
In Italia ci sono ben 30.000 potenziali creature conservate a 190 gradi sotto zero, senza che si sappia cosa farne. Se nessuno le reclama, si attende che vadano in «deperimento distruttivo». La contraddizione assurda di una cultura che disprezza la vita.E adesso che ne facciamo? Ovvio: li facciamo morire lentamente. Però siccome ce ne vergogniamo un po', perché uccidere non è mai bello, neppure in nome del progresso, ribattezziamo la morte e la chiamiamo: «deperimento distruttivo». Lo sentite come suona bene? Deperimento distruttivo. Un po' come se uno sparasse in testa alla sua fidanzata e mentre lei domanda: «Ma che cosa stai facendo?», lui rispondesse: «Non preoccuparti, cara, è deperimento distruttivo». «Ah beh, allora posso morire più tranquilla». Se si trattasse così un cagnolino o un gatto, ci sarebbero già le piazze piene di manifestazioni, servizi scandalizzati ai telegiornali, Internet impazzito. Invece sono solo embrioni, cioè esseri umani. Chi se ne frega?La notizia arriva da Milano, ed è stata confinata nelle cronache locali. Ma sì: che non si sappia troppo in giro, mi raccomando. In realtà il dilemma che questa notizia pone è assai più che locale, anche assai più che nazionale, oserei dire: universale. Di che si tratta? Semplice: sono stati dissequestrati, in queste ore, i 700 ovuli fecondati nella clinica di Severino Antinori, il professore arrestato nel maggio 2016 e poi condannato in primo grado a 7 anni e 2 mesi di carcere per «lesioni aggravate e rapina di ovociti». Questi embrioni sono stati conservati per oltre due anni in contenitori di azoto liquido a meno 196 gradi nella «biobanca» del Policlinico. Ora che succede? Teoricamente potrebbero essere restituiti ai genitori, legittimi proprietari. Ma solo in pochi finora hanno fatto richiesta. Dunque, scrive Il Corriere della Sera, c'è il rischio evidente che restino «orfani». Scrivono proprio così: orfani. Come i bambini.E che cosa si fa di un «orfano»? Ovvio: lo si lascia morire. Anzi, no: lo si avvia al «deperimento distruttivo». Che poi è la stessa cosa, ma suona molto più scientifico e progressista. Del resto è quello che prevede la legge: gli embrioni vanno tenuti lì. In frigorifero. Per l'eternità. O fino a quando si autodistruggeranno. E il problema, purtroppo, non riguarda soltanto i 700 embrioni dissequestrati in queste ore a Milano, ma tutti gli altri che sono stati congelati negli ultimi anni nelle cliniche del Paese: si tratta di oltre 30.000 potenziali creature, che se ne stanno in frigorifero, a 190 gradi sotto zero, senza che nessuno sappia che cosa farne. A parte, ovviamente, aspettare il «deperimento distruttivo».E dietro questo eufemismo, come capirete, c'è tutta la contraddizione assurda di una cultura che disprezza la vita e che non ha nemmeno il coraggio di ammetterlo. Perché se davvero gli scienziati di casa nostra pensano che in quelle provette ci sia soltanto «un ammasso di cellule», come hanno sostenuto a più riprese, allora dovrebbero avere il coraggio di dire che vanno distrutte. O vivisezionate per esperimenti scientifici. Non vi pare? Se invece le tengono lì è perché sanno benissimo, anche i luminari della cultura laica, che dentro quell'«ammasso di cellule» c'è il germe della vita. E anche se non l'ammettono, in esso ci vedono l'immagine di un bimbo, tanto è vero che, quando i genitori non lo reclamano, come in questo caso, per definirlo usano la parola «orfano».Orfano, capite? Il linguaggio svela l'immensa ipocrisia che si nasconde dietro tutta questa vicenda. Perché la verità è che la cultura della vita in provetta, la rincorsa forsennata alla creazione in laboratorio, la ricerca a tutti i costi dell'esistenza per via tecnologica, produce paradossi insanabili, come quello che abbiamo di fronte agli occhi: che si fa di queste piccole creature? Vorrebbero mandarle al macero, vorrebbero usarle per scopi scientifici. Vorrebbero. Ma nessuno osa prendersi la responsabilità. Molto più comodo lasciarle lì, a distruggersi giorno dopo giorno, mentre tutti noi giriamo la testa dall'altra parte. Del resto chi si preoccupa degli orfani, oramai?Eppure non sarebbe difficile risolvere questo problema: per non avere embrioni in sovrannumero basterebbe non produrli in sovrannumero. Semplice, no? Infatti la legge sulla fecondazione artificiale, in origine, già prevedeva il limite (sacrosanto) di non più di tre embrioni, tutti da trasferire nell'utero della donna. Poi, però, una geniale sentenza della Corte Costituzionale ha abbattuto quel divieto, in nome della libertà della donna e della libertà della medicina. E così, allegria!, nei laboratori hanno cominciato a produrre embrioni su embrioni, quantità in eccesso, avanti, alla carica, produzione in serie, come alla catena di montaggio. E adesso non sanno che cosa farne. Perciò non resta loro che girare la testa dall'altra parte, facendo finta di nulla. E magari provando a convincersi che la condanna a morte di un «orfano» è una cosa naturale solo perché la si chiama «deperimento distruttivo».
Il periodico francese di sinistra l’ha definita «La donna forte d’Europa». Una «consacrazione» che segue le altre prime pagine conquistate dal premier in tutto il continente, dove la sua visione continua ad attecchire.
Giusi Bartolozzi (Imagoeconomica)
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