2018-08-30
«Gli ospedali sono il parcheggio dei vecchi»
Il direttore del pronto soccorso Careggi, a Firenze, Stefano Grifoni: «Letti occupati da anziani che dovrebbero essere dimessi, ma restano qui perché non si sa dove mandarli. Servono strutture che li accolgano, gestite da volontari e studenti. La sanità ci guadagnerebbe».L'Italia è un Paese di vecchi, ma non per vecchi. Si vive di più, però in quel segmento di vita che la scienza prima, e la provvidenza poi - o viceversa, fate voi - ci hanno concesso, si vive peggio. Quando sentite dire che il pronto soccorso dell'ospedale è ingolfato, che le attese sono lunghissime, ebbene, una buona parte dei motivi vanno attribuiti al parcheggio di pazienti, soprattutto anziani, che hanno superato la fase acuta di una malattia e non sanno dove essere sistemati. Perché nel reparto di medicina il posto è occupato da altri anziani, che a loro volta dovrebbero essere dimessi. Ma per andare dove? È una drammatica catena di Sant'Antonio che non si spezza. Questa, ovviamente, non per responsabilità dei nostri nonni, ma di un sistema sanitario e sociale che non riesce ad accoglierli, e oltretutto li tiene «prigionieri» nel luogo peggiore, dove non trovano un ambiente ideale per le loro condizioni psicologiche. Dopo una certa età, in ospedale, spesso si va a morire. Una ragione è anche che il sistema non ha la forza per arginare l'emergenza della Terza età. Non ha strutture adeguate, nonostante spesso si illuda di averne. Non sa (o non vuole) accudire gli over 75, con la stessa cura con la quale presta attenzione a un paziente in un'altra fase della vita. Serve una struttura borderline fra la medicina e il sociale, che tuttavia non può essere la Rsa o tanto meno la casa di riposo. Ci vorrebbe una terrazza sulla vita, non un parcheggio per aspettare il momento di andarsene. «Venga qua, guardi questi letti», mi fa il direttore di uno dei pronto soccorsi più grandi ed efficienti d'Europa, «sono occupati da persone anziane che non dovrebbero essere qui, perché hanno superato la fase acuta della malattia per cui si sono rivolti a noi e dovrebbero essere ricoverati in reparto o tornare a casa». Siamo a Careggi, Firenze. Il direttore si chiama Stefano Grifoni, mi racconta che ha cominciato facendo servizio sulle ambulanze nelle campagne del Mugello, convinto dalla moglie di Sandro Pertini, che bazzicava spesso da queste parti. Come dire che l'emergenza e la medicina d'urgenza ce l'ha addosso. I problemi e le fragilità della popolazione più svantaggiata lo stesso. Nelle nuovissime stanze dello storico ospedale fiorentino, inaugurate tre anni fa, vengono accolti 400 pazienti al giorno, oltre 120.000 in un anno. In Toscana ci sono tanti aspetti del sistema sanitario che non vanno, ci sono tante code, liste d'attesa infinite se non ti classificano come caso urgente, medici di famiglia che non ti vengono a visitare a casa e semmai ti consigliano di chiamare la guardia medica, che sistematicamente, soprattutto se sei anziano, ti spedisce al pronto soccorso. Però questo aspetto dell'emergenza funziona. Le difficoltà cominciano quando finisce l'emergenza. «Non abbiamo tenuto conto del cambiamento sociale: Una volta chi si occupava dei cittadini malati era la famiglia, oggi non è così. La famiglia non c'è più. Il fenomeno delle badanti l'ha sostituita, ma è tutto un altro discorso». Lei, dottore, si riferisce agli anziani? «Gli ospedali sono pieni di anziani, in Italia ce ne sono parecchi milioni, molti dei quali sono cardiopatici o affetti da demenza senile, faccia lei. Da noi vengono per tutte le problematiche. L'ospedale è diventato un punto di riferimento per tutto».Quali altri tipologie di persone si rivolgono al pronto soccorso? «C'è la popolazione che si sente male, non è malata ma pensa di esserlo. E poi infarti, tumori, ictus. Ci si rivolge all'ospedale perché all'esterno nessuno è in grado di fare diagnosi». Il medico di famiglia che ci sta a fare? «Oggi ci sono apparecchi diagnostici sofisticatissimi, penso alla Tac, alla risonanza magnetica, all'ecografia: il medico di base ha sempre meno strumenti per diagnosi e terapie. La risposta immediata ai cittadini non può darla altri che l'ospedale». Quindi non è solo un problema di popolazione anziana. «Non solo, certo. Ma il pronto soccorso ha un meccanismo tale, che si blocca, a causa di queste persone che non sappiamo dove destinare. Nei reparti sono stati tagliati i posti letto, quindi il ricovero deve attendere e loro restano da noi, anche se non avrebbero più bisogno». Rimandarli a casa? «Ma lei lo sa che ci sono famiglie che non li vogliono, gli anziani? Non per cattiveria. Ci dicono che devono andare a lavorare e non possono star dietro al nonno». La situazione che lei ha spiegato è molto triste e cruda. «L'ospedale non è più esclusivamente un luogo di cura ma un posto dove le persone socialmente deboli cercano assistenza non medica. Al pronto soccorso si può osservare uno spaccato di vita: qui arriva tanta gente, tutti diversi uno dall'altro. Il nostro problema non è l'accoglienza ma il fatto che i cittadini siano costretti ad attendere per ore e ore il posto dove essere ricoverato. E sono soprattutto anziani». Dottor Grifoni, lei mi ha detto che lavora qui, su questo fronte sanitario da 25 anni. Come pensa si possa uscire? Sono brutale: è un problema di soldi? «Io critico questo sistema, proprio perché non ha capito ancora che dando genericamente soldi alla sanità non si risolve il problema. È una questione organizzativa. L'autorità politica deve sapere dove investire i soldi, sennò non servono». Dove andrebbero impiegati, dunque? «Vede: il 30-40 per cento della spesa sanitaria pubblica viene utilizzato per la cronicità. Il parcheggio di un malato, perché non si sa dove sistemarlo, costa all'ospedale più di 500 euro al giorno. Dunque, basta convogliare i finanziamenti in una struttura che sia capace di accogliere l'anziano che ha superato la malattia dopo la fase acuta del Pronto soccorso». Mi spiega perché le Rsa non possono svolgere questo ruolo? «Prima di tutto perché nelle Rsa pubbliche non ci sono posti disponibili e quelle private costano molto. E poi si fondano su un concetto diverso da quello che servirebbe, perché creano una specie di isolamento dalla vita di tutti i giorni. Le ripeto: il nostro problema, al momento delle dimissioni, è chi assisterà gli anziani fuori di qui». Come organizzerebbe lei queste nuove strutture ricettive? «La mia proposta è di ricorrere molto al volontariato, che per fortuna da noi esiste ed è forte. Poi arruolerei studenti di medicina e di infermieristica, che ci sono. Faccio notare che questo tipo di assistenza costerebbe assai meno di 500 euro al giorno necessari per la degenza in ospedale».Formalizziamo la sua proposta, dottor Grifoni? «Spero che la politica mi ascolti».