2019-10-02
Gli Usa archiviano il cane a sei zampe dalle accuse di corruzione in Africa
Il Dipartimento di giustizia americano ha disposto un nulla di fatto al termine delle indagini a carico dell'Eni in Nigeria e Algeria. Oltreoceano svanisce l'ipotesi della maxi tangente. Il processo ora continua a Milano.Nei giorni della visita del segretario di Stato Mike Pompeo in Italia, dagli Usa arrivano buone notizie per l'Eni, il nostro colosso petrolifero sotto processo per la presunta tangente da 1,1 miliardi di dollari sulla concessione del giacimento Opl 245 in Nigeria. Il 27 settembre il Dipartimento di giustizia americano ha infatti deciso di archiviare la posizione della partecipata: sia nel caso nigeriano, sia in quello relativo all'Algeria. Va sottolineato che in quest'ultimo procedimento la società era già stata assolta in Italia nel settembre 2018 insieme con gli ex vertici, tra cui l'ex amministratore delegato, Paolo Scaroni, e l'allora responsabile Eni Nord Africa, Antonio Vella: a essere condannata era stata invece la controllata Saipem. C'è soddisfazione dal quartier generale di San Donato: una nota uscita ieri «tiene a ribadire la correttezza dell'operato» dell'azienda e di «quello del suo management in relazione all'acquisizione del blocco Opl 245 in Nigeria, rispetto alla quale le verifiche interne condotte da consulenti indipendenti su delibera degli organi di controllo non hanno evidenziato alcuna condotta illecita. La società confida che il processo in corso presso il tribunale di Milano possa fare chiarezza quanto prima sull'infondatezza delle accuse». Ora il Dipartimento di giustizia statunitense ha chiuso la pratica dopo le verifiche fatte ai sensi della normativa anticorruzione Usa (Fcpa). Di sicuro si tratta di un punto importante per la difesa di Eni, in questi mesi impegnata nel processo di Milano dove sono imputati anche l'attuale amministratore delegato, Claudio Descalzi, e lo stesso Scaroni con altri. Vittoria da registrare più sul piano politico che legale, dal momento che non si pone il problema del «doppio giudizio», almeno ai fini della Sec, la Consob a stelle e strisce. C'è un'inchiesta pure in Olanda - è coinvolta anche Shell, partner di Eni su Opl 245. Qui non c'è stata ancora una chiusura indagini, mentre in Nigeria la situazione resta complessa dal punto di vista giudiziario. Anche in Inghilterra il caso è stato chiuso da tempo. Resta insomma da capire che accadrà a Milano, dove sono a giudizio tramite rito abbreviato i due intermediari, il nigeriano Emeka Obi e l'italiano Gianluca Di Nardo, condannati a settembre a quattro anni di reclusione per corruzione internazionale per le presunte tangenti pagate dai due gruppi petroliferi per la concessione del giacimento petrolifero nigeriano. Una sentenza di 300 pagine, firmata dal gup Giusy Barbara, che sostiene che Eni e Shell fossero consapevoli che dietro la società Malabu, titolare della licenza Opl 245, si celasse in realtà l'ex ministro del Petrolio nigeriano, Dan Etete. E che soprattutto 1,1 miliardi di dollari sul prezzo totale di 1,3 erano destinati per metà all'ex ministro e per metà a tangenti a ministri e a pubblici ufficiali nigeriani. Secondo gli Stati Uniti però le cose non stanno così. Ora toccherà alle prossime udienze del processo milanese districare la matassa, dopo che nei mesi scorsi anche uno dei testimoni chiave per dimostrare la corruzione internazionale dell'azienda e dei vertici, il manager Vincenzo Armanna, è stato smentito dal suo ex avvocato, Fabrizio Siggia, come raccontato dalla Verità il 20 settembre scorso. Armanna avrebbe sostenuto durante la testimonianza tesi «false» e «diffamatorie». Ma, a parte questo passaggio processuale, anche durante le udienze dello scorso anno Eni avrebbe comunque raccolto testimonianze a favore della sua estraneità. Tra queste, quella di Debra La Prevotte, 20 anni di carriera a livelli altissimi nell'unità anticorruzione dell'Fbi. A ottobre, durante la nona udienza, l'attuale Senior investigator di The Sentry (l'Ong di George Clooney impegnata nel combattere la corruzione in Africa), aveva tracciato tutti i trasferimenti di denaro relativi all'affare Opl 245 fra il 2011 e il 2014, sin da quando la somma sarebbe stata versata da Eni e Shell su un conto corrente della Jp Morgan intestato al governo della Nigeria. L'avvocato Neri Diodà, della difesa di Eni, aveva domandato a La Prevotte se ci fossero nella ricostruzione dei flussi finanziari «situazioni oggettive che potessero portare a Eni in qualsiasi modo». La risposta dell'ex agente Fbi fu questa: «Non lo so».