2018-10-12
Paolo Casarin: «Gli arbitri italiani boicottano il Var perché sono gelosi»
L'ex direttore di gara: «Si sono montati la testa, vogliono recuperare un po' di autoritarismo. Ma indietro non si torna». Quando faceva il guardalinee in Coppa dei Campioni e fermò un'azione del Bayern Monaco per fuorigioco: «Beckenbauer mi passò vicino e mi disse in italiano stentato: ma tu sei comunista? Scoppiai a ridere. Forse anche lui».«Un grande arbitro decide al volo come un grande campione tira al volo». Facile parlare così se ti chiami Paolo Casarin, sei stato il numero uno dei fischietti italiani per 20 anni, designatore per sette, referente Fifa ascoltato da tutti, padre del fuorigioco attivo e passivo, del recupero codificato e con una buona dose di spirito ribelle in corpo. «In tutta la carriera ho assommato un paio d'anni di squalifica, non ero propriamente politically correct». Nell'era del pallone televisivo, delle 30 telecamere che tutto scannerizzano, del Var applicato un po' a capocchia e dei dilettanti assurti a guru social, fare un giro dalle parti di questo signore di 78 anni che conosce il calcio, la sua storia, il suo fascino, la sua filosofia come pochi altri è un'operazione indispensabile e molto piacevole. Per scoprire che gli arbitri sono gelosi del loro potere, che la rivoluzione tecnologica è a metà del guado, ma anche che Diego Maradona aveva il piede quadrato, Franz Beckenbauer la fobia dei comunisti. E che quel giorno a Mostar i tifosi tenevano le pistole in curva.Paolo Casarin, si vede a occhio nudo che gli arbitri diffidano del Var. Perché?«Perché sono gelosi del loro potere e fanno fatica a condividerlo. Non lo accettano, si mettono in competizione con la macchina. Del resto tu formi un professionista che dice: ce la faccio da solo. In questi casi devi avere l'intelligenza di dire a te stesso: da solo non ce la faccio. Ci arriveranno, il percorso non è immediato, ma è cominciato e indietro non si torna. Sarà un bene per il calcio».Però rispetto allo scorso campionato la tecnologia viene accesa a sprazzi e per casi limitati.«Colpa o merito del mondiale in Russia, andato così bene da far credere al sistema arbitrale che il Var è solo un complemento. Si sono montati un po' la testa, c'è in atto un tentativo di recuperare un po' di autoritarismo, una crisi di rigetto destinata a spegnersi». Qualcuno è tornato a parlare di sudditanza nei confronti delle grandi.«Nessun complotto, è una reazione umana. Per rimangiarti una decisione devi mettere da parte l'orgoglio, e non è mai semplice. La categoria ha questo problema dal 1935».Un'elaborazione un po' lunga per arrivare a non sbagliare.«Ma è così. Perché in fondo il Var è un doppio arbitraggio come quello che in Inghilterra si sperimentò allora, ci sono le foto a testimoniarlo. Doppio arbitraggio perché si capiva che un uomo solo era incapace di gestire una partita. Ma fu accantonato perché due arbitri mediocri facevano peggio di un arbitro buono».Mancava la sintonia, mancava il gioco di squadra. «Nel 1999 si disputò proprio da noi una Coppa Italia con due arbitri e con risultati disastrosi. In una metà campo si arbitrava con un metro di giudizio e nell'altra con un metro opposto. Però la necessità di un aiuto era imprescindibile. Arrivarono i guardalinee specialisti, poi gli assistenti di porta, il gol line. E infine l'occhio tecnologico, che va accettato in toto».Anche perché con 30 telecamere in Hd il telespettatore in poltrona vede meglio i rigori, i falli, i fuorigioco rispetto all'arbitro in campo.«Quando Concetto Lo Bello scandalizzò tutta l'Italia dicendo “non ho dato il rigore perché non avevo la moviola" colse il punto di svolta. Ai miei tempi la sera andavo a vedere in Tv le sciocchezze che avevo commesso in campo. L'infallibilità dell'arbitro faceva morir dal ridere allora, figuriamoci oggi».Quando comincia l'arbitraggio moderno?«Dopo Italia '90, un mondiale terribile, deludente per l'intera categoria. Era l'epoca d'oro dei grandi giocatori: Maradona, Matthaeus, stava arrivando Baggio, avevano appena smesso Cruijff e Platini. Un'esplosione creativa unica. E il calcio stava diventando un fenomeno mondiale anche dal punto di vista commerciale, pronto per nuovi mercati». Cosa accadde di tanto terribile?«Nel mondiale italiano si segnò poco, vinsero le difese, persero gli arbitri con errori da far cadere le braccia. Crisi del gioco, crisi del controllo del gioco, crisi dei gol. L'autoritarismo lobelliano non aveva più senso, cambiammo le regole. Allora il presidente dell'Uefa Lennart Johansson mi disse: bella l'idea di formare arbitri professionisti, ma i miei in Svezia sono tutti direttori di banca. E io gli risposi: si vede in campo, sono tutti fermi. Non si poteva continuare così».Chi furono gli interpreti della rivoluzione, quelli che lei ritiene i numeri uno?«Pierluigi Collina, l'inglese Howard Webb, due fuoriclasse. Webb aveva personalità da vendere, inglese affabile, rispettoso. E a differenza di molti suoi connazionali fischiava. Perché per arbitrare bisogna saper fischiare; se uno non lo fa significa che è scarso e segue la moda. Un grande arbitro decide al volo, come un grande campione tira al volo».Per tenere in mano la partita bisogna fischiare tanto o poco?«Il giusto, senza essere dittatoriali. Quando un arbitro tira fuori otto cartellini in una partita non posso escludere che sia un pirla. Pensi di controllare tutto, ma significa che non stai controllando niente».Qual è stato il calciatore che più ha ammirato?«Dire Maradona è facile. Mi impressionavano i suoi piedi larghi, quasi rettangolari, che gli permettevano il controllo totale della palla e un equilibrio fuori dal comune. Non voleva allacciarsi le scarpe, io gli dicevo: Diego, perché non ti sistemi le scarpe slacciate? E lui: non ti preoccupare, il mio piede e il pallone sono la stessa cosa».Qual è stata la partita più difficile?«A Mostar, dopo la guerra in Jugoslavia. Ero lì come osservatore per aiutare a rimettere in piedi il calcio nei Balcani. Ci dissero che quasi tutti i 5.000 spettatori avevano le armi sugli spalti. A un certo punto l'arbitro, un po' distratto, fischiò un rigore dubbio per gli ospiti. Il calciatore, più saggio di lui e consapevole della polveriera, lo tirò fuori».Tra dieci giorni c'è Inter-Milan. Qual è stato il derby più impegnativo che ha arbitrato?«La deluderò. Fu un San Pietro in Volta-Pelletrina, derby della laguna veneta. Il mare costeggiava il campo e parecchi arbitri prima di me erano stati costretti a tuffarsi per sfuggire alle ire dei tifosi. Ero giovane e controllando i documenti dei giocatori mi accorsi che quelli di casa si chiamavano tutti Scarpa e quelli di Pellestrina tutti Vianello. Un casino».In fondo, ma proprio in fondo, è un gioco. Non le è mai venuta voglia di farsi una risata liberatoria?«Ero guardalinee di Sergio Gonella in Bayern Monaco-Dinamo Kiev di Coppa Campioni. Fermai un attaccante tedesco lanciato a rete per un fuorigioco dubbio. Beckenbauer mi passò vicino e mi disse in italiano stentato: ma tu sei comunista? Scoppiai a ridere. Forse anche lui».