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2020-10-19
Gli anziani dimenticati
Ansa
Il Covid torna a bussare alle case di riposo. Dentro le residenze sanitarie assistite (Rsa) il dramma continua. Ma questa volta, rispetto ai mesi in cui il virus ha falcidiato migliaia di anziani, dietro le mura delle strutture si svolge un altro dramma, ugualmente micidiale, che è quello della solitudine e della desolazione. Per gli ospiti, le residenze (4.620 su tutto il territorio nazionale) si stanno trasformando in carceri. Niente contatti, niente affetti, niente socialità. Eppure di questo si parla poco, come se fosse un aspetto marginale. Contano soltanto i numeri di chi sta male, come il maxi focolaio nella Rsa di Greve in Chianti, con 64 contagiati tra operatori e ospiti, o i 9.154 morti nei quattro mesi del picco pandemico da febbraio a maggio.
Sui sopravvissuti incombe il silenzio. Dimenticati. Invisibili. Le case di riposo hanno scelto la linea difensiva. Dopo le polemiche sui decessi, per salvaguardarsi da ulteriori denunce arrivate sul tavolo delle Procure, hanno adottato misure di prevenzione rigorose e stringenti. Invece che imporre protezioni e distanziamento, come nei locali pubblici, per gli anziani si è deciso di ridurre drasticamente i contatti con l'esterno. E dove ci sono state eccezioni, non si sono prese precauzioni sufficienti, come è accaduto in una Rsa di Portici, a Napoli, dove la festa aperta ai visitatori si è trasformata in un focolaio con una sessantina di persone coinvolte tra ospiti e operatori, tra i maggiori cluster d'Italia. A questi si sono aggiunti i 50 casi nell'istituto delle Povere figlie della visitazione di Maria nel capoluogo.
Tanto è bastato per indurre il governo a un giro di vite drastico che penalizza persone già gravemente colpite dalla prima ondata del Covid, privandole di rapporti sociali essenziali e di contatti con persone che potrebbero essere luci di speranza per affrontare la loro condizione. L'ultimo Dpcm affida alle strutture la responsabilità di autorizzare gli ingressi dei visitatori e «adottare le misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezioni». E le strutture hanno dato un giro di vite severissimo. La Val d'Aosta ha da tempo sbarrato l'accesso delle strutture per anziani; un'analoga iniziativa è stata adottata dall'Associazione residenza anziani Toscana, realtà che comprende 12 residenze, dopo che si sono sviluppati tre grossi focolai a Greve in Chianti, a Firenze e a Sesto Fiorentino, mentre nelle 300 strutture del Veneto sono partiti i test rapidi sugli ospiti.
Le Rsa sono diventate fortini blindati dove l'accesso è contingentato e le attività sociali annullate. Gli ospiti non hanno più la libertà di fare una passeggiata quotidiana, di andare al bar o a trovare parenti e amici. Le comunicazioni con i propri cari avvengono tramite telefono o videochiamate, negli incontri c'è di mezzo una lastra di plexiglas che impedisce anche di allungare una mano per una carezza. Quanto potrà andare avanti questa situazione di confinamento, nessuno è in grado di prevederlo. Di sicuro, nelle 4.620 residenze per anziani sarà un Natale di profonda solitudine. Blindati nelle stanze, gli ospiti dovranno accontentarsi di sbirciare dalle finestre l'ingresso della struttura sperando di vedere un parente che sia riuscito a ottenere il permesso per una visita lampo.
È stata lanciata una petizione, che finora ha raccolto 3.000 adesioni, dal titolo «Liberiamo gli anziani dalle prigioni delle Rsa». Per loro questa detenzione forzata dura da più di 8 mesi. È diventato virale su Facebook il video girato nella casa di riposo D'Azeglio di Torino, in cui l'anziano ha letteralmente abbracciato il pianoforte che la famiglia gli ha fatto recapitare nella struttura. Un contatto con l'esterno, insperato.
In questa condizione di isolamento, si sottolineano soltanto gli aspetti della sicurezza ma non quelli dell'impatto sulla vita nelle residenze. Come se non bastasse, numerose case di riposo private sono state avvertite che quest'anno possono scordarsi il vaccino antinfluenzale gratuito per il proprio personale: se lo dovranno procurare per proprio conto, sperando di trovarlo. Molte famiglie hanno ritirato i loro cari dalle strutture per paura del contagio, ma anche per le difficoltà alle visite. L'Anaste, associazione che riunisce alcuni titolari di case di riposo, ha rilevato il 20% di posti liberi rispetto ai mesi pre Covid. Molte residenze potrebbero essere costrette a tagliare l'organico e a ridimensionare il servizio.
Ma il dramma non è solo per gli anziani nelle Rsa. Chi vive in casa da solo non se la passa meglio. L'assistenza di una badante, anche solo come forma di compagnia, è un lusso che pochi possono permettersi, soprattutto dopo che l'aggiornamento del contratto nazionale ha appesantito le condizioni per i datori di lavoro, cioè gli anziani stessi e le loro famiglie. Rispettare le regole contrattuali significa spendere fino a 1.300 euro al mese. Il mercato sommerso, sempre fiorente, presenta incognite spesso spiacevoli.
«Gran parte dei centri per anziani sono chiusi o con ingressi contingentati. Sono state annullate le gite, le feste, le attività ricreative, i pomeriggi danzanti, anche le partite a scopone o i tornei di bocce», commenta Girolamo Di Matteo, segretario nazionale della Fnp Cisl con delega alle politiche sociosanitarie. «Si crede che sia preferibile tenere isolato l'anziano in casa, in realtà così egli diventa più fragile. I rapporti sociali sono fondamentali».
Secondo il report di Passi d'argento, il sistema di sorveglianza che fornisce informazioni sullo stato di salute, sulla qualità della vita e sui bisogni delle persone con oltre 65 anni, coordinato dall'Istituto superiore di sanità, già prima della pandemia quasi 3 anziani su 4 non partecipavano a incontri nei punti di aggregazione come i centri anziani, le parrocchie o le associazioni. Allo stesso tempo, quasi il 29% degli over 65 rappresenta una risorsa per i propri familiari o per la collettività perché aiutano figli e nipoti oppure fanno volontariato. Spesso, però, vivono in condizioni difficili: il 61% degli anziani riferisce di avere almeno un problema strutturale nella casa in cui vive e il 35% ha difficoltà nell'accesso ai servizi sociosanitari e ai negozi di prima necessità. Uno su 10 è caduto di recente e, nel 19% dei casi, è stato ricoverato in ospedale per almeno un giorno.
Questa situazione si sta aggravando con le restrizioni sociali imposte dal Covid. La mappa delle chiusure dei centri anziani, fornita dalla Fnp Cisl a La Verità, è desolante. La frequentazione, nei rari casi in cui è ancora possibile, è scesa al 15%. Lazio e Lombardia li hanno chiusi, in Liguria sono aperti al 60%, in Piemonte al 20%, in Trentino al 10%, in Friuli e in Campania al 50%. In Veneto sono aperti solo alcuni centri a Venezia. Nelle Marche aperti al 50% e in Sicilia al 20%. Dove le porte non sono state sbarrate, sono state introdotte regole molto stringenti tali da essere molto disincentivanti per chi era abituato a frequentarli. Rimanere in casa diventa così una scelta obbligata: più solitudine, meno movimento fisico, maggiori rischi.
«Occorre esercizio fisico e mentale per non farsi sopraffare dal Covid»
«Se le restrizioni negli spostamenti dovessero proseguire a lungo, si avrebbe un peggioramento importante della salute degli anziani. Già è stato registrato un maggior consumo di ansiolitici e antidepressivi e un aumento di infarti e fratture dovute a cadute». Raffaele Antonelli Incalzi, presidente della Società italiana di gerontologia e geriatria e direttore del reparto di geriatria del Policlinico campus biomedico di Roma, ha monitorato gli effetti delle norme restrittive di sicurezza sugli anziani.
Le precauzioni contro il Covid possono essere più dannose del virus?
«Non possiamo ancora dirlo in base a dati statistici, ma gli effetti dell'isolamento sugli anziani si stanno facendo sentire. Si possono considerare due diverse situazioni: psicologica e fisica».
Cominciamo dalle prime. Cosa accade nelle Rsa?
«L'impatto è variabile. Alcune case di riposo si sono organizzate con videocolloqui e visite in sicurezza con pannelli divisori, che hanno consentito agli anziani di mantenere qualche rapporto con l'esterno. Però sono situazioni isolate. Nella maggior parte delle case di riposo, questo non è possibile per la mancanza di spazi e per non ottimali standard organizzativi. L'annullamento dei momenti di socialità, dalle visite di parenti e amici alle attività collettive nelle strutture, ha portato alla diffusione di stati depressivi e a un maggior uso di farmaci. Questo fenomeno riguarda anche gli anziani che vivono con i figli o da soli, privati di incontri, partite a carte, gite, feste, pranzi o cene di gruppo».
Quali soggetti risentono di più dell'isolamento?
«Nei malati con demenza il confinamento sta avendo effetti drammatici, con frequente inversione del ritmo sonno-veglia e accresciuto fabbisogno di antipsicotici per frenare l'agitazione psicomotoria».
E le conseguenze fisiche?
«Non poter uscire o frequentare i centri ricreativi o vedere amici e parenti significa ridurre il movimento, aggravare le patologie cardiovascolari e metaboliche e perdere il tono muscolare. L'attività motoria è a tutti gli effetti un farmaco salvavita per gli anziani. Occorre trovare un compromesso fra rischio ambientale e vulnerabilità individuale, valutando caso per caso».
Tanti anziani finiscono per cancellare le visite mediche periodiche e le analisi?
«La paura del contagio e l'inattività hanno portato a ridurre le visite mediche anche nei malati cronici. È aumentata la mortalità per infarto del 30%. La capacità di adattamento degli anziani a nuove condizioni di vita è scarsa».
Cosa intende per capacità di adattamento?
«Mantenersi attivi fisicamente, non mangiare troppo, conservare l'elasticità delle articolazioni. La costrizione a casa determina la perdita di equilibrio: dopo il lockdown sono aumentate le fratture per cadute. Nel sito Internet della Società italiana di geriatria c'è un volumetto, scaricabile, con alcuni esercizi da fare in casa. È importante pure l'esercizio mentale: leggere, ascoltare musica, telefonare. E adattare la dieta: l'aumento del peso per inattività ha effetti sulla pressione e sulla glicemia. E non perdere relazioni fondamentali per un anziano, soprattutto con i nipoti».
Perché proprio i nipoti?
«Loro, più che i figli, rappresentano la continuità, la vita che prosegue. Privarli di questo contatto ha effetti gravi».
Si muore di solitudine?
«L'impatto dell'isolamento non è inferiore a quello del coronavirus. Sì, si può morire di isolamento ma anche vivere male è un brutto esito per l'ultima parte della vita».
Con il nuovo contratto delle badanti più costi e burocrazia per le famiglie
Le restrizioni imposte dal Covid stanno mettendo sotto stress le famiglie con anziani, soprattutto se non autosufficienti. Le chiusure dei centri ricreativi di quartiere o delle parrocchie, che offrivano qualche forma di intrattenimento, e la crescente difficoltà di organizzare le visite domenicali con parenti o nipoti, hanno costretto molti anziani a restare da soli in casa, bisognosi più di prima di una compagnia se non di assistenza. Spesso non c'è alternativa ad avere una badante in casa. Ma questo ormai è un «lusso». Le regole contrattuali sembrano fatte apposta per non essere applicate e per favorire il nero. Il nuovo contratto appena approvato, anziché facilitare la situazione, la complica. Oltre ad aumentare l'esborso per il pensionato, esso aggiunge una buona dose di burocrazia, nella quale è difficile districarsi se non con l'aiuto di qualche associazione di consulenza o dei patronati dei sindacati.
Il punto di partenza è che la famiglia è assimilata nientemeno che a un'azienda, con tutti gli obblighi burocratici che questo status comporta. Dal 1° ottobre, data di entrata in vigore del contratto sottoscritto l'8 settembre, non si può più usare la parola «badante» ma quella di «assistente familiare». Novità di cui davvero avevamo bisogno. In compenso, per «facilitare» le cose, i tre livelli di inquadramento diventano quattro nominati con le lettere A, B, C, D, ciascuno dei quali è stato suddiviso in altri due, con una categoria «super». A ognuno corrispondono due parametri retributivi, in base alle conoscenze e competenze possedute in riferimento alla mansione richiesta. La griglia delle funzioni è molto rigida.
Al momento dell'assunzione le famiglie-datori di lavoro domestico dovranno attivare un nuovo canale per accedere alle prestazioni (assunzioni, cessazioni e variazioni contrattuali) sul portale dell'Inps. Dal 1° ottobre serve lo Spid come accesso unico ai servizi dell'Istituto di previdenza, in sostituzione del Pin. Rimane invariato l'accesso al portale dei pagamenti (dove si possono elaborare e scaricare i PagoPa per il versamento dei contributi trimestrali) per il quale non è necessario essere in possesso dello Spid. Per il pensionato è impossibile fare da sé, a meno che non abbia un diploma da ragioniere o un passato da commercialista.
Con le novità arrivano pure gli aumenti. Oltre a quelli previsti dal rinnovo del contratto, che scatteranno a partire dal prossimo 1° gennaio, si aggiunge un'indennità di 100 euro al mese per le badanti, di livello C super e D super, che assistono due anziani non autosufficienti e provvedono anche al vitto e alla pulizia dell'abitazione. C'è poi un'indennità mensile aggiuntiva che varia da 8 a 10 euro se la badante è in possesso di una certificazione, una sorta di patente di qualità che ottiene dopo aver seguito un corso di formazione.
Per gli assistenti conviventi inquadrati al livello B super, quello delle badanti per persone autosufficienti e in regime di convivenza, l'aumento è di 12 euro al mese. Per gli altri profili professionali sono previsti aggiustamenti differenti: ad esempio, chi assiste persone non autosufficienti passa a 997 euro lordi, con un aumento di 13,5 euro circa.
Raddoppiano, infine, i contributi alla Cassa Colf (da 0,03 euro l'ora a 0,06 euro, per due terzi a carico del datore e per un terzo a carico del lavoratore), mentre bisognerà attendere il 2021 per l'aggiornamento dei contributi Inps. Da un calcolo dell'Assofamiglie, emerge che per una badante a tempo pieno, per 54 ore settimanali, un anziano dovrebbe spendere circa 1.300 euro al mese, comprensivi di tredicesima, ferie, contributi e Tfr. Ma la maggior parte delle pensioni non arriva a 1.000 euro. Rispettare alla lettera il nuovo contratto di categoria significa, per un anziano, non solo disfarsi di tutta la pensione ma dover chiedere aiuto ai figli.
Si prevede che con il progressivo invecchiamento della popolazione, nel 2025 la domanda di assistenti agli anziani aumenterà del 9%. Attualmente il 22,6% della popolazione italiana è costituita da over 65. Nel 2025 potrebbe arrivare al 24,7%. Gli anziani non autosufficienti rappresentano il 4,67% e si stima che di qui a cinque anni saranno il 5,11%. Il panorama è desolante. Poche strutture pubbliche con liste d'attesa interminabili, scandali di ogni tipo, dai maltrattamenti all'assenza di standard igienici e di sicurezza o alla frode di risorse statali.
In questa realtà, in cui le eccellenze sono rare, la famiglia è ancora l'unica forma di welfare. Gli anziani arrivano alla fine della vita per lo più nella loro casa. Pochissimi hanno la fortuna di poter essere assistiti da un familiare e anche dove questo si renda disponibile, il ruolo dei badanti è essenziale e nella maggior parte dei casi irrinunciabile. Ma assumere una persona ora è diventato un salasso.
«Chiudere le Rsa e riformare l’intero sistema del welfare»
«Per gli anziani il lockdown non è finito e chissà fino a quando durerà. Il Covid ha peggiorato la situazione di quanti sono nelle Rsa, le residenze sanitarie. Lontani dalle famiglie, senza più alcun legame con l'esterno tranne qualche telefonata, vivono come deportati. I pochi spazi vivibili sono stati soppressi. Gli anziani sono solo numeri, collocati in pochi metri quadrati di una stanza, avviati verso una lenta morte interiore». Colpiscono al cuore le parole di don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, nelle Marche, che dal 1994 ha raccolto il testimone del fondatore don Franco Monterubbianesi. Anziani, disabili, tossicodipendenti, migranti, una vita dedicata al prossimo. È autore di un e-book, Anziani deportati, sulla condizione nelle residenze sanitarie pubbliche.
È azzardato dire che la solitudine nelle Rsa uccide come il Covid?
«Per niente. La pandemia sta mettendo in crisi lo schema delle Rsa che già avevano mostrato i loro limiti. Sono strutture che hanno un'impostazione ospedaliera e quindi ritmi e regole rigide. Ma un conto è trascorrere qualche giorno in ospedale, altro è passarci anni, la parte conclusiva della vita. La pandemia ha imposto misure severe che hanno improvvisamente isolato gli anziani con conseguenze psicologiche gravissime. Già il trasferimento dalla propria casa in una residenza è un trauma. Significa recidere i legami con tutta una vita, testimoniata da mille piccole cose, una foto, un soprammobile, l'odore di un ambiente familiare, ed essere deportati in un luogo anonimo a contatto con persone che cambiano in continuazione. E ora l'unico ancoraggio con la vita precedente, rappresentato da parenti e amici, è venuto meno in nome delle regole sulla sicurezza».
Ma le Rsa sono state, e lo sono ancora, focolai di propagazione del virus. Non si può abbassare la guardia.
«È vero, ma queste regole rientrano in una logica ospedaliera che ha i suoi limiti. Per gli anziani le relazioni sociali e soprattutto i legami familiari sono fondamentali. Nelle strutture ricettive essi perdono l'orientamento, non sono più in grado di collegare i ricordi perché questi nascono da ambienti e persone».
I contatti con i parenti sono mantenuti tramite le telefonate e le video chiamate.
«La video chiamata non è un modo normale di rapportarsi per un anziano. È spiazzante. Non può sostituire il contatto fisico. Due parole per telefono non equivalgono a una carezza, all'abbraccio di un parente. Pochi sanno che anche un malato di Alzheimer percepisce il calore di un abbraccio, reagisce a una voce conosciuta che fa parte del suo vissuto. Ci sono modi di comunicare che vanno oltre l'intelletto. Le Rsa offrono un posto letto, ritmi scanditi dall'orologio, cibo standardizzato in piatti di plastica, spesso senza sapore e senza odore. E ora anche regole ferree per la sicurezza. L'anziano è portato a pensare che la vita non abbia più senso. La condizione di fragilità è amplificata. Magari la vita si allunga di qualche anno, ma con un'enorme tristezza. Tante medicine, tanta sicurezza, ma umanità zero».
Quale è la soluzione?
«Qualcuno si è chiesto come stanno vivendo queste persone isolate dai propri cari? Anche i giovani hanno sperimentato quanto sia pesante vivere per mesi nella restrizione di una casa: pensate a quello che stanno soffrendo gli anziani, magari se la salute non è buona. La vita è fatta di relazioni, sentimenti, affetti, ricordi. Per un anziano, la voce, la presenza di un familiare è importante. Altrimenti la persona rimane sola con i suoi fantasmi e le sue allucinazioni. La soluzione? Le Rsa andrebbero smantellate, con tutto il rispetto per tali strutture. Va ripensato il sistema del welfare».
Come?
«Il Covid è proprio l'occasione per cambiare la forma di assistenza agli anziani che è cosa diversa dalla ospedalizzazione. Occorre pensare a uno schema vivibile. Le residenze da 200 persone sono per forza luoghi di abbandono. Servono strutture più piccole, massimo di 15 ospiti, nelle quali creare una situazione confortevole. Servono aiuti pubblici alle famiglie meno abbienti affinché possano dotarsi di una badante. Il mio timore è che, passata la fase di emergenza, la politica si dimentichi ancora una volta degli anziani».
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Invece che imporre protezioni e distanziamento, come nei locali pubblici, per gli anziani si è deciso di ridurre drasticamente i contatti con l'esterno. E dove ci sono state eccezioni, non si sono prese precauzioni sufficienti, come è accaduto in una Rsa di Portici, a Napoli, dove la festa aperta ai visitatori si è trasformata in un focolaio con una sessantina di persone coinvolte tra ospiti e operatori, tra i maggiori cluster d'Italia. A questi si sono aggiunti i 50 casi nell'istituto delle Povere figlie della visitazione di Maria nel capoluogo.Tanto è bastato per indurre il governo a un giro di vite drastico che penalizza persone già gravemente colpite dalla prima ondata del Covid, privandole di rapporti sociali essenziali e di contatti con persone che potrebbero essere luci di speranza per affrontare la loro condizione. L'ultimo Dpcm affida alle strutture la responsabilità di autorizzare gli ingressi dei visitatori e «adottare le misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezioni». E le strutture hanno dato un giro di vite severissimo. La Val d'Aosta ha da tempo sbarrato l'accesso delle strutture per anziani; un'analoga iniziativa è stata adottata dall'Associazione residenza anziani Toscana, realtà che comprende 12 residenze, dopo che si sono sviluppati tre grossi focolai a Greve in Chianti, a Firenze e a Sesto Fiorentino, mentre nelle 300 strutture del Veneto sono partiti i test rapidi sugli ospiti. Le Rsa sono diventate fortini blindati dove l'accesso è contingentato e le attività sociali annullate. Gli ospiti non hanno più la libertà di fare una passeggiata quotidiana, di andare al bar o a trovare parenti e amici. Le comunicazioni con i propri cari avvengono tramite telefono o videochiamate, negli incontri c'è di mezzo una lastra di plexiglas che impedisce anche di allungare una mano per una carezza. Quanto potrà andare avanti questa situazione di confinamento, nessuno è in grado di prevederlo. Di sicuro, nelle 4.620 residenze per anziani sarà un Natale di profonda solitudine. Blindati nelle stanze, gli ospiti dovranno accontentarsi di sbirciare dalle finestre l'ingresso della struttura sperando di vedere un parente che sia riuscito a ottenere il permesso per una visita lampo. È stata lanciata una petizione, che finora ha raccolto 3.000 adesioni, dal titolo «Liberiamo gli anziani dalle prigioni delle Rsa». Per loro questa detenzione forzata dura da più di 8 mesi. È diventato virale su Facebook il video girato nella casa di riposo D'Azeglio di Torino, in cui l'anziano ha letteralmente abbracciato il pianoforte che la famiglia gli ha fatto recapitare nella struttura. Un contatto con l'esterno, insperato.In questa condizione di isolamento, si sottolineano soltanto gli aspetti della sicurezza ma non quelli dell'impatto sulla vita nelle residenze. Come se non bastasse, numerose case di riposo private sono state avvertite che quest'anno possono scordarsi il vaccino antinfluenzale gratuito per il proprio personale: se lo dovranno procurare per proprio conto, sperando di trovarlo. Molte famiglie hanno ritirato i loro cari dalle strutture per paura del contagio, ma anche per le difficoltà alle visite. L'Anaste, associazione che riunisce alcuni titolari di case di riposo, ha rilevato il 20% di posti liberi rispetto ai mesi pre Covid. Molte residenze potrebbero essere costrette a tagliare l'organico e a ridimensionare il servizio. Ma il dramma non è solo per gli anziani nelle Rsa. Chi vive in casa da solo non se la passa meglio. L'assistenza di una badante, anche solo come forma di compagnia, è un lusso che pochi possono permettersi, soprattutto dopo che l'aggiornamento del contratto nazionale ha appesantito le condizioni per i datori di lavoro, cioè gli anziani stessi e le loro famiglie. Rispettare le regole contrattuali significa spendere fino a 1.300 euro al mese. Il mercato sommerso, sempre fiorente, presenta incognite spesso spiacevoli.«Gran parte dei centri per anziani sono chiusi o con ingressi contingentati. Sono state annullate le gite, le feste, le attività ricreative, i pomeriggi danzanti, anche le partite a scopone o i tornei di bocce», commenta Girolamo Di Matteo, segretario nazionale della Fnp Cisl con delega alle politiche sociosanitarie. «Si crede che sia preferibile tenere isolato l'anziano in casa, in realtà così egli diventa più fragile. I rapporti sociali sono fondamentali». Secondo il report di Passi d'argento, il sistema di sorveglianza che fornisce informazioni sullo stato di salute, sulla qualità della vita e sui bisogni delle persone con oltre 65 anni, coordinato dall'Istituto superiore di sanità, già prima della pandemia quasi 3 anziani su 4 non partecipavano a incontri nei punti di aggregazione come i centri anziani, le parrocchie o le associazioni. Allo stesso tempo, quasi il 29% degli over 65 rappresenta una risorsa per i propri familiari o per la collettività perché aiutano figli e nipoti oppure fanno volontariato. Spesso, però, vivono in condizioni difficili: il 61% degli anziani riferisce di avere almeno un problema strutturale nella casa in cui vive e il 35% ha difficoltà nell'accesso ai servizi sociosanitari e ai negozi di prima necessità. Uno su 10 è caduto di recente e, nel 19% dei casi, è stato ricoverato in ospedale per almeno un giorno.Questa situazione si sta aggravando con le restrizioni sociali imposte dal Covid. La mappa delle chiusure dei centri anziani, fornita dalla Fnp Cisl a La Verità, è desolante. La frequentazione, nei rari casi in cui è ancora possibile, è scesa al 15%. Lazio e Lombardia li hanno chiusi, in Liguria sono aperti al 60%, in Piemonte al 20%, in Trentino al 10%, in Friuli e in Campania al 50%. In Veneto sono aperti solo alcuni centri a Venezia. Nelle Marche aperti al 50% e in Sicilia al 20%. Dove le porte non sono state sbarrate, sono state introdotte regole molto stringenti tali da essere molto disincentivanti per chi era abituato a frequentarli. 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Raffaele Antonelli Incalzi, presidente della Società italiana di gerontologia e geriatria e direttore del reparto di geriatria del Policlinico campus biomedico di Roma, ha monitorato gli effetti delle norme restrittive di sicurezza sugli anziani. Le precauzioni contro il Covid possono essere più dannose del virus? «Non possiamo ancora dirlo in base a dati statistici, ma gli effetti dell'isolamento sugli anziani si stanno facendo sentire. Si possono considerare due diverse situazioni: psicologica e fisica». Cominciamo dalle prime. Cosa accade nelle Rsa? «L'impatto è variabile. Alcune case di riposo si sono organizzate con videocolloqui e visite in sicurezza con pannelli divisori, che hanno consentito agli anziani di mantenere qualche rapporto con l'esterno. Però sono situazioni isolate. Nella maggior parte delle case di riposo, questo non è possibile per la mancanza di spazi e per non ottimali standard organizzativi. L'annullamento dei momenti di socialità, dalle visite di parenti e amici alle attività collettive nelle strutture, ha portato alla diffusione di stati depressivi e a un maggior uso di farmaci. Questo fenomeno riguarda anche gli anziani che vivono con i figli o da soli, privati di incontri, partite a carte, gite, feste, pranzi o cene di gruppo». Quali soggetti risentono di più dell'isolamento? «Nei malati con demenza il confinamento sta avendo effetti drammatici, con frequente inversione del ritmo sonno-veglia e accresciuto fabbisogno di antipsicotici per frenare l'agitazione psicomotoria». E le conseguenze fisiche? «Non poter uscire o frequentare i centri ricreativi o vedere amici e parenti significa ridurre il movimento, aggravare le patologie cardiovascolari e metaboliche e perdere il tono muscolare. L'attività motoria è a tutti gli effetti un farmaco salvavita per gli anziani. Occorre trovare un compromesso fra rischio ambientale e vulnerabilità individuale, valutando caso per caso». Tanti anziani finiscono per cancellare le visite mediche periodiche e le analisi? «La paura del contagio e l'inattività hanno portato a ridurre le visite mediche anche nei malati cronici. È aumentata la mortalità per infarto del 30%. La capacità di adattamento degli anziani a nuove condizioni di vita è scarsa». Cosa intende per capacità di adattamento? «Mantenersi attivi fisicamente, non mangiare troppo, conservare l'elasticità delle articolazioni. La costrizione a casa determina la perdita di equilibrio: dopo il lockdown sono aumentate le fratture per cadute. Nel sito Internet della Società italiana di geriatria c'è un volumetto, scaricabile, con alcuni esercizi da fare in casa. È importante pure l'esercizio mentale: leggere, ascoltare musica, telefonare. E adattare la dieta: l'aumento del peso per inattività ha effetti sulla pressione e sulla glicemia. E non perdere relazioni fondamentali per un anziano, soprattutto con i nipoti». Perché proprio i nipoti? «Loro, più che i figli, rappresentano la continuità, la vita che prosegue. Privarli di questo contatto ha effetti gravi». Si muore di solitudine? «L'impatto dell'isolamento non è inferiore a quello del coronavirus. Sì, si può morire di isolamento ma anche vivere male è un brutto esito per l'ultima parte della vita». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gli-anziani-dimenticati-2648336062.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="con-il-nuovo-contratto-delle-badanti-piu-costi-e-burocrazia-per-le-famiglie" data-post-id="2648336062" data-published-at="1603040459" data-use-pagination="False"> Con il nuovo contratto delle badanti più costi e burocrazia per le famiglie Le restrizioni imposte dal Covid stanno mettendo sotto stress le famiglie con anziani, soprattutto se non autosufficienti. Le chiusure dei centri ricreativi di quartiere o delle parrocchie, che offrivano qualche forma di intrattenimento, e la crescente difficoltà di organizzare le visite domenicali con parenti o nipoti, hanno costretto molti anziani a restare da soli in casa, bisognosi più di prima di una compagnia se non di assistenza. Spesso non c'è alternativa ad avere una badante in casa. Ma questo ormai è un «lusso». Le regole contrattuali sembrano fatte apposta per non essere applicate e per favorire il nero. Il nuovo contratto appena approvato, anziché facilitare la situazione, la complica. Oltre ad aumentare l'esborso per il pensionato, esso aggiunge una buona dose di burocrazia, nella quale è difficile districarsi se non con l'aiuto di qualche associazione di consulenza o dei patronati dei sindacati. Il punto di partenza è che la famiglia è assimilata nientemeno che a un'azienda, con tutti gli obblighi burocratici che questo status comporta. Dal 1° ottobre, data di entrata in vigore del contratto sottoscritto l'8 settembre, non si può più usare la parola «badante» ma quella di «assistente familiare». Novità di cui davvero avevamo bisogno. In compenso, per «facilitare» le cose, i tre livelli di inquadramento diventano quattro nominati con le lettere A, B, C, D, ciascuno dei quali è stato suddiviso in altri due, con una categoria «super». A ognuno corrispondono due parametri retributivi, in base alle conoscenze e competenze possedute in riferimento alla mansione richiesta. La griglia delle funzioni è molto rigida. Al momento dell'assunzione le famiglie-datori di lavoro domestico dovranno attivare un nuovo canale per accedere alle prestazioni (assunzioni, cessazioni e variazioni contrattuali) sul portale dell'Inps. Dal 1° ottobre serve lo Spid come accesso unico ai servizi dell'Istituto di previdenza, in sostituzione del Pin. Rimane invariato l'accesso al portale dei pagamenti (dove si possono elaborare e scaricare i PagoPa per il versamento dei contributi trimestrali) per il quale non è necessario essere in possesso dello Spid. Per il pensionato è impossibile fare da sé, a meno che non abbia un diploma da ragioniere o un passato da commercialista. Con le novità arrivano pure gli aumenti. Oltre a quelli previsti dal rinnovo del contratto, che scatteranno a partire dal prossimo 1° gennaio, si aggiunge un'indennità di 100 euro al mese per le badanti, di livello C super e D super, che assistono due anziani non autosufficienti e provvedono anche al vitto e alla pulizia dell'abitazione. C'è poi un'indennità mensile aggiuntiva che varia da 8 a 10 euro se la badante è in possesso di una certificazione, una sorta di patente di qualità che ottiene dopo aver seguito un corso di formazione. Per gli assistenti conviventi inquadrati al livello B super, quello delle badanti per persone autosufficienti e in regime di convivenza, l'aumento è di 12 euro al mese. Per gli altri profili professionali sono previsti aggiustamenti differenti: ad esempio, chi assiste persone non autosufficienti passa a 997 euro lordi, con un aumento di 13,5 euro circa. Raddoppiano, infine, i contributi alla Cassa Colf (da 0,03 euro l'ora a 0,06 euro, per due terzi a carico del datore e per un terzo a carico del lavoratore), mentre bisognerà attendere il 2021 per l'aggiornamento dei contributi Inps. Da un calcolo dell'Assofamiglie, emerge che per una badante a tempo pieno, per 54 ore settimanali, un anziano dovrebbe spendere circa 1.300 euro al mese, comprensivi di tredicesima, ferie, contributi e Tfr. Ma la maggior parte delle pensioni non arriva a 1.000 euro. Rispettare alla lettera il nuovo contratto di categoria significa, per un anziano, non solo disfarsi di tutta la pensione ma dover chiedere aiuto ai figli. Si prevede che con il progressivo invecchiamento della popolazione, nel 2025 la domanda di assistenti agli anziani aumenterà del 9%. Attualmente il 22,6% della popolazione italiana è costituita da over 65. Nel 2025 potrebbe arrivare al 24,7%. Gli anziani non autosufficienti rappresentano il 4,67% e si stima che di qui a cinque anni saranno il 5,11%. Il panorama è desolante. Poche strutture pubbliche con liste d'attesa interminabili, scandali di ogni tipo, dai maltrattamenti all'assenza di standard igienici e di sicurezza o alla frode di risorse statali. In questa realtà, in cui le eccellenze sono rare, la famiglia è ancora l'unica forma di welfare. Gli anziani arrivano alla fine della vita per lo più nella loro casa. Pochissimi hanno la fortuna di poter essere assistiti da un familiare e anche dove questo si renda disponibile, il ruolo dei badanti è essenziale e nella maggior parte dei casi irrinunciabile. Ma assumere una persona ora è diventato un salasso. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gli-anziani-dimenticati-2648336062.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="chiudere-le-rsa-e-riformare-lintero-sistema-del-welfare" data-post-id="2648336062" data-published-at="1603040459" data-use-pagination="False"> «Chiudere le Rsa e riformare l’intero sistema del welfare» «Per gli anziani il lockdown non è finito e chissà fino a quando durerà. Il Covid ha peggiorato la situazione di quanti sono nelle Rsa, le residenze sanitarie. Lontani dalle famiglie, senza più alcun legame con l'esterno tranne qualche telefonata, vivono come deportati. I pochi spazi vivibili sono stati soppressi. Gli anziani sono solo numeri, collocati in pochi metri quadrati di una stanza, avviati verso una lenta morte interiore». Colpiscono al cuore le parole di don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, nelle Marche, che dal 1994 ha raccolto il testimone del fondatore don Franco Monterubbianesi. Anziani, disabili, tossicodipendenti, migranti, una vita dedicata al prossimo. È autore di un e-book, Anziani deportati, sulla condizione nelle residenze sanitarie pubbliche. È azzardato dire che la solitudine nelle Rsa uccide come il Covid? «Per niente. La pandemia sta mettendo in crisi lo schema delle Rsa che già avevano mostrato i loro limiti. Sono strutture che hanno un'impostazione ospedaliera e quindi ritmi e regole rigide. Ma un conto è trascorrere qualche giorno in ospedale, altro è passarci anni, la parte conclusiva della vita. La pandemia ha imposto misure severe che hanno improvvisamente isolato gli anziani con conseguenze psicologiche gravissime. Già il trasferimento dalla propria casa in una residenza è un trauma. Significa recidere i legami con tutta una vita, testimoniata da mille piccole cose, una foto, un soprammobile, l'odore di un ambiente familiare, ed essere deportati in un luogo anonimo a contatto con persone che cambiano in continuazione. E ora l'unico ancoraggio con la vita precedente, rappresentato da parenti e amici, è venuto meno in nome delle regole sulla sicurezza». Ma le Rsa sono state, e lo sono ancora, focolai di propagazione del virus. Non si può abbassare la guardia. «È vero, ma queste regole rientrano in una logica ospedaliera che ha i suoi limiti. Per gli anziani le relazioni sociali e soprattutto i legami familiari sono fondamentali. Nelle strutture ricettive essi perdono l'orientamento, non sono più in grado di collegare i ricordi perché questi nascono da ambienti e persone». I contatti con i parenti sono mantenuti tramite le telefonate e le video chiamate. «La video chiamata non è un modo normale di rapportarsi per un anziano. È spiazzante. Non può sostituire il contatto fisico. Due parole per telefono non equivalgono a una carezza, all'abbraccio di un parente. Pochi sanno che anche un malato di Alzheimer percepisce il calore di un abbraccio, reagisce a una voce conosciuta che fa parte del suo vissuto. Ci sono modi di comunicare che vanno oltre l'intelletto. Le Rsa offrono un posto letto, ritmi scanditi dall'orologio, cibo standardizzato in piatti di plastica, spesso senza sapore e senza odore. E ora anche regole ferree per la sicurezza. L'anziano è portato a pensare che la vita non abbia più senso. La condizione di fragilità è amplificata. Magari la vita si allunga di qualche anno, ma con un'enorme tristezza. Tante medicine, tanta sicurezza, ma umanità zero». Quale è la soluzione? «Qualcuno si è chiesto come stanno vivendo queste persone isolate dai propri cari? Anche i giovani hanno sperimentato quanto sia pesante vivere per mesi nella restrizione di una casa: pensate a quello che stanno soffrendo gli anziani, magari se la salute non è buona. La vita è fatta di relazioni, sentimenti, affetti, ricordi. Per un anziano, la voce, la presenza di un familiare è importante. Altrimenti la persona rimane sola con i suoi fantasmi e le sue allucinazioni. La soluzione? Le Rsa andrebbero smantellate, con tutto il rispetto per tali strutture. Va ripensato il sistema del welfare». Come? «Il Covid è proprio l'occasione per cambiare la forma di assistenza agli anziani che è cosa diversa dalla ospedalizzazione. Occorre pensare a uno schema vivibile. Le residenze da 200 persone sono per forza luoghi di abbandono. Servono strutture più piccole, massimo di 15 ospiti, nelle quali creare una situazione confortevole. Servono aiuti pubblici alle famiglie meno abbienti affinché possano dotarsi di una badante. Il mio timore è che, passata la fase di emergenza, la politica si dimentichi ancora una volta degli anziani».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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