«La cittadinanza digitale e la partecipazione dei cittadini nell'era dei big data». Era il frizzante titolo del convegno organizzato dai 5 stelle ieri mattina alla Camera nella Sala Tatarella del palazzo dei gruppi parlamentari. Ospite d'onore, il conflitto di interessi. Ovvero l'associazione Rousseau con il suo presidente, Davide Casaleggio (erede della Casaleggio associati), talmente esperto di dati dei cittadini che l'anno scorso è stato sanzionato per 50.000 euro dal Garante della privacy, Antonello Soro, con un'accusa pesante: «La piattaforma Rousseau non gode delle proprietà richieste a un sistema di e-voting». In parole povere: non garantisce né la segretezza né la sicurezza del voto degli iscritti ai 5 stelle. In quell'occasione Casaleggio tuonò: «È un attacco politico, a capo del Garante non può starci un ex capogruppo del Pd». Lo stesso partito che un tempo riteneva inaccettabile proprio il sistema di democrazia diretta gestito da Rousseau ma che ora è diventato il compagno di viaggio del Movimento al governo.
Ma torniamo al convegno di ieri, moderato dalla deputata grillina Vittoria Baldino. Sul palco, anche due guru digitali del Blog dei 5 stelle come Massimo Di Felice (docente dell'Università di San Paolo del Brasile) e Derrick De Kerckhove (professore di antropologia della comunicazione all'Università di Toronto e al Politecnico di Milano). Tra supercazzole da manuali di sociologia 4.0, citazioni di Pericle, George Orwell e Stefano Rodotà e voli pindarici sulla sorveglianza totale, l'attenzione della platea è tutta per Casaleggio jr. Che riporta tutti con i piedi per terra: «L'accesso a Internet deve essere libero e gratuito, soprattutto perché è una parte fondamentale del Pil di una nazione» su cui l'identità digitale avrà un impatto del 3%. Solo in Italia, se si dovesse spegnere Internet perderemmo 50 miliardi di prodotto interno lordo». Ecco perché servono «singole riforme che ci permettano di accedere a una nuova dimensione, che è quella della cittadinanza digitale».
E poi l'attacco ai partiti che «confezionano le liste in una stanza chiusa» mentre con Rousseau «abbiamo innovato, abbiamo permesso agli iscritti M5s di scegliere i propri rappresentanti, cosa che, incredibilmente, nella democrazia rappresentativa non esisteva», ha aggiunto Casaleggio di fronte a molte seconde linee del Movimento. Che in queste ore sta facendo i conti proprio con l'altra faccia della medaglia della democrazia diretta: in Campania, la regione più importante e rappresentativa per i 5 stelle, attivisti e delegati dei cosiddetti meetup hanno votato se allearsi o no col Partito democratico. Risultato: 90 no a qualunque accordo elettorale, 10 sì (di cui 5, a patto che il Pd tolga di mezzo Vincenzo De Luca). I mal di pancia aumentano: alcuni eletti grillini chiedono che il controllo della piattaforma Rousseau passi ai parlamentari, molti dei quali scontenti del finanziamento obbligatorio di 300 euro che devono erogare tutti i mesi alla piattaforma di democrazia digitale. Un contributo «utile per lo sviluppo della piattaforma, la voce degli iscritti«, ha assicurato ieri Casaleggio ribadendo di non essere mai stato retribuito per le attività di Rousseau. Pronta però la replica di uno dei senatori sulle barricate, Emanuele Dessì: «Gli iscritti pentastellati», ha detto ieri all'agenzia Adnkronos, «si iscrivono al M5s tramite la piattaforma, quindi Casaleggio è a tutti gli effetti un prestatore di servizi». Quindi, secondo Dessì, «la linea politica del Movimento deve essere gestita dalla sua classe dirigente, anche attraverso le piattaforme, e non attraverso una associazione esterna che non comprende alcun politico» ma «persone che poi Rousseau ha pensato bene di inserire nella classe dirigente, mettendole nel team dei facilitatori«, affonda il senatore.
Il tema, di certo, animerà il confronto sull'organizzazione degli stati generali: per stasera è in calendario una nuova assemblea congiunta di deputati e senatori sempre con all'ordine del giorno l'appuntamento per ridiscutere la carta dei valori del Movimento e in ballo c'è ancora la definizione della data della kermesse che dovrebbe tenersi ad aprile.
All'agitazione della base si aggiungono le tensioni con gli alleati sulla futura tornata di nomine. In ballo ci sono anche le poltrone dei commissari e del presidente dell'Agcom, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. La tabella di marcia è serrata perché la proroga di oltre sette mesi degli attuali vertici vale solo fino al 31 marzo. Le votazioni sono state fissate per il prossimo 18 febbraio (alla Camera e al Senato) ma sarebbero destinate a saltare. I grillini avrebbero, infatti, chiesto informalmente un rinvio per il timore di spaccature interne (il voto in aula è segreto) e anche all'interno dell'opposizione il fronte non è compatto e le trattative sono in stallo.
Alle inaugurazioni dell'Anno giudiziario ieri sono volate le sberle alla legge sulla prescrizione in vigore dal primo gennaio che sospende la «tagliola» dopo la sentenza di primo grado.
Ma la protesta più plateale è stata quella del capoluogo lombardo, dove 120 avvocati della camera penale hanno alzato i tacchi e sono usciti dall'aula magna nel momento in cui ha preso la parola il consigliere del Csm, Piercamillo Davigo agitando cartelli con tre articoli della Costituzione: il 24 (diritto di difesa), il 27 (presunzione di innocenza) e il 111 (giusto processo). Tutti, a loro avviso, violati dalla riforma sulla prescrizione. «Questo non è un gesto contro il singolo Davigo, contro alcune idee che hanno frequentato i suoi ultimi discorsi. Noi non siamo contro di lui ma siamo a difesa dei diritti dei più deboli, degli ultimi, degli imputati e delle vittime, a favore della corretta applicazione dei principi costituzionali che sono quelli che abbiamo esposto nei nostri cartelli», ha detto il presidente della Camera penale Andrea Soliani. Ma il suo discorso non è stato ascoltato da Davigo, che è uscito dal Palazzo di Giustizia prima dell'intervento dell'avvocato,
Di certo, però, i penalisti milanesi non hanno digerito l'intervista rilasciata lo scorso 9 gennaio al Fatto quotidiano nella quale l'ex pm di Mani pulite prendeva posizione anche sul ruolo dell'avvocatura. «Esternazioni» che, secondo la Camera penale milanese, «negano i fondamenti costituzionali del giusto processo, della presunzione di innocenza e del ruolo dell'avvocato nel processo penale». In difesa di Davigo hanno subito fatto quadrato il Comitato di presidenza del Csm, l'Anm (il presidente Luca Poniz ha definito l'azione degli avvocati una forma di «ostracismo preventivo») e le diverse correnti delle toghe. La polemica è così deflagrata ieri a Milano davanti alla presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia e al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Ovvero il padre della nuova legge, che è stato contestato anche nel resto d'Italia: a Napoli gli avvocati del Foro partenopeo hanno sfilato in manette, a Catania alcuni legali, durante il discorso del rappresentante del ministero della Giustizia, hanno sventolato, i testi del Codice penale, mentre a Messina, gli avvocati del distretto della Corte di appello hanno scelto di assistere alla cerimonia senza indossare la toga.
«Divergenze fisiologiche», le ha definite il ministro che non vuole essere etichettato come manettaro e si dichiara pronto al confronto «con tutti gli attori» sui tempi del processo. «Non ho mai detto che per me la prescrizione è un modo per ridurre questi tempi», ha poi aggiunto rivendicando, tra l'altro, di essere «il primo ministro della Giustizia che ha stabilito un controllo strutturale dell'ispettorato del Ministero su tutti i casi di ingiusta detenzione». Non sono solo gli avvocati, però, a stroncare la riforma che non piace nemmeno al primo presidente di Cassazione, Giovanni Mammone. Cioè a un giudice. «Si prospetta», ha avvertito ieri, «un incremento del carico di lavoro della Corte di cassazione di circa 20.000-25.000 processi per anno». Tra l'altro, «nel distretto di Milano la prescrizione nella fase delle indagini preliminari incide per il 3,79%», ha ricordato il Procuratore generale del capoluogo lombardo, Roberto Alfonso, lamentando «spaventosi vuoti di organico e la mancanza di risorse che contribuiscono a determinare tempi lunghi del processo. Condividiamo l'opinione di chi sostiene che la sospensione del corso della prescrizione non servirà sicuramente ad accelerare i tempi del processo, semmai li ritarderà senza limiti». Una norma, aggiunge, che «a nostro modesto avviso, presenta rischi di incostituzionalità» e «appare irragionevole quanto agli scopi, incoerente rispetto al sistema, confliggente con valori costituzionali».
È chiaro, però, che ormai il tema non è più solo giudiziario ma anche politico: il pressing sul Guardasigilli grillino comincia dunque a farsi asfissiante da diventare un casus belli a disposizione di chi vuol far saltare il già precario equilibrio interno alla maggioranza come Matteo Renzi, che non vede l'ora di smarcarsi e continua a minacciare di votare la proposta di Forza Italia. E il Pd? Dal partito arriva il commento di Nicola Zingaretti che si augura venga trovato «un compromesso» perché «la sentenza deve arrivare in tempi umani, non si può all'infinito stare sotto processo».
Nel frattempo, ieri, sono passati in secondo piano i numeri sciorinati e gli allarmi lanciati dai vertici giudiziari: a Roma e a Milano si è puntato l'indice sugli affari illeciti con l'ombra della 'ndrangheta, in Lombardia, nella gestione del business dei rifiuti.
La Banca centrale europea vuol strappare alle banche centrali dei singoli Stati, e dunque anche alla nostra Banca d'Italia, la vigilanza sull'antiriciclaggio. Francoforte, a quanto ci risulta, avrebbe già preso contatti con le autorità nazionali che per ora sembrano allineate e non intenzionate ad alzare barricate.
Ma quale è l'obiettivo dell'istituto le cui redini sono state appena prese da Christine Lagarde? Riscrivere la normativa sui requisiti di capitale in modo da poter inviare i suoi ispettori presso le banche europee per le verifiche, appunto, in tema di riciclaggio evitando anche il rischio di possibili contagi tra istituti, oltre che il rischio reputazionale che può avere un impatto sul fabbisogno patrimoniale delle big del credito. Al momento, sia il ministero del Tesoro che la stessa Bankitalia (che oggi svolge la vigilanza bancaria sull'attività di riciclaggio attraverso l'Unità di informazione finanziaria) avrebbero espresso un parere preliminare favorevole.
Eppure l'operazione non è priva di controindicazioni. Il provvedimento allo studio potrebbe, infatti, avere implicazioni in termini di influenza sull'attività giudiziaria oltreché politica a livello nazionale. I critici fanno riferimento a quelle che in gergo tecnico vengono definite «Pep», ovvero le persone esposte politicamente. Sulle quali l'Eurotower, avocando a sé queste funzioni finora di competenza dei singoli Paesi, potrebbe avviare controlli mirati. Cosa significa? L'affidare poteri delicati come quelli ispettivi a un ente terzo e sovranazionale potrebbe diventare anche un modo per fare pressioni sulla politica condizionando trattative e negoziati non solo relativi al sistema bancario.
La mossa della Bce sarebbe comunque partita dopo lo scandalo per riciclaggio di denaro russo che nel 2018 ha travolto in Ucraina l'istituto danese Danske Bank e che ha finito con il coinvolgere altre banche nordiche, incluso il colosso tedesco Deutsche Bank. Dal 2012 le banche europee hanno sacrificato sull'altare dell'antiriciclaggio ben 16 miliardi di dollari in sanzioni - comminate per il 75% negli Stati Uniti - ai quali vanno inoltre aggiunti i costi differiti degli effetti reputazionali e operativi. Se le banche sono condotte male, ci sono troppi rischi in più e questo allontana gli investitori.
Già nel settembre 2018 le autorità europee avevano dunque messo in guardia sulle gravi debolezze dei controlli sul riciclaggio di denaro all'interno dell'Ue. In un documento riservato messo a punto da diverse autorità (tra cui la Bce, l'Eba e la Commissione europea) e trasmesso ai singoli governi e al Parlamento europeo, si metteva in evidenza come il caso Danske Bank avesse fatto emergere i «limiti» e le differenze in come le diverse autorità nazionali ed europee cooperano per sradicare il flusso di denaro sporco evidenziando anche debolezze sulla condivisione di informazioni.
Nel novembre scorso, inoltre, il Financial Times aveva riportato nuove indiscrezioni secondo le quali i ministri delle Finanze dell'Ue, guidati da Francia e Paesi Bassi, vorrebbero una nuova autorità di supervisione bancaria europea proprio per inasprire le norme antiriciclaggio. Il nuovo organismo centralizzato, scriveva il quotidiano della City, avrebbe «poteri di intervento qualora le banche non riuscissero a sorvegliare adeguatamente i propri clienti». La creazione del nuovo organismo richiede però troppo tempo. Per questo, l'opzione alternativa e più rapida è aumentare direttamente i poteri degli «sceriffi» di Francoforte.
«Se si ha un'autorità debole» in un Paese «fondi illegali possono entrare nel mercato unico», ha detto più volte Andrea Enria, ex presidente dell'Eba (l'autorità bancaria europea) e oggi a capo della Vigilanza della Bce. Lo stesso Enria proprio qualche giorno fa ha rilanciato l'allarme - senza fare nomi - su un deterioramento in quanto ai controlli e alla gestione e quindi sulle larghe falle nell'antiriciclaggio. La missione di Enria è dunque quella di avere controlli europei, banche europee, e anche reti di sicurezza europee. In vista anche di eventuali nuove grane sulle criptovalute.
A maggio dell'anno scorso il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, aveva definito la corruzione come una minaccia alla stabilità del sistema bancario e finanziario sottolineando, in tema di antiriciclaggio, l'incisività delle verifiche condotte dalla Vigilanza di via Nazionale «sull'efficacia dei presidi posti in essere dagli intermediari finanziari sui controlli dell'operatività delle Persone politicamente esposte».
Nel 2019 la Uif, l'Unità di informazione finanziaria di Palazzo Koch, ha ricevuto 105.789 segnalazioni di operazioni sospette con un incremento del 7,9% rispetto al precedente anno. Attualmente le competenze sono ripartite su più strutture organizzative: la Uif, che analizza le operazioni sospette, effettua verifiche sulle banche anche avvalendosi di personale qualificato delle filiali tra cui il Servizio di circolazione monetaria che custodisce i dati sulla movimentazione dei contanti e fa analisi ma ha poteri in materia di antiriciclaggio verso le circa 30 società di servizi che gestiscono la monetica (ovvero il sistema dei pagamenti elettronici o con carta di credito) e la logistica del denaro per conto delle banche. Le segnalazioni di operazioni sospette vengono analizzate e selezionale dall'Uif che poi le manda alla Guardia di finanza che le incrocia con i propri dati e con quelli di provenienza esterna.
In un futuro non così lontano, queste operazioni delicatissime potrebbero essere invece svolte dall'autorità di Francoforte.



