2021-01-17
Gli Usa: «Il Covid è un esperimento di Wuhan»
La Casa Bianca svela un rapporto dell'intelligence sul laboratorio nell'epicentro dell'epidemia. Diversi ricercatori si sarebbero ammalati già nell'autunno del 2019: tra le ipotesi, non è escluso stessero lavorando alla creazione di un'arma batteriologica segreta.Un durissimo attacco agli enigmi di Wuhan. L'ultimo atto della presidenza di Donald Trump, quattro giorni prima della sua uscita dalla Casa Bianca, solleva il velo sul laboratorio più misterioso del mondo e potrebbe avere effetti dirompenti nei rapporti tra Stati Uniti e Cina. Nella notte tra venerdì e sabato, l'amministrazione americana ha tolto il segreto a un rapporto intitolato «Activity at the Wuhan institute of virology», chiaramente frutto d'intelligence, dove si legge che «diversi ricercatori di quell'istituto» si sarebbero ammalati «nell'autunno 2019, prima del primo caso identificato dell'epidemia, con sintomi compatibili sia con il Covid-19 sia con le comuni malattie stagionali». Il rapporto sostiene insomma che il virus che ha fatto quasi 2 milioni di morti, e massacrato l'economia mondiale (con la sconcertante esclusione di quella cinese), potrebbe essere fuggito accidentalmente dal laboratorio di Wuhan, la città di 11 milioni al centro della Repubblica popolare dove l'epidemia è cominciata. Il sospetto, che il rapporto giustifica e circostanzia con più elementi concreti, ha spinto ieri il segretario di Stato Mike Pompeo a chiedere con forza all'Organizzazione mondiale della sanità di «indagare a fondo su questa possibilità». E la richiesta americana è arrivata a destinazione nel momento più giusto, visto che l'equipe dei ricercatori dell'Oms incaricati di fare luce sulle origini della pandemia è atterrata da giorni a Wuhan, ma è rimasta sotto la più stretta sorveglianza dalle autorità cinesi e non ha avuto accesso al laboratorio dei misteri, un grosso edificio grigio e nero, a forma di un cubo con un cilindro appoggiato di lato. Per questo, ieri Pompeo ha polemizzato con il regime di Pechino, che «continua a nascondere informazioni vitali, di cui gli scienziati hanno bisogno per proteggere il mondo da questo virus mortale, come dal prossimo». Da un anno, nelle principali centrali dell'intelligence occidentale, girava l'insistente ipotesi che all'origine della pandemia sia stata una misteriosa ricerca condotta a Wuhan, su un coronavirus del pipistrello che al 96,2% sarebbe stato geneticamente identico al Covid-19. Oggi il rapporto americano mette nero su bianco che «almeno dal 2016 (…) i virologi di Wuhan stavano conducendo esperimenti sul RaTG13, un coronavirus dei pipistrelli». Il sospetto è che il virus sia nato per un'irresponsabile manipolazione genetica, operata nel laboratorio, e sia poi sfuggito all'esterno per il contagio involontario di uno o più tecnici. La stessa tesi era già stata espressa mesi fa, tra mille polemiche, dal virologo francese Luc Montagnier, nel 2008 premio Nobel per la medicina grazie alla sua scoperta del virus dell'Hiv. Lo scorso aprile Montagnier si era detto certo che la diffusione del Coronavirus fosse dovuta a «un errore umano degli scienziati cinesi», che cercavano di «mettere a punto un vaccino contro l'Aids partendo dal coronavirus dei pipistrelli». Montagnier aveva spiegato di aver «analizzato attentamente la descrizione del genoma del virus» insieme con il biomatematico Jean-Claude Perez, e di aver verificato che il genoma completo del Covid-19 aveva «al suo interno sequenze di un altro virus, quello dell'Aids». Per quanto proveniente dall'uomo che 12 anni fa aveva vinto il Nobel proprio per avere identificato l'Hiv, la terribile accusa di Montagnier («Qualcuno a Wuhan ha fatto un lavoro da apprendista stregone») era stata immediatamente buttata in politica e seppellita da una canea di critiche. Lo scienziato era stato denigrato come un propalatore di bufale, era stato addirittura rimproverato di essersi allontanato dalla medicina ufficiale. E alla fine era stato zittito brutalmente, come non sarebbe accaduto al più fastidioso dei No-vax.Oggi il rapporto americano conferma le tesi di Montagnier e ricorda anche che «le infezioni accidentali nei laboratori hanno causato in precedenza molti focolai di virus in Cina e altrove, tra cui un'epidemia di Sars, a Pechino, che nel 2004 ha infettato nove ricercatori e ne ha ucciso uno». Il documento rimprovera al Partito comunista cinese di avere «impedito a giornalisti indipendenti, investigatori e autorità sanitarie globali d'intervistare i ricercatori dell'Istituto di virologia di Wuhan, compresi quelli che si erano ammalati nell'autunno 2019». E aggiunge, perentorio: «Qualsiasi indagine credibile sull'origine del virus deve includere interviste a questi ricercatori, e un resoconto completo della loro malattia (quella emersa nell'autunno 2019 e fin qui mai dichiarata, ndr)».Nelle sue ultime righe, il rapporto desecretato da Trump aggiunge particolari molto inquietanti. Ventila il sospetto che nell'Istituto di virologia di Wuhan si stesse lavorando segretamente a un'arma batteriologica, peraltro vietata da tutte le convenzioni internazionali: «La segretezza», si legge, «è una pratica standard per Pechino. Da molti anni gli Stati Uniti sollevano pubbliche preoccupazioni sul lavoro della Cina in materia di armi biologiche, che Pechino non ha mai dimostrato di aver abbandonato».Per avvalorare la tesi dell'arma batteriologica, il Rapporto rivela che, nonostante l'Istituto di virologia di Wuhan si presenti come un'istituzione civile, «gli Stati Uniti hanno scoperto che ha collaborato a pubblicazioni e progetti segreti con le autorità militari cinesi». E che almeno dal 2017 «è stato impegnato in ricerche classificate, ivi compresi gli esperimenti sugli animali da laboratorio, per conto dell'esercito cinese». Gli americani non sono i soli a esserne convinti. Il Mossad israeliano crede che almeno alcuni settori del laboratorio di Wuhan covino in segreto armi biologiche. E la velocità con cui la Cina si sarebbe liberata dal virus potrebbe esserne la conferma: chi lavora a un'arma batteriologica, del resto, provvede sempre a dotarsi di un antidoto efficace. L'ipotesi più generosa, è ovvio, resta l'errore umano. Oggi sembrerà strano, ma il rischio era stato segnalato dall'ambasciata americana a Pechino già il 27 marzo 2018. Il console statunitense Jamison Fouss e un suo consigliere scientifico avevano visitato il nuovo edificio del Wuhan institute of virology, appena inaugurato. E avevano trasmesso a Washington un allarmato rapporto, per avvertire che in quel laboratorio c'erano «evidenti problemi nella gestione e nelle protezioni», e che «le ricerche sul legame coronavirus-pipistrelli e la possibile trasmissione verso gli esseri umani» potevano comportare «il rischio di una nuova epidemia». Evidentemente, nessuno li ha ascoltati.
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