2023-09-22
«Gli studi smontano le mascherine: nessuna prova che limitino i contagi»
L’epidemiologo Tom Jefferson: «Il virus è troppo piccolo per essere fermato dai dispositivi. Le ricerche parlano chiaro, ma sono censurate, perché la scienza è ormai un derby. Fauci non ha mai fatto trial esaurienti, è imperdonabile».Guai a chiamarla «review sulle mascherine»: si arrabbia moltissimo. Lui è Tom Jefferson, autorevole epidemiologo a livello mondiale, senior associate tutor per l’Università di Oxford (dove tiene anche corsi di filosofia della scienza), revisore della Cochrane (organismo fondato su inspirazione di Archie Cochrane per fornire revisioni aggiornate e indipendenti di tutti gli studi clinici controllati randomizzati, o Rct, i più attendibili in campo scientifico) e già Parkes professor al Royal Army Medical College. È’ lui il primo autore della A122, revisione sistematica sugli interventi per interrompere o ridurre la diffusione dei virus respiratori, come ad esempio il lavaggio delle mani, l’uso degli antisettici, il distanziamento e, appunto, le mascherine. Una review concepita nel 2006 (l’ultimo aggiornamento, il quinto, è di gennaio 2023), che ha avuto l’ambizioso obiettivo di raccogliere e valutare tutti gli studi Rct disponibili su come si trasmettono i virus e su quali misure sono utili, e quali no, per mitigare i contagi. «La revisione include ben 78 trial randomizzati, sulle mascherine ce ne sono 18. Non abbiamo parlato soltanto di queste, insomma», spiega Jefferson.Eppure della sua review interessa soprattutto questa parte… «Mi dicono i miei colleghi antropologi che la mascherina è un segno di compliance, di obbedienza…». Diciamo anche che, in controtendenza con la vulgata mediatica, la vostra revisione ha messo una pietra tombale sulle mascherine: «Non è dimostrato che facciano la differenza». Si arrabbia quando i giornalisti dicono che lei sostiene che non funzionino? «Sì, moltissimo, perché questo non è un approccio scientifico ma politico. Io sono uno scienziato, la politica non è il mio habitat». Due settimane fa Anthony Fauci, ex consulente scientifico di Joe Biden, è andato alla Cnn per dire di continuare a mettere le mascherine perché funzionano «a livello individuale» mentre a livello di comunità «i dati non sono chiari». «Non so di cosa stia parlando: questa frase semplicemente non ha senso». Quando gli hanno fatto presente che la sua review sostiene il contrario, Fauci ha minimizzato dicendo che ci sono «altri studi» che invece dimostrano che le mascherine funzionano. «Quali? È una risposta sibillina. Vede, nella nostra analisi noi abbiamo incluso soltanto studi randomizzati. L’unica spiegazione è che gli “altri studi” cui fa riferimento Fauci siano di bassa qualità (trash studies): studi osservazionali, dati sezionali o addirittura modelli matematici predittivi basati su indovinelli. Ma non hanno valore, noi li abbiamo esclusi dalla revisione perché non rispondono al metodo Cochrane, che consiste nell’analizzare soltanto studi attendibili. Una volta esclusi dalla revisione quelli di bassa qualità, abbiamo concluso che non c’erano prove che le mascherine riducessero la trasmissione. E glielo confermo». Quali sono gli studi sul Covid su cui avete lavorato e cosa dicevano? «Lo studio Abaluck (Bangladesh) e Bundgaard (Danmask). Danmask era uno studio abbastanza piccolo, eppure ci sono voluti mesi e mesi per pubblicarlo, guarda un po’…». Ce ne sono altri? «C’era lo studio Bandim, uno studio controllato randomizzato a cluster nella Guinea-Bissau urbana, ma è sparito. C’è il protocollo, ma dove sia lo studio non si sa. Poi c’è quello canadese di Conly e Loeb. Ce n’è anche uno in Vietnam sulle mascherine fatte a casa, che addirittura potrebbero avere un effetto contrario». Questi studi, insomma, dicono tutti la stessa cosa e cioè che al momento non c’è la prova che indossare le mascherine faccia la differenza? «Sì. Segnalo anche lo studio Miyaki, trial giapponese realizzato durante la pandemia influenzale del 2009 in un cantiere, dove chi aveva sintomi ed era positivo veniva mandato a casa in quarantena. Ebbene, il livello di sintomatologia sul luogo di lavoro è diminuito. In compenso è aumentato a casa. Il mio trial “preferito”, però, è lo studio Ibfelt, condotto in dodici asili nido a Copenaghen. Gli autori hanno chiesto se fosse possibile ridurre la trasmissione dei virus disinfettando i giocattoli condivisi. Hanno scoperto che c’erano state meno assenze per sindrome influenzale nel gruppo di controllo, quello con i giocattoli non disinfettati. Questi sono gli studi su cui la gente dovrebbe riflettere». Tornando alle mascherine: la gente non riesce a credere che davvero non facciano la differenza. «Le mascherine sono industriali. Io, che ho la passione per l’archeologia, le indosso quando partecipo agli scavi e c’è molta polvere. Ciò che la gente, Fauci incluso, non capisce è che i tessuti e le maschere chirurgiche non possono fermare i virus perché sono troppo piccoli e riescono comunque a passare». Parliamo delle chirurgiche o anche delle N95 (simili più o meno alle nostre FFP2)? «Tutte! Il mio collega John Conly, insieme con Mark Loeb - due infettivologi con quarant’anni di esperienza, gente che ne sa qualcosa - hanno fatto uno studio Rct di non inferiorità, raffrontando le mascherine chirurgiche con le N95: non hanno trovato differenze». Quali funzionano, allora? «Potrebbe provare a usare un respiratore militare. Ma con questi - io usavo ad esempio l’M3 - già dopo circa 40 minuti è molto difficile la coordinazione, soprattutto se poi si ha anche una tuta (ride)». Lei quando le ha portate le mascherine? «Quando il governo italiano mi ha detto che dovevo farlo. Io obbedisco alla legge. Ecco, alla fine è riuscita a farmi parlare di politica anche se non volevo. E a questo punto le dico: la questione non va posta in questi termini». Cioè? «Anche la Cnn, dove mi hanno chiamato per replicare a Fauci, mi ha voluto trascinare nel derby “le mascherine funzionano o no”. Sa perché? Perché ormai la popolazione è ubriaca di certezze. Per la gente è tutto «certo»: questo funziona, questo no, domani pioverà dalle 10 alle 10.15… la gente è stata educata a pretendere soltanto certezze, ma non esiste certezza nella scienza! Alla base della scienza c’è l’incertezza. Quindi, dal punto di vista scientifico, non è corretto dire “funzionano” o “non funzionano”, ma è corretto dire che al momento non c’è alcuna prova che le mascherine, sul piano individuale o in comunità, facciano la differenza». Se però l’esito delle ricerche ha un impatto diretto sulla qualità di vita delle persone, è legittimo che la gente voglia risposte chiare. «Lo capisco. Ma a questo punto, visto che siamo in campagna elettorale Usa, basta chiedere, come contribuenti, che i governanti facciano dei trial enormi e non solo sulle famose mascherine. Io non condivido alcuni attacchi sgangherati che sono stati fatti a Fauci, ma va detto che solo lui e pochi altri erano nella posizione di poter condurre una sperimentazione. Avrebbe potuto randomizzare due regioni per capire se indossare le maschere poteva servire o no: non lo ha fatto e questo è imperdonabile». Costavano troppo? Ci sarebbe voluto troppo tempo? «Questa è una questione di lana caprina… o di smemorati di Collegno. Ci sarebbe stato tutto il tempo». Ci sono state polemiche a livello mondiale dopo la pubblicazione della vostra revisione. Le vuole riassumere lei? «Sono successe due cose: la prima è che, dopo aver ritardato la pubblicazione della nostra revisione per mesi con scuse risibili, il caporedattore di Cochrane, Karla Soares-Weiser, ha capitolato alle pressioni e si è quasi scusata per la formulazione del nostro abstract, scrivendo che poteva portare ad affermazioni “imprecise e fuorvianti”. La seconda è che l’ex direttrice dei Cdc americani, Rochelle Walensky ha dichiarato al Congresso Usa che la nostra revisione era stata “ritirata”, il che era palesemente falso». Com’è andata a finire? «È successo che non abbiamo cambiato di una virgola la nostra revisione (ride). E il Congresso è stato costretto a mettere una nota sul verbale della deposizione di Walenski, scrivendo che la sua affermazione - ossia che il nostro lavoro era stato “ritirato” - era falsa. Inoltre, la nostra revisione è al momento quella più citata». Morale? «Si possono criticare i nostri studi finché si vuole, ma l’evidenza è questa. Se io ricevessi una sterlina per tutte le volte che la gente mi cita a vanvera, a quest’ora sarei alle Bahamas, nella mia villa di 15 stanze (ride)». È per questo che lei e Carl Heneghan avete aperto il sito Trust The Evidence sulla piattaforma Substack, che ha già decine di migliaia di iscritti? «Sì, e consiglio di consultarlo. Lì raccontiamo nei dettagli quello che succede nella comunità scientifica e spieghiamo l’esito delle nostre ricerche». È cambiato il metodo scientifico? «Più che cambiato: capovolto. Con i modelli matematici predittivi (quelli usati dal governo italiano per prolungare i lockdown, nda) abbiamo davvero toccato il fondo: i modelli non sono evidenze, non sono prove scientifiche. Questo è il capovolgimento delle ragioni per cui Cochrane è stata fondata. Chissà se sarà possibile risalire la china».