2020-02-02
Gli avvocati contestano Davigo i magistrati bocciano Bonafede
Il consigliere Csm parla all'apertura dell'anno giudiziario a Milano e i penalisti escono dall'aula agitando la Costituzione. Il primo presidente di Cassazione stronca la riforma. Il pg Roberto Alfonso: «Allunga i processi».Alle inaugurazioni dell'Anno giudiziario ieri sono volate le sberle alla legge sulla prescrizione in vigore dal primo gennaio che sospende la «tagliola» dopo la sentenza di primo grado.Ma la protesta più plateale è stata quella del capoluogo lombardo, dove 120 avvocati della camera penale hanno alzato i tacchi e sono usciti dall'aula magna nel momento in cui ha preso la parola il consigliere del Csm, Piercamillo Davigo agitando cartelli con tre articoli della Costituzione: il 24 (diritto di difesa), il 27 (presunzione di innocenza) e il 111 (giusto processo). Tutti, a loro avviso, violati dalla riforma sulla prescrizione. «Questo non è un gesto contro il singolo Davigo, contro alcune idee che hanno frequentato i suoi ultimi discorsi. Noi non siamo contro di lui ma siamo a difesa dei diritti dei più deboli, degli ultimi, degli imputati e delle vittime, a favore della corretta applicazione dei principi costituzionali che sono quelli che abbiamo esposto nei nostri cartelli», ha detto il presidente della Camera penale Andrea Soliani. Ma il suo discorso non è stato ascoltato da Davigo, che è uscito dal Palazzo di Giustizia prima dell'intervento dell'avvocato, Di certo, però, i penalisti milanesi non hanno digerito l'intervista rilasciata lo scorso 9 gennaio al Fatto quotidiano nella quale l'ex pm di Mani pulite prendeva posizione anche sul ruolo dell'avvocatura. «Esternazioni» che, secondo la Camera penale milanese, «negano i fondamenti costituzionali del giusto processo, della presunzione di innocenza e del ruolo dell'avvocato nel processo penale». In difesa di Davigo hanno subito fatto quadrato il Comitato di presidenza del Csm, l'Anm (il presidente Luca Poniz ha definito l'azione degli avvocati una forma di «ostracismo preventivo») e le diverse correnti delle toghe. La polemica è così deflagrata ieri a Milano davanti alla presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia e al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Ovvero il padre della nuova legge, che è stato contestato anche nel resto d'Italia: a Napoli gli avvocati del Foro partenopeo hanno sfilato in manette, a Catania alcuni legali, durante il discorso del rappresentante del ministero della Giustizia, hanno sventolato, i testi del Codice penale, mentre a Messina, gli avvocati del distretto della Corte di appello hanno scelto di assistere alla cerimonia senza indossare la toga. «Divergenze fisiologiche», le ha definite il ministro che non vuole essere etichettato come manettaro e si dichiara pronto al confronto «con tutti gli attori» sui tempi del processo. «Non ho mai detto che per me la prescrizione è un modo per ridurre questi tempi», ha poi aggiunto rivendicando, tra l'altro, di essere «il primo ministro della Giustizia che ha stabilito un controllo strutturale dell'ispettorato del Ministero su tutti i casi di ingiusta detenzione». Non sono solo gli avvocati, però, a stroncare la riforma che non piace nemmeno al primo presidente di Cassazione, Giovanni Mammone. Cioè a un giudice. «Si prospetta», ha avvertito ieri, «un incremento del carico di lavoro della Corte di cassazione di circa 20.000-25.000 processi per anno». Tra l'altro, «nel distretto di Milano la prescrizione nella fase delle indagini preliminari incide per il 3,79%», ha ricordato il Procuratore generale del capoluogo lombardo, Roberto Alfonso, lamentando «spaventosi vuoti di organico e la mancanza di risorse che contribuiscono a determinare tempi lunghi del processo. Condividiamo l'opinione di chi sostiene che la sospensione del corso della prescrizione non servirà sicuramente ad accelerare i tempi del processo, semmai li ritarderà senza limiti». Una norma, aggiunge, che «a nostro modesto avviso, presenta rischi di incostituzionalità» e «appare irragionevole quanto agli scopi, incoerente rispetto al sistema, confliggente con valori costituzionali». È chiaro, però, che ormai il tema non è più solo giudiziario ma anche politico: il pressing sul Guardasigilli grillino comincia dunque a farsi asfissiante da diventare un casus belli a disposizione di chi vuol far saltare il già precario equilibrio interno alla maggioranza come Matteo Renzi, che non vede l'ora di smarcarsi e continua a minacciare di votare la proposta di Forza Italia. E il Pd? Dal partito arriva il commento di Nicola Zingaretti che si augura venga trovato «un compromesso» perché «la sentenza deve arrivare in tempi umani, non si può all'infinito stare sotto processo». Nel frattempo, ieri, sono passati in secondo piano i numeri sciorinati e gli allarmi lanciati dai vertici giudiziari: a Roma e a Milano si è puntato l'indice sugli affari illeciti con l'ombra della 'ndrangheta, in Lombardia, nella gestione del business dei rifiuti.
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Nel libro postumo Nobody’s Girl, Virginia Giuffre descrive la rete di abusi orchestrata da Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell e ripercorre gli incontri sessuali con il principe Andrea, confermando accuse già oggetto di cause e accordi extragiudiziali.