geo-strategica. Dunque, è proprio il governo tedesco il primo tra quelli che devono essere disciplinati. Proprio per oggi è prevista una riunione tra i vertici militari della Nato, per decidere come e quanto aumentare il supporto militare all’Ucraina. Il segretario alla difesa Usa, Lloyd J. Austin, ha invitato oltre 30 Paesi Nato, Italia compresa, alla base militare americana di Ramstein, in Germania. Non a caso. Così come non è un caso che il prossimo incontro dei ministri degli Esteri dei Paesi della Nato si tenga sempre in Germania, a Berlino, il 14 e 15 maggio. È evidente il richiamo di Washington a un’assunzione di responsabilità tedesca nel fosco scenario attuale.
Diversi media americani contribuiscono ad alimentare il clima di assedio nei confronti del governo tedesco. Emblematica la lunga e rara intervista concessa al New York Times da Gerhard Schröder, che da 17 anni ricopre posizioni di rilievo nella galassia della società di stato russa Gazprom. Ora che, improvvisamente, la dipendenza della Germania dal gas russo è diventata un problema, l’ex cancelliere tedesco si trova al centro di grandi polemiche in Germania e in Europa. C’è chi si spinge a chiedere per lui sanzioni personali, considerandolo alla stregua di un oligarca russo, proprio per il suo ruolo nell’entourage di Vladimir Putin.
Nell’intervista, Schröder si è tolto qualche sassolino dalla scarpa e ha rivendicato quanto fatto sin qui con il suo lavoro. In fondo, la dipendenza della Germania dal gas russo era evidente anche prima del 24 febbraio, ma non è mai stata criminalizzata. L’idea di riempire la Germania di gas russo è stata venduta all’opinione pubblica occidentale nello stesso modo utilizzato per elogiare l’Ue. Cioè affermando che l’interdipendenza economica avrebbe reso meno probabile, se non impossibile, una riaccensione delle guerre in Europa. Il marketing tedesco puntava sul claim di una Russia che, imbrigliata in scambi commerciali sempre più ampi con l’Europa, potesse essere addomesticata e ricondotta al consorzio delle nazioni occidentali. Questa è stata la canzone che tutti (politici, mass media, «esperti»), con grande ipocrisia, hanno cantato in Germania e in Europa anche dopo l’annessione della Crimea: facciamo gli affari, non facciamo la guerra.
Ma la realtà è ben altra. Il carbone, materia prima d’elezione in Germania, iniziava a scarseggiare ed era necessario sostituirlo con il gas. Il blocco politico-industriale-finanziario tedesco ha lavorato unicamente per sé stringendo accordi con la Russia per importare gas a basso costo, con Nord Stream 1 e 2. Ciò al fine di perpetuare il proprio modello di sviluppo: ovvero un mercantilismo contemporaneo, basato su un enorme surplus delle partite correnti ottenuto grazie a una moneta sottovalutata rispetto all’economia nazionale, compressione della domanda interna, bassi costi e deflazione salariale.
Il socialdemocratico Olaf Scholz è sommerso dalle critiche, dopo le parole di Schröder, e il rischio di una crisi politica si fa sempre più alto. «Schröder resta dalla parte di Putin», titolano in questi giorni le grandi testate dopo avere letto l’intervista al Nyt, riducendo la cosa a una questione personalistica e con ciò facendo il gioco di chi vuole mettere in difficoltà il governo tedesco.
In realtà, per chi ha occhi per vedere, l’ex cancelliere resta dalla parte della Germania, difende ciò che ha fatto perché questo significa difendere il modello mercantilista tedesco, l’Unione europea, l’euro, la deflazione. Ciò che motiva la resistenza tedesca, insomma, è che rinunciare al gas russo non vorrebbe dire semplicemente per la Germania avere 5 punti di Pil in meno, ma significherebbe rinunciare all’intero modello export-driven che con tanta fatica (e tanto successo) ha costruito in 30 anni di globalizzazione. Assimilare il denaro guadagnato da Schröder a corruzione, come molti stanno facendo, significa assecondare il populismo delle élite che conforma gran parte della pubblica opinione. La realtà è che si trattava e si tratta di un sistema, un quid pro quo tra due Stati sovrani, trasparente, bilanciato e calcolato. Coloro i quali oggi si stracciano le vesti per le resistenze tedesche all’embargo sono gli stessi che fino a ieri hanno elogiato la politica della cancelliera Angela Merkel, che per 15 anni ha segnato l’Europa e l’ha portata nel cul de sac in cui si trova. Una politica fatta di affari con la Russia, con lo stesso Putin che oggi è diventato la personificazione del male. Quando si firmavano gli accordi per Nord Stream 1, prima, e Nord Stream 2, poi, non si ricordano editoriali traboccanti indignazione.
«Non si può isolare un Paese come la Russia nel lungo periodo», conclude Schröder nell’intervista al Nyt. Profezia o semplice constatazione? La difesa tedesca del proprio modello economico e sociale passa dalla difesa del suo rapporto con la Russia, cioè proprio ciò che gli Usa chiedono di tagliare. La sfida è aperta.
Sanzioni, slitta il sesto pacchetto? In bilico l’embargo su greggio e gas
Partirà domani l’iter per decidere il sesto pacchetto di sanzioni dell’Ue verso la Russia. Al centro del dibattito lo stop all’import di greggio, tema che scuote non poco diversi leader europei. Tanto che, con ogni probabilità, i tempi per l’approvazione delle nuove limitazioni slitteranno di almeno una settimana.
Tra le opzioni al vaglio da parte dei vertici guidati Ursula von der Leyen c’è il cosiddetto periodo di «phasing out», ovvero di eliminazione graduale del petrolio russo. Inoltre, tra le nuove misure è previsto anche l’allungamento della lista delle banche russe escluse dal sistema Swift. Questa settimana sarà quindi dedicata ai colloqui e alle consultazioni sul nuovo pacchetto tra l’Ue e le diverse cancellerie europee.
L’oggetto del contendere sull’oro nero è chiaro: ci sono Paesi, tra cui l’Italia, che non potrebbero permettersi un embargo immediato sul petrolio russo. Altri Stati, invece, tra cui Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia spingono per iniziare con uno stop già da maggio.
Germania e Ungheria, dal canto loro, preferirebbero invece iniziare con un abbandono graduale. C’è poi l’idea del premier, Mario Draghi, che ha proposto di inserire un tetto massimo al prezzo delle risorse come alternativa alle sanzioni. In questo modo i clienti che acquistano greggio nei Paesi dell’Ue sarebbero spinti a pagare meno per il petrolio russo rispetto alle richieste di Mosca.
Ma le trattative sono complesse. L’Alto rappresentante agli Affari esteri dell’Ue, Josep Borrell, in un’intervista al quotidiano tedesco Die Welt, ha reso noto che «alcuni Stati membri hanno detto molto chiaramente che non sosterrebbero un embargo, o una tariffa punitiva sul petrolio o sul gas russo. Ciò significa che a questo punto non abbiamo ancora l’unanimità nell’Ue per decidere un embargo, o una tariffa. Di conseguenza, una proposta finale di embargo su petrolio e gas non è pronta».
In totale, uno stop al greggio russo potrebbe togliere fino a 200 miliardi di dollari di nuove entrate per Putin. Il problema è che questo comporterebbe un taglio del 5% delle esportazioni mondiali, spingendo l’Ue a una caccia forsennata per avere nuova energia.
In più, perplessità su uno stop da parte di Bruxelles al petrolio russo arrivano anche da oltreoceano. «L’Europa», ha detto la segretaria al Tesoro americana, Janet Yellen, delineando un ipotetico scenario di embargo totale europeo su gas e petrolio russi, «deve ridurre la sua dipendenza dalla Russia per quanto riguarda l’energia, ma bisogna stare attenti quando pensiamo a un embargo completo europeo sulle importazioni petrolifere. Questo farebbe aumentare i prezzi globali del petrolio e avrebbe un impatto negativo sull’Europa e altre parti del mondo. E, al contrario, potrebbe avere un effetto negativo molto ridotto per la Russia, che per quanto si troverà a esportare di meno, venderà a prezzi più alti».
In particolare, la preoccupazione è che il prezzo del greggio salga a tal punto da creare problemi ai democratici guidati dal presidente Joe Biden nelle elezioni di midterm e per il Congresso in autunno. Allo Zio Sam, insomma, interessa ben poco delle sorti dell’Ucraina. L’obiettivo degli Usa è quello di rendere la Russia il più inoffensiva possibile: non deve essere in grado di lanciare nuove guerre.
L’unico modo certo perché ciò avvenga è quello di tagliare qualunque forma di entrata finanziaria. A dirlo a chiare lettere è stato lo stesso capo del Pentagono, Lloyd Austin, parlando nei pressi della frontiera ucraina di rientro dalla visita lampo a Kiev con il segretario di Stato, Antony Blinken. «Noi vogliamo vedere la Russia indebolita a un livello tale che non possa più fare cose come l’invasione dell’Ucraina», ha sottolineato Austin, «ha già perso molte delle sue capacità militari e molte truppe, per essere franchi. E noi non vorremmo che possa ricostruire rapidamente tali capacità».
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Continua il pressing sul governo tedesco per porre fine al suo modello di cooperazione con Mosca. Fissati ben due vertici Nato nel Paese guidato da Olaf Scholz. Mentre la stampa accerchia Gerhard Schröder. Eppure a fare affari con lo zar iniziò la stimatissima Angela Merkel.Sanzioni, slitta il sesto pacchetto? In bilico l’embargo su greggio e gas. Ue divisa, possibile una dilazione: Italia, Germania e Ungheria contro uno stop rapido.Lo speciale comprende due articoli.Non dà segni di tregua il pressing americano nei confronti della Germania. Alle sollecitazioni continue sull’invio di armi e aiuti all’Ucraina invasa, si sommano quelle tese a far adottare un embargo sui prodotti energetici dalla Russia. Nella nuova prospettiva americana, il modello europeo germano-centrico va ridimensionato e ricondotto a una logica geo-strategica. Dunque, è proprio il governo tedesco il primo tra quelli che devono essere disciplinati. Proprio per oggi è prevista una riunione tra i vertici militari della Nato, per decidere come e quanto aumentare il supporto militare all’Ucraina. Il segretario alla difesa Usa, Lloyd J. Austin, ha invitato oltre 30 Paesi Nato, Italia compresa, alla base militare americana di Ramstein, in Germania. Non a caso. Così come non è un caso che il prossimo incontro dei ministri degli Esteri dei Paesi della Nato si tenga sempre in Germania, a Berlino, il 14 e 15 maggio. È evidente il richiamo di Washington a un’assunzione di responsabilità tedesca nel fosco scenario attuale.Diversi media americani contribuiscono ad alimentare il clima di assedio nei confronti del governo tedesco. Emblematica la lunga e rara intervista concessa al New York Times da Gerhard Schröder, che da 17 anni ricopre posizioni di rilievo nella galassia della società di stato russa Gazprom. Ora che, improvvisamente, la dipendenza della Germania dal gas russo è diventata un problema, l’ex cancelliere tedesco si trova al centro di grandi polemiche in Germania e in Europa. C’è chi si spinge a chiedere per lui sanzioni personali, considerandolo alla stregua di un oligarca russo, proprio per il suo ruolo nell’entourage di Vladimir Putin.Nell’intervista, Schröder si è tolto qualche sassolino dalla scarpa e ha rivendicato quanto fatto sin qui con il suo lavoro. In fondo, la dipendenza della Germania dal gas russo era evidente anche prima del 24 febbraio, ma non è mai stata criminalizzata. L’idea di riempire la Germania di gas russo è stata venduta all’opinione pubblica occidentale nello stesso modo utilizzato per elogiare l’Ue. Cioè affermando che l’interdipendenza economica avrebbe reso meno probabile, se non impossibile, una riaccensione delle guerre in Europa. Il marketing tedesco puntava sul claim di una Russia che, imbrigliata in scambi commerciali sempre più ampi con l’Europa, potesse essere addomesticata e ricondotta al consorzio delle nazioni occidentali. Questa è stata la canzone che tutti (politici, mass media, «esperti»), con grande ipocrisia, hanno cantato in Germania e in Europa anche dopo l’annessione della Crimea: facciamo gli affari, non facciamo la guerra.Ma la realtà è ben altra. Il carbone, materia prima d’elezione in Germania, iniziava a scarseggiare ed era necessario sostituirlo con il gas. Il blocco politico-industriale-finanziario tedesco ha lavorato unicamente per sé stringendo accordi con la Russia per importare gas a basso costo, con Nord Stream 1 e 2. Ciò al fine di perpetuare il proprio modello di sviluppo: ovvero un mercantilismo contemporaneo, basato su un enorme surplus delle partite correnti ottenuto grazie a una moneta sottovalutata rispetto all’economia nazionale, compressione della domanda interna, bassi costi e deflazione salariale.Il socialdemocratico Olaf Scholz è sommerso dalle critiche, dopo le parole di Schröder, e il rischio di una crisi politica si fa sempre più alto. «Schröder resta dalla parte di Putin», titolano in questi giorni le grandi testate dopo avere letto l’intervista al Nyt, riducendo la cosa a una questione personalistica e con ciò facendo il gioco di chi vuole mettere in difficoltà il governo tedesco. In realtà, per chi ha occhi per vedere, l’ex cancelliere resta dalla parte della Germania, difende ciò che ha fatto perché questo significa difendere il modello mercantilista tedesco, l’Unione europea, l’euro, la deflazione. Ciò che motiva la resistenza tedesca, insomma, è che rinunciare al gas russo non vorrebbe dire semplicemente per la Germania avere 5 punti di Pil in meno, ma significherebbe rinunciare all’intero modello export-driven che con tanta fatica (e tanto successo) ha costruito in 30 anni di globalizzazione. Assimilare il denaro guadagnato da Schröder a corruzione, come molti stanno facendo, significa assecondare il populismo delle élite che conforma gran parte della pubblica opinione. La realtà è che si trattava e si tratta di un sistema, un quid pro quo tra due Stati sovrani, trasparente, bilanciato e calcolato. Coloro i quali oggi si stracciano le vesti per le resistenze tedesche all’embargo sono gli stessi che fino a ieri hanno elogiato la politica della cancelliera Angela Merkel, che per 15 anni ha segnato l’Europa e l’ha portata nel cul de sac in cui si trova. Una politica fatta di affari con la Russia, con lo stesso Putin che oggi è diventato la personificazione del male. Quando si firmavano gli accordi per Nord Stream 1, prima, e Nord Stream 2, poi, non si ricordano editoriali traboccanti indignazione.«Non si può isolare un Paese come la Russia nel lungo periodo», conclude Schröder nell’intervista al Nyt. Profezia o semplice constatazione? La difesa tedesca del proprio modello economico e sociale passa dalla difesa del suo rapporto con la Russia, cioè proprio ciò che gli Usa chiedono di tagliare. La sfida è aperta.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gli-usa-mettono-berlino-con-le-spalle-al-muro-2657211330.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sanzioni-slitta-il-sesto-pacchetto-in-bilico-lembargo-su-greggio-e-gas" data-post-id="2657211330" data-published-at="1650914919" data-use-pagination="False"> Sanzioni, slitta il sesto pacchetto? In bilico l’embargo su greggio e gas Partirà domani l’iter per decidere il sesto pacchetto di sanzioni dell’Ue verso la Russia. Al centro del dibattito lo stop all’import di greggio, tema che scuote non poco diversi leader europei. Tanto che, con ogni probabilità, i tempi per l’approvazione delle nuove limitazioni slitteranno di almeno una settimana. Tra le opzioni al vaglio da parte dei vertici guidati Ursula von der Leyen c’è il cosiddetto periodo di «phasing out», ovvero di eliminazione graduale del petrolio russo. Inoltre, tra le nuove misure è previsto anche l’allungamento della lista delle banche russe escluse dal sistema Swift. Questa settimana sarà quindi dedicata ai colloqui e alle consultazioni sul nuovo pacchetto tra l’Ue e le diverse cancellerie europee. L’oggetto del contendere sull’oro nero è chiaro: ci sono Paesi, tra cui l’Italia, che non potrebbero permettersi un embargo immediato sul petrolio russo. Altri Stati, invece, tra cui Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia spingono per iniziare con uno stop già da maggio. Germania e Ungheria, dal canto loro, preferirebbero invece iniziare con un abbandono graduale. C’è poi l’idea del premier, Mario Draghi, che ha proposto di inserire un tetto massimo al prezzo delle risorse come alternativa alle sanzioni. In questo modo i clienti che acquistano greggio nei Paesi dell’Ue sarebbero spinti a pagare meno per il petrolio russo rispetto alle richieste di Mosca. Ma le trattative sono complesse. L’Alto rappresentante agli Affari esteri dell’Ue, Josep Borrell, in un’intervista al quotidiano tedesco Die Welt, ha reso noto che «alcuni Stati membri hanno detto molto chiaramente che non sosterrebbero un embargo, o una tariffa punitiva sul petrolio o sul gas russo. Ciò significa che a questo punto non abbiamo ancora l’unanimità nell’Ue per decidere un embargo, o una tariffa. Di conseguenza, una proposta finale di embargo su petrolio e gas non è pronta». In totale, uno stop al greggio russo potrebbe togliere fino a 200 miliardi di dollari di nuove entrate per Putin. Il problema è che questo comporterebbe un taglio del 5% delle esportazioni mondiali, spingendo l’Ue a una caccia forsennata per avere nuova energia. In più, perplessità su uno stop da parte di Bruxelles al petrolio russo arrivano anche da oltreoceano. «L’Europa», ha detto la segretaria al Tesoro americana, Janet Yellen, delineando un ipotetico scenario di embargo totale europeo su gas e petrolio russi, «deve ridurre la sua dipendenza dalla Russia per quanto riguarda l’energia, ma bisogna stare attenti quando pensiamo a un embargo completo europeo sulle importazioni petrolifere. Questo farebbe aumentare i prezzi globali del petrolio e avrebbe un impatto negativo sull’Europa e altre parti del mondo. E, al contrario, potrebbe avere un effetto negativo molto ridotto per la Russia, che per quanto si troverà a esportare di meno, venderà a prezzi più alti». In particolare, la preoccupazione è che il prezzo del greggio salga a tal punto da creare problemi ai democratici guidati dal presidente Joe Biden nelle elezioni di midterm e per il Congresso in autunno. Allo Zio Sam, insomma, interessa ben poco delle sorti dell’Ucraina. L’obiettivo degli Usa è quello di rendere la Russia il più inoffensiva possibile: non deve essere in grado di lanciare nuove guerre. L’unico modo certo perché ciò avvenga è quello di tagliare qualunque forma di entrata finanziaria. A dirlo a chiare lettere è stato lo stesso capo del Pentagono, Lloyd Austin, parlando nei pressi della frontiera ucraina di rientro dalla visita lampo a Kiev con il segretario di Stato, Antony Blinken. «Noi vogliamo vedere la Russia indebolita a un livello tale che non possa più fare cose come l’invasione dell’Ucraina», ha sottolineato Austin, «ha già perso molte delle sue capacità militari e molte truppe, per essere franchi. E noi non vorremmo che possa ricostruire rapidamente tali capacità».
(IStock)
Tecnologia e innovazione, poi, vanno in scena nel centro di intrattenimento multidisciplinare Area15, che ha di recente ampliato la sua offerta con nuove installazioni di realtà virtuale e aumentata, rendendo ogni visita un’esperienza immersiva e coinvolgente. Qui si può vivere il brivido di un viaggio nello spazio, partecipare a giochi interattivi o assistere a performance artistiche che uniscono arte, musica e tecnologia.
Per chi cerca un’esperienza più avventurosa, sono state inaugurate nuove attrazioni come il Flyover Las Vegas, un’attività di volo simulato che permette di sorvolare paesaggi spettacolari di tutto il mondo, e la Zero Gravity Experience, un volo parabolico che permette di provare la sensazione di assenza di gravità. L’High Roller presso il Linq Hotel è uno straordinario esempio di architettura e ingegneria moderna. Con un’altezza di 167 metri, questa meraviglia di vetro e acciaio è la ruota panoramica più alta degli Stati Uniti e la seconda più alta del mondo. Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti. Las Vegas, la città che non dorme mai, rappresenta da decenni uno dei poli turistici più iconici al mondo. Famosa per i suoi casinò sfavillanti, i suoi spettacoli di livello mondiale e la vita notturna sfrenata, questa città del Nevada ha saputo reinventarsi nel tempo, offrendo ai visitatori esperienze sempre nuove e coinvolgenti.
Uno degli aspetti più evidenti delle novità della città riguarda il settore alberghiero. Accanto ai famosissimi e spettacolari Caesars Palace; Circus Circus, Bellagio, Paris, The Venetian, la destinazione ha visto l’apertura di hotel di lusso e resort innovativi, capaci di attirare un pubblico sempre più eterogeneo. Tra i progetti più importanti va segnalato il Resorts World Las Vegas, un complesso di oltre 6.000 camere che combina tecnologia all’avanguardia, design sostenibile e un’offerta di intrattenimento di livello superiore. Questo resort si distingue per le sue strutture eco-compatibili, tra cui sistemi di risparmio energetico e gestione sostenibile delle risorse idriche.
D’altronde Las Vegas è nata negli anni Cinquanta dal nulla in mezzo al deserto al termine dalla «Valle della Morte» e, grazie alla monumentale diga di Hoover, è completamente autonoma dal punto di vista di acqua ed energia per tutte le luci, i neon, le insegne e la potente aria condizionata che consente di resistere anche a temperature esterne che raggiungono i cinquanta gradi.
L’attrazione più popolare della città è il Las Vegas Boulevard, comunemente noto come The Strip. Tutti i nuovi e lussuosi casinò sono costruiti su questa strada.
Nel centro della città «vecchia» degli anni Cinquanta ci sono, invece, alcuni hotel e casinò più retrò. Qui una delle attrazioni più distintive dell’area urbana è Fremont Street. Questa strada ha un enorme schermo sul soffitto dove vengono proiettate immagini di ogni tipo, e offre anche una divertente zipline, che permette di restare sospesi in aria da un’estremità all’altra della strada.
La parte di ristorazione è davvero molto variegata e va dai ristoranti gourmet a quelli etnici. Molti i piatti interessanti, nessuno a buon mercato. Ovviamente, come in tutti gli Stati Uniti, si trovano fast food a ogni angolo per chi non vole spendere troppo. Tra questi, l’ottimo e moderno Washin Patato at Fontainebleau o al Stubborn Seed at Resorts World.
Per raggiungere Las Vegas una delle combinazioni più interessanti è quella con la compagnia aerea Condor (www.condor.com/it) via Francoforte con ottimi orari di volo, coincidenze e comodità a bordo. Per maggiori informazioni sulla destinazione: www.lvcva.com.
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Bill Clinton e Jeffrey Epstein (Ansa)
Neanche a dirlo, è scoppiato uno scontro tra il Dipartimento di Giustizia e alcuni parlamentari. «La legge approvata dal Congresso e firmata dal presidente Trump era chiarissima: l’amministrazione Trump aveva 30 giorni di tempo per pubblicare tutti i file di Epstein, non solo alcuni. Non farlo equivale a violare la legge. Questo dimostra che il Dipartimento di Giustizia, Donald Trump e Pam Bondi sono determinati a nascondere la verità», ha tuonato il capogruppo dell’Asinello al Senato, Chuck Schumer, mentre il deputato dem Ro Khanna ha ventilato l’ipotesi di un impeachment contro la Bondi. Strali all’amministrazione Trump sono arrivati anche dai deputati Thomas Massie e Marjorie Taylor Greene: due dei principali critici repubblicani dell’attuale presidente americano.
«Il Dipartimento di Giustizia sta pubblicando una massiccia tranche di nuovi documenti che le amministrazioni Biden e Obama si sono rifiutate di divulgare. Il punto è questo: l’amministrazione Trump sta garantendo livelli di trasparenza che le amministrazioni precedenti non avevano mai nemmeno preso in considerazione», ha replicato il dicastero guidato dalla Bondi, per poi aggiungere: «La scadenza iniziale è stata rispettata mentre lavoriamo con diligenza per proteggere le vittime». Insomma, se per i critici di Trump la deadline di venerdì era assoluta e perentoria, il Dipartimento di Giustizia l’ha interpretata come una «scadenza iniziale». Ma non è finita qui. Ulteriori polemiche sono infatti sorte a causa del fatto che numerosi documenti pubblicati venerdì fossero pesantemente segretati: un’accusa a cui il Dipartimento di Giustizia ha replicato, sostenendo di aver voluto tutelare le vittime di Epstein.
Ma che cosa c’è di interessante nei file divulgati venerdì? Innanzitutto, tra i documenti pubblicati l’altro ieri, compare la denuncia presentata all’Fbi nel 1996 contro Epstein da una sua vittima, Maria Farmer. In secondo luogo, sono rispuntate le figure di Trump e Bill Clinton, anche se in misura differente. «Trump è appena visibile nei documenti, con le poche foto che lo ritraggono che sembrano essere di pubblico dominio da decenni. Tra queste, due in cui Trump ed Epstein posano con l’attuale first lady Melania Trump nel febbraio 2000 durante un evento nel suo resort di Mar-a-Lago», ha riferito The Hill. Svariate foto riguardano invece Bill Clinton. In particolare, una ritrae l’ex presidente dem in una piscina insieme alla socia di Epstein, Ghislaine Maxwell, e a un’altra donna dal volto oscurato. In un’altra, Clinton è in una vasca idromassaggio sempre in compagnia di una donna dall’identità celata: una donna che, secondo quanto affermato su X dal portavoce del Dipartimento di Giustizia Gates McGavick, risulterebbe una «vittima». In un’altra foto ancora, l’ex presidente dem è sul sedile di un aereo, con una ragazza che gli cinge il collo con un braccio. Clinton compare infine in foto anche con i cantanti Mick Jagger e Michael Jackson.
«La Casa Bianca non ha nascosto questi file per mesi, per poi pubblicarli a tarda notte di venerdì per proteggere Bill Clinton», ha dichiarato il portavoce di Clinton, Angel Ureña, che ha aggiunto: «Si tratta di proteggersi da ciò che verrà dopo, o da ciò che cercheranno di nascondere per sempre. Così possono pubblicare tutte le foto sgranate di oltre 20 anni che vogliono, ma non si tratta di Bill Clinton». «Persino Susie Wiles ha detto che Donald Trump si sbagliava su Bill Clinton», ha concluso. «Questa è la sua resa dei conti», ha invece dichiarato al New York Post un ex assistente di Clinton, riferendosi proprio all’ex presidente dem. «Voglio dire, se accendete la Cnn, è di questo che stanno parlando. Ho ricevuto un milione di messaggi a riguardo», ha proseguito. «La gente pensa: non posso credere che fosse in una vasca idromassaggio. Chi è quella donna lì dentro?», ha continuato, per poi aggiungere: «Voglio dire, è incredibile. È semplicemente scioccante», ha continuato. Vale la pena di sottolineare che né Trump né Clinton sono accusati di reati in riferimento al caso Epstein. Caso su cui i coniugi Clinton si sono tuttavia recentemente rifiutati di testimoniare alla Camera. Per questo, il presidente della commissione Sorveglianza della Camera stessa, il repubblicano James Comer, ha offerto loro di deporre a gennaio: in caso contrario, ha minacciato di avviare un procedimento per oltraggio al Congresso contro la coppia.
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Il Tribunale dei minori de l'Aquila. Nel riquadro, la famiglia Trevallion Birmingham (Ansa)
Un bambino è un teste fragile estremamente suggestionabile, perché è abituato al fatto che non deve contraddire un adulto, e, soprattutto se il bambino è spaventato, tende a compiacere l’adulto e a dire quello che l’adulto vuole. Ricordiamo che esiste la Carta di Noto, un protocollo di linee guida per l’ascolto del minore in caso di presunti abusi sessuali o maltrattamenti, elaborato da esperti di diverse discipline (magistrati, avvocati, psicologi, ecc.), che sono state sistematicamente disattese per esempio a Bibbiano. Un bambino deportato dalla sua famiglia è per definizione terrorizzato. Il termine corretto per i bambini tolti dalle famiglie dalle assistenti sociali è deportazione. La deportazione avviene all’improvviso, da un istante all’altro, con l’interruzione totale di tutti gli affetti, genitori, nonni, amici, eventuali animali domestici. Il deportato è privato dei suoi oggetti e del suo ambiente e con la proibizione di contatti con la sua vita precedente. Il deportato non ha nessuna padronanza della sua vita. Questo è lo schema della deportazione. Assistenti sociali possono mentire e psicologi possono avvallare queste menzogne con interrogatori suggestivi che portano i bambini a mentire. I motivi sono tre: compiacenza verso superiori o colleghi (è già successo), interesse economico (è già successo), fanatismo nell’applicare le proprie teorie: l’abuso sessuale dei padri sui bambini è diffusissimo, una famiglia non ha il diritto di vivere in un bosco, una madre povera non ha diritto ad allevare suo figlio, i bambini appartengono allo Stato, a meno che non siano rom allora appartengono al clan, un non vaccinato è un nemico del popolo oltre che della scienza e va deportato e vaccinato (è già successo).
Un’assistente sociale può mentire. E dato che la menzogna è teoricamente possibile deve essere necessario, per legge, che a qualsiasi interazione tra lo psicologo e l’assistente sociale e il bambino sia presente un avvocato di parte o un perito di parte, psicologo o altra figura scelta dalla famiglia. È necessario quindi che venga fatta immediatamente una legge che chiarisca che sia vietato una qualsiasi interazione tra il bambino e un adulto, assistente sociale, psicologo, ovviamente magistrato, dove non sia presente un perito di parte o un avvocato. Facciamo un esempio a caso. Supponiamo (siamo nell’ambito delle supposizioni, il posto fantastico dei congiuntivi e dei condizionali) che l’assistente sociale che ha dichiarato che i bambini della famiglia del Bosco sono analfabeti, oltre ad aver compiuto il crimine deontologico gravissimo della violazione di segreto professionale, abbia mentito. Certo è estremamente probabile che i figli di una famiglia con un livello culturale alto, poliglotta, la cui madre lavora in smart working siano analfabeti. È la cosa più logica che ci sia, però supponiamo per ipotesi fantastica che l’assistente sociale abbia mentito. In questo caso è evidente che i bambini non possono tornare a casa per Natale. Se i bambini tornassero a casa in tempi brevi, non sarebbe difficile fare un video dove si dimostra che scrivono benissimo, che leggono benissimo, molto meglio dei coetanei in scuole dove il 90% degli utenti sono stranieri che non sanno nemmeno l’italiano e meno che mai l’inglese, si potrebbe dimostrare che sono perfettamente in grado di farsi una doccia da soli e anche di cucinare un minestrone.
La deportazione di un bambino, coi rapporti troncati da un colpo di ascia, produce danni incalcolabili. I bambini sono stati sottratti ai loro affetti per darli in mano a una tizia talmente interessata al loro interesse che sputtana loro e la loro famiglia davanti a tutta l’Italia e per sempre (il Web non dimentica) con affermazioni (vere?) sul loro analfabetismo e sulla loro incapacità a fare una doccia. Questi bambini rischiano di essere aggrediti e sfottuti dai coetanei per questo, si è spianata la strada a renderli vittime di bullismo per decenni. Con impressionante sprezzo di qualsiasi straccio di deontologia gli operatori, tutti felici di squittire a cani e porci informazioni che dovrebbero essere assolutamente riservate (anche questi il segreto professionale e la deontologia non sanno che cosa siano), ci informano che i bambini annusano con perplessità i vestiti che profumano di pulito. I vestiti non profumano di pulito. Hanno l’odore dei pessimi detersivi industriali reclamizzati alla televisione che deve essere la fonte principale se non l’unica da cui nasce la cultura degli operatori. I loro componenti sono pessimi, non solo inquinanti, ma anche pericolosi per la salute umana a lungo termine: stesso discorso per lo sciampo e il bagno schiuma, soprattutto negli orfanatrofi di Stato, le cosiddette case famiglie, dove si comprano i prodotti meno cari, quindi quelli con i componenti peggiori.
Nessuno dei libricini su cui hanno studiato gli operatori ha spiegato che ci sono ben altri sistemi per garantire una pulizia impeccabile. In tutte le foto che li ritraggono con i genitori, ai tempi distrutti per sempre in cui erano felici, i bambini sono pulitissimi. Tra l’altro tutte queste incredibili esperte di comportamento infantile, non hanno mai sentito parlare di comportamento oppositivo? Un bambino normale, una volta deportato con arbitrio dalla sua vita e dalla sua famiglia, può spezzarsi ed essere malleabile o può resistere ed essere oppositivo. Fai la doccia. Non la voglio fare. Scrivi. Non sono capace. Il bambino oppositivo deve essere frantumato. Non ti mando a casa nemmeno per Natale.
Sia fatta una legge immediatamente. Subito. I bambini del bosco devono avere di fianco un avvocato. Noi popolo italiano, che con le nostre tasse paghiamo i servizi sociali e la deportazione dei bambini, abbiamo il diritto a pretendere che non siano soli. I bambini nel bosco passeranno un Natale da deportati. Qualcuno si sentirà in dovere di informarci che in vita loro non avevano mai mangiato un qualche dolce industriale a base di zucchero, grassi idrogenati e coloranti e che grazie alla deportazione questa lacuna è stata colmata.
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La famiglia Trevallion-Birmingham (Ansa)
È infatti una prepotenza senza significato confrontare una bomba affettiva e esistenziale come tre fratellini che giocano e si vogliono evidentemente bene, accompagnata da genitori altrettanto uniti, e naturalmente affettivi con norme e abitudini di un Paese dove il nucleo abitativo più frequente nelle città più prestigiose consiste in un cittadino singolo. Pretendere che i pochi figli superstiti in qualche «terra di nessuno», con i suoi boschi e le affettuosità (che ancora esistono fuori dalle famiglie-tipo), si uniformino ai secchi diritti e cupe abitudini del sociologico e disperato «gruppo dei pari» è un’operazione di una freddezza stalinista, per fortuna destinata allo scacco. È coltivata da burocrazie che scambiano relazioni profonde e vere, comunque indispensabili alla vita e alla sua felicità, con strumenti tecnici, adoperabili solo quando la famiglia purtroppo non c’è più, molto spesso per l’ottusità e la corruzione dello Stato stesso che le subentra (come racconta Hanna Arendt) quando è riuscito a distruggerla. Se non si vuole creare danni inguaribili, tutti, anche i funzionari dello Stato, dovrebbero fare attenzione a non sostituire gli aspetti già legati all’umano fin dalla creazione del mondo, con pratiche esterne magari infiocchettate dalle burocrazie ma che non c’entrano nulla con la sostanza dell’uomo e la sua capacità di sopravvivere.
Certo, la bimba Utopia Rose, citata nel bel pezzo di Francesco Borgonovo del 18 dicembre, è una testimone insostituibile di un’altra visione del mondo rispetto alle varie ideologie che prevalgono in questo momento, unendo ferocia e ricchezza, cinismo e follia. Impossibile di fronte ai fratellini che tanto scandalizzano le burocrazie perbene non ricordare (oltretutto a pochi giorni dal Natale) l’ordine di Gesù: «Lasciate che questi piccoli vengano a me». Nessuno dubita che entreranno nel Regno prima degli assistenti sociali. Utopia Rose, la più grande, è affettuosa e impegnata, lavoratrice e giocattolona, organizzatrice e sognatrice. Però non è sola (Come si fa a non amarla, e anche un po’ invidiarla?). Non soltanto perché ha i suoi due fratellini, e i tre quarti del pubblico fa il tifo per loro. Ma perché questa visione loro e dei genitori di cercare una vita buona e naturale, semplicemente felice e affettuosa verso sé e verso gli altri e tutto il mondo vivente, cresce con la stessa velocità con la quale si sviluppa l’idolatria verso tutto ciò che è artificiale, fabbricato, mentale, non affettivo. È già qualche anno che chi viene in analisi scopre soprattutto questo: l’urgenza di mettersi al riparo dagli egoismi e pretese grandiose, vuote e fredde, e invece amare. Ormai il fenomeno trasborda nelle cronache. Trasgressione conclusiva, dialettale e popolaresca (milanese): «Spérèm»!
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