2022-12-17
Gli intrecci sospetti con gli ayatollah e gli sponsor socialisti sul nucleare
Federica Mogherini (Ansa)
L’accordo sull’atomica stracciato da Donald Trump nel 2018 è il fulcro dell’alleanza tra Doha e Teheran. Anche grazie al sostegno dei big del Pd: da Federica Mogherini a Brando Benifei.Nel mezzo dello scandalo Qatargate si fa strada un interrogativo: e se da questa intricata vicenda emergesse lo zampino iraniano? La domanda è legittima alla luce di alcuni elementi. Storicamente il Qatar si è mostrato piuttosto amichevole verso Teheran. Doha ha infatti sempre spalleggiato il controverso accordo sul nucleare iraniano. Era novembre 2013, quando il Qatar definì l’intesa come «un passo importante per salvaguardare la pace e la stabilità nella regione». Non è un caso che, a giugno scorso, proprio Doha abbia ospitato i negoziati per cercare di ripristinare quell’accordo: un accordo da cui Donald Trump si era ritirato a maggio 2018 e che, al contrario, Joe Biden sta tentando di rilanciare. Era invece lo scorso luglio, quando il ministro degli Esteri del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, si è recato a Teheran, confermando il proprio sostegno al nuclear deal iraniano. Dal canto suo, il regime degli ayatollah ha sempre considerato l’accordo sul nucleare come necessario per consolidare internamente il proprio potere e per rafforzare la sua posizione internazionale. Ebbene, quella controversa intesa ha spesso trovato una sponda significativa nella sinistra europea. Tra i suoi artefici nel 2015 ci fu infatti l’allora Alto rappresentante Ue per gli affari esteri, Federica Mogherini, che –nella Commissione Juncker – era in quota Pse. Quel Pse che, il 14 luglio di quell’anno, emise un comunicato di sostegno all’accordo iraniano, definendolo «storico». Sempre il Pse pubblicò un’altra nota l’8 maggio 2018, accusando Trump di aver «sabotato» l’intesa: un’intesa difesa a spada tratta anche dal Pd. A giugno scorso, Lia Quartapelle è tornata a criticare lo stesso Trump per aver abbandonato il trattato. Una posizione espressa anche da Brando Benifei, che nel gennaio 2020 definì l’intesa come «il maggior risultato della politica estera europea degli ultimi anni». A ben vedere, non si capisce come questa tesi possa conciliarsi col sostegno ai dissidenti del regime khomeinista, visto che quell’accordo mira chiaramente a consolidare il potere degli ayatollah (senza poi trascurare che tra i suoi principali fautori c’è sempre stato il Cremlino). Ma veniamo ad Antonio Panzeri, la cui ong (fondata nel 2019) Fight Impunity avrebbe ricevuto – secondo la Procura belga – soldi qatarioti. Ebbene, pur dicendosi preoccupato sul fronte dei diritti umani, proprio l’ex europarlamentare ha espresso in passato delle posizioni curiosamente filoiraniane. In un’intervista a Radio Radicale del 19 dicembre 2013, disse di augurarsi uno «sbocco positivo» nei negoziati sul nucleare iraniano. Era invece il 12 giugno 2018, quando, all’Europarlamento, prese le parti di Teheran contro gli Usa e Israele. «Penso che non bisogna dare pretesti all’atteggiamento americano. Parliamoci chiaro: in questo momento, non c’è nulla che possa essere ragionevolmente fatto per convincere Trump, Netanyahu e bin Salman per spingerli in direzione di una posizione di dialogo e di razionale analisi della situazione», dichiarò, per poi proseguire: «Se l’Europa, così come l’Iran, vuole avere una chance di uscire da questa difficile situazione, è indispensabile che questa chance venga vista soprattutto nella capacità di logorare i loro propositi attraverso il buon senso e la pazienza. Le condizioni di Pompeo, tra l’altro, rappresentano più uno strumento nelle mani dell’amministrazione israeliana che in quelle statunitensi, aprendo la porta per una legittimazione di un conflitto di fatto già iniziata da alcune settimane sul suolo siriano». «Un piano ben impostato che l’Europa e l’Iran possono scardinare solo attraverso la pazienza diplomatica, nell’ottica di far chiudere quella finestra di opportunità che oggi Netanyahu sembra voler gestire in prima persona», concluse l’allora eurodeputato (che nell’aprile 2017 aveva lasciato il Pd per approdare ad Articolo 1). Il 12 dicembre 2017, Panzeri aveva inoltre criticato Trump per aver riconosciuto Gerusalemme capitale di Israele: una mossa che pochi giorni prima era stata condannata dal governo di Doha e che, pochi giorni dopo, sarebbe stata duramente attaccata dal parlamento iraniano. Giova a tal proposito ricordare che Panzeri è storicamente vicino a Massimo D’Alema. E proprio D’Alema si recò a Teheran il 17 dicembre 2013, incontrando l’allora ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif. Appena pochi giorni dopo, fu Emma Bonino a effettuare una visita nel Paese, in qualità di capo della Farnesina nel governo Letta: era la prima volta in dieci anni che un ministro degli Esteri italiano si recava in Iran. Non solo: nel corso di un viaggio romano avvenuto a maggio 2021, Zarif ha avuto un nuovo incontro con D’Alema. Infine, va rilevato che sia la Mogherini sia la Bonino hanno fatto parte dell’honorary board di Fight Impunity. Non sappiamo per ora se dal Qatargate emergeranno delle ramificazioni khomeiniste. Certo è che i legami e le posizioni espresse da Panzeri alimentano domande. Soprattutto una: perché la sinistra europea è sempre stata così bendisposta verso l’accordo sul nucleare iraniano?