2022-07-03
Gli ultracorpi del potere ci invadono la vita
Negli ultimi due anni propaganda, emarginazione e colpevolizzazioni hanno strappato la nostra rete di relazioni. Gli affetti si sono trasformati in rancore e avversione. E soffriamo tutti della sindrome di Capgras che mina le basi della nostra socialità.Joseph Capgras, vissuto fra il 1873 e il 1950, fu uno psichiatra francese, oggi noto quasi esclusivamente per una sindrome che porta il suo nome e che lui identificò nel 1923, descrivendola come l’illusion des sosies (l’illusione dei sosia). Chi ne è affetto si convince che le persone a lui care siano state sostituite da impostori. Non ci sono trattamenti specifici; si possono provare psicoterapia o farmaci antipsicotici, come li si può provare in svariati altri disturbi.Quando non è giudicata patologica, questa condizione viene rappresentata, nella letteratura e nel cinema, come frutto di interventi maligni, spesso operati da creature extraterrestri. Il film L’invasione degli ultracorpi, diretto da Don Siegel nel 1956 (e menzionato in un altro mio articolo), ne dà una rappresentazione globale e angosciosa. Nella cittadina fittizia di Santa Mira, in California, il dottor Bennell riceve una serie di pazienti che sembrano colpiti dalla sindrome di Capgras. Una donna non riconosce più lo zio, una moglie il marito, un bambino scappa spaventato da quella che non considera più sua madre. L’ovvio suggerimento è che sia appunto un problema psicologico e che, come è venuto, se ne andrà. Ma non è così: sono invece piovuti sul terreno circostante, dallo spazio interplanetario, semi che crescono in giganteschi baccelli; quando questi si schiudono, ne fuoriescono copie delle persone di casa, che acquistano i loro tratti fisici e mentali, mentre gli «originali» spariscono. Copie perfette in tutto, se non per il fatto che non danno mostra di emozioni o sentimenti. Nel finale originario del film, Bennell, rimasto il solo essere umano di Santa Mira, tenta disperatamente (e senza successo) di fermare macchine in corsa sull’autostrada per avvertirne i passeggeri del pericolo, mentre camion pieni di baccelli viaggiano sulla stessa autostrada, esportandolo. Preoccupata per le reazioni del pubblico a un esito così pessimistico, la casa di produzione impose al regista di aggiungere un prologo e un epilogo che suggerivano una possibile salvezza.Girato in economia, in bianco e nero e con attori di secondo piano, L’invasione degli ultracorpi ebbe un notevole successo, che è continuato nel tempo. È stato rifatto tre volte: nel 1978, 1993 e 2007. Viene da chiedersi il motivo del suo fascino intenso e duraturo. Dobbiamo ascriverlo all’attrazione per una malattia tanto strana quanto rara? Credo di no; credo, anzi, che sia sbagliato impostare il tema in termini di patologia o di incubi fantascientifici, che il fascino sia dovuto a un’oscura consapevolezza delle labili basi della nostra socialità.Quel che ci rende solidali non sono rapporti di vicinato (come testimoniano ulteriori film/incubo centrati sugli orrori perpetrati da inquilini dello stesso edificio) e non sono rapporti commerciali, che diventano spesso occasione e teatro di reciproci abusi. Sono i rapporti affettivi ed empatici. Non necessariamente caratterizzati da forte affetto o profonda empatia, che riserviamo in genere a pochi privilegiati (ai nostri «cari»), ma estesi a decine di conoscenti abituali o occasionali di cui condividiamo l’allegria e la tristezza, la passione e lo sdegno, la speranza e la delusione. È un filo tenue come la tela di un ragno ma, in circostanze felici, altrettanto saldo. In circostanze più sfortunate, può spezzarsi, e allora di una famiglia, di un gruppo di amici, di una comunità, quale che sia la robustezza delle strutture architettoniche che li ospitano o degli interessi finanziari che li legano, non resta che un mucchio di stracci (e infatti è quello il momento in cui di solito cominciano a volare gli stracci). Le persone che Joseph Capgras ha richiamato alla nostra attenzione sono probabilmente solo molto più sensibili della media alla fragilità del contesto e all’eventualità che esploda, molto meno disposte della media a tollerare il progressivo disfarsi della tela in nome del quieto vivere, o a lasciarsi imbrogliare da apparenze superficiali cui non corrisponde più nulla di fondato. Molte pratiche malvagie sono state condotte negli ultimi due anni dai poteri politici, accademici e mediatici, con effetti devastanti. Oggi voglio segnalare gli squarci da essi aperti nella tela che ci unisce socialmente. Sono circondato da persone che si sentono alienate, e mi sento io stesso alienato, da numerosi parenti, amici e conoscenti: che non li riconoscono più; il cui affetto ha lasciato il posto all’indifferenza e, nei casi peggiori, si è trasformato in avversione e rancore. Il filo sottile che ci unisce è stato sistematicamente strappato non da ingerenze cosmiche ma dalla propaganda, da minacce e insulti in diretta, da emarginazione e colpevolizzazione prive di motivi sensati. Chissà, forse l’ultima tappa di un tale processo diabolico sarà il dichiararci matti e rifornirci di pillole adeguate.