2023-12-10
«Gli alberi sono diventati invisibili ma grazie a loro racconto il mondo»
Raffaella Romagnolo (iStock)
La scrittrice Raffaella Romagnolo: «Guardo il bosco dietro casa, che si spoglia d’inverno e gloriosamente riparte a ogni primavera, e imparo a vivere. Scrivo storie ambientate nel passato, però parto sempre da un’urgenza del presente».Raffaella Romagnolo (Casale Monferrato, 1971) cresce in Piemonte, si laurea in Letteratura italiana all’Università di Genova e consegue un dottorato in Scienze letterarie a Pavia. Il suo primo romanzo giallo esce nel 2007, è seguito da La masnà (Piemme, 2012, ora Mondadori), Tutta questa vita (Piemme, 2013), La figlia sbagliata (Frassinelli, 2015), Destino (Rizzoli, 2018), Respira con me (Pelledoca, 2019), Di luce propria (Mondadori, 2021), Il cedro del Libano (Aboca, 2023), Aggiustare l’universo (Mondadori, 2023). Ha ricevuto svariati riconoscimenti quali il Premio Campiello Natura, il Premio Nazionale Letterario Pisa, Premio dei Lettori di Lucca ed è stata finalista al Premio Strega Ragazze e Ragazzi.Il cedro del Libano è un romanzo pubblicato nella collana Il bosco degli Scrittori di Aboca: quattro vicende legate a filo doppio agli alberi. Abbiamo ad esempio una ragazza che fugge dalla famiglia e per farlo deve attraversare i cedri di Dio tutelati nelle ultime riserve del suo paese, appunto il Libano, e incontriamo un professore di botanica, il quale dopo il fallimento della propria ascesa accademica, trova riparo e conforto nell’Orto botanico di Pisa, dove è in bella posa un cedro del Libano messo a dimora sul finire del XVIII secolo. Le fronde di questi alberi uniscono due mondi, due età, due istinti ben distinti. Da quale seme sono nate queste storie?«Gli amici di Aboca mi hanno chiesto di provare a raccontare il mondo attraverso un albero. Proposta bizzarra, e sfidante, dal momento che noi umani soffriamo di quella che i botanici chiamano «plantblindness», cecità nei confronti degli alberi. Pare sia un fatto legato all’evoluzione. In tempi remoti la nostra specie ha dovuto imparare a difendersi da ciò che si muove - gli animali - e non da ciò che sta fermo, come le piante, col risultato che noi oggi gli alberi non li consideriamo proprio. Il che è davvero strano, se pensiamo che la vita su questo pianeta è al 99% vita vegetale, e che sono le piante a renderci l’atmosfera respirabile. Ma di fronte alla vita siamo diventati sorprendentemente ciechi. Cecità che forse spiega il momento di drammatico squilibrio tra umano e ambiente che stiamo vivendo. Raccontare il mondo attraverso un albero è allora un modo, ho pensato, per rovesciare con l’immaginazione un’abitudine inveterata, e oggi pericolosa. E ho scelto il cedro del Libano perché ci accompagna da millenni. È l’albero più citato dalla Bibbia, per dire. E pare che possa vivere millenni. Ne Il cedro del Libano racconto allora il modo di abitare il tempo di un gigantesco, maestoso essere vivente sotto le cui fronde, idealmente, si consumano quelle che noi sono civiltà intere, con le piccole vicende di umani nati e cresciuti in epoche lontanissime, perfino nel futuro».Che cosa trova nel paesaggio, nella natura, che possa risultare utile all’immaginazione e alla sua scrittura?«Vengo da una famiglia contadina, abito in campagna, adoro camminare in montagna. Di tutto questo si nutre la mia immaginazione. Guardo il bosco dietro casa, che si spoglia d’inverno e gloriosamente riparte ad ogni primavera, e imparo a vivere. Quando mi capita di trascorrere del tempo in città, mi sento una turista in vacanza in un paese esotico. Ne scrivo, a volte, ma sempre con una certa distanza nello sguardo. Distanza che, invecchiando, si fa più grande».Nel romanzo Aggiustare l’universo, da poche settimane nelle librerie, danza tra le tre case dove lei venuta al mondo, è cresciuta e poi è diventata adulta, tra il Piemonte e Genova. Tutto trasposto però in un momento preciso del passato: l’inizio di una vita per quanto possibile ordinaria dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Come mai ha scelto di tornare a quel momento, essendo oltremodo un’epoca che può aver conosciuto solamente nei racconti dei parenti, dei conoscenti e di coloro che invece c’erano?«Scrivo spesso storie ambientate nel passato, ma rifiuto l’etichetta di “romanzo storico” perché rimanda a qualcosa di lontano e concluso, mentre io parto sempre da un’urgenza del presente. L’idea di Aggiustare l’universo mi è venuta durante la pandemia, quando ci siamo trovati di colpo con le scuole chiuse. In quel momento ho sentito la necessità di scrivere un romanzo che esplorasse il ruolo della scuola nella vita degli individui e nella società, ossia salvezza e futuro. Mi sono domandata se ci fosse mai stato un momento affine a quello che stavamo vivendo nella nostra storia nazionale e per questo ho scelto di ambientare Aggiustare l’universo nell’anno scolastico 1945-46, il primo dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale».Le sue storie come nascono? C’è un filo rosso che le accomuna?«Dipende. Una persona che incontro e mi incuriosisce. Un oggetto. Un paesaggio. Una volta persino un sogno. Ma di solito le mie storie nascono leggendo. Non conosco modo più efficace per fare esperienza del mondo».In un post che ha pubblicato sul suo sito parla dell’importanza che attribuisce alla scrittura, allo stile: «Lavoro sul contenuto: 10; lavoro sulla forma: 100». Che cosa significa per le lavorare sulla forma? Che lingua adotta nel romanzo?«Ridotta all’essenzialità della trama, ogni storia è già stata scritta. La forma ha a che fare con lo stile, e lo stile ha a che fare con l’arte ed è la parte generativa della scrittura. Consente uno sguardo nuovo su ciò che altrimenti risulterebbe opaco. Produce senso. La lingua poi si modula sulla storia che sto scrivendo. Lavoro moltissimo sul lessico. Il cedro del Libano è ricco di termini botanici, Aggiustare l’universo accoglie la raggelante terminologia giuridica delle leggi razziste emanate a partire dal 1938, ma anche vocaboli propri dell’orologeria, visto che la protagonista si adopera per riparare un vecchio planetario meccanico. Ho una predilezione per la lingua e le parole legate al lavoro, al mestiere. Cerco di riprodurre sulla pagina la meraviglia del saper fare».
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