2023-01-18
Giuseppe Abbagnale: «Quando ero piccolo amavo il calcio. Il canottaggio è stato un ripiego»
Giuseppe Abbagnale (Getty Images)
Il doppio oro olimpico con il fratello Carmine: «La rivalità con la Germania dell’Est è durata per tutto l’arco della carriera. Questo sport non è cambiato: tutti si rifanno alla nostra tecnica e al nostro modo di remare».Giuseppe Abbagnale, nato a Pompei nel 1959, è il capostipite di una dinastia di vogatori. Da capovoga, con il fratello Carmine e il timoniere Di Capua, fece esultare gli italiani attraverso la conquista, nella specialità «due con», di due ori olimpici nel canottaggio, a Los Angeles (1984) e Seul (1988). A ciò si aggiungono 7 titoli mondiali. A Seul anche il terzo fratello, Agostino, vinse nel «quattro di coppia» e poi ottenne altri due ori. Le gagliarde telecronache dell’epoca di Giampiero Galeazzi accendono ancora emozioni. «Partenza violentissima di Giuseppe e Carmine Abbagnale. (…) 42 colpi gli Abbagnale, 40 gli inglesi, li stanno strozzando. Aumenta ancora Giuseppe, il suo magnifico show…».La loro strategia era l’attacco iniziale e la resistenza negli ultimi 500 metri. Il prodiere di quell’equipaggio che segnò la storia di una disciplina nobile ma povera di risorse, oggi è presidente della Federazione italiana canottaggio. Ha un figlio, Vincenzo, 29 anni, che ha vinto 3 titoli mondiali, e una figlia, Gaia, 25 anni, giudice-arbitro del settore.Dove abita ora? «Continuo a vivere tra Pompei e Castellammare, sportivamente sono stabiese. Da sposato, abito in un Comune che si trova tra questi due, Santa Maria la Carità».Come ricorda la sua infanzia? «Semplice, lineare, fatta, prima di iniziare a fare canottaggio, di lavoro, scuola, aiuto alla famiglia nel lavoro nei campi. Poi ho cominciato l’attività agonistica, quindi la mia attenzione si è focalizzata sullo sport fino a diventare parte fondamentale della mia vita».Età del suo approccio con il canottaggio? «Le posso anche dire giorno e ora del mio primo allenamento. Ho iniziato il 7 settembre del 1974. Le prime gare sono state nell’anno agonistico 1975, quindi a 15-16 anni».È noto che fu suo zio Giuseppe La Mura ad avvicinarla a questa disciplina. «Un anno prima lo zio Giuseppe, fratello di mia mamma, era diventato l’allenatore del Circolo nautico Stabia, per cui nel suo progetto di progredire in risultati e reclutamento, una prima cosa che gli venne in mente fu cercare in famiglia…».È stato indimenticabile direttore tecnico della Nazionale. Oggi cosa fa? «Ha 82 anni, è andato in pensione qualche anno fa, si diletta a fare il nonno. Segue, anche se non più direttamente, il canottaggio, ed è ancora un valido interlocutore».Al principio degli anni Ottanta, quando iniziarono i vostri exploit, com’era la situazione del canottaggio italiano? «Dopo il 1968, quando fu conquistata l’ultima medaglia olimpica nel “due con” con Baran e Sambo, timoniere Cipolla (oro a Città del Messico, ndr.), fino al 1980, fu un periodo scarno di risultati. Alle Olimpiadi non riuscivamo neanche più a raggiungere una finale».All’inizio quali speranze aveva? «Come tanti ragazzini ero innamorato del calcio, il canottaggio è stato anche un ripiego per uscire fuori dalla mia condizione familiare del momento. Quindi, probabilmente, se La Mura mi avesse coinvolto nel gioco delle bocce, l’avrei fatto. Ero appassionato di sport, ma la mia famiglia ne aveva zero dimestichezza, per cui è stato un uscire, forse, da un destino segnato».Si rese conto presto delle sue potenzialità? «Posso dire che fin dall’inizio ci ho messo l’anima. Avevo anche un’anima agonistica, e quindi cercavo di primeggiare. Ma non mi aspettavo che la mia vita potesse diventare quella che è stata. L’idea di mettere in barca me e Carmine ha cambiato tutto».Ricorda la prima gara che vinse? «Fu la mia prima gara, nel 1976, a livello interregionale, ma non vinsi il campionato nazionale. Successe l’anno dopo».Come nacque l’idea di mettervi in coppia? «Io e Carmine abbiamo poco più di due anni e mezzo di differenza. Io ho percorso la mia strada nelle giovanili e lui altrettanto. La congiunzione è avvenuta quando Carmine è passato nella categoria senior. Nella nostra prima gara insieme abbiamo vinto e da lì in avanti non ci siamo più separati. Nel 1981 conquistammo il primo Mondiale a Monaco».E Giuseppe Di Capua come lo incontraste? «L’incontro con Peppino è avvenuto quando ho messo piede al circolo. Già da un paio d’anni era il timoniere di un altro equipaggio dello Stabia».Che atmosfera si percepiva, tra gli atleti, in quelle Olimpiadi Usa boicottate? «Periodo travagliato e non edificante. Il boicottaggio fu la ritorsione del blocco dell’Est alla mancata partecipazione del blocco Ovest alle Olimpiadi di Mosca. C’erano la Cortina di ferro e la guerra fredda. Lo sport era utilizzato politicamente. Il blocco dell’Est ne faceva una questione soprattutto politica».Come fu l’accoglienza in Italia da vincitori dell’oro? «L’accoglienza fu fragorosa e partecipata, il canottaggio italiano non vinceva da tanti anni un oro olimpico, ma fu un successo per tutto lo sport nazionale. Nel 1994 mancavano Russia e Germania dell’Est, fu un anno prolifico di medaglie».Ai Giochi olimpici di Seul, c’erano anche i Paesi dell’Est e trionfaste. Nella finale del 25 settembre 1988, l’attacco finale alla vostra imbarcazione della Germania est parve un destino. «Con la Germania Est c’è stata una rivalità durata per tutto l’arco della mia carriera. In quel periodo dominava in maniera quasi incontrastata il panorama mondiale. A Mosca vinse 7 titoli su 8 e nell’ottavo, in campo maschile, arrivò seconda».Ci fu un momento in cui temeste che i tedeschi orientali vi raggiungessero? «Il nostro avversario più temibile era la Gran Bretagna con Redgrave e Holms, gli unici che ci avevano battuto in quel quadriennio olimpico, esattamente nel 1986. La Germania dell’Est, che superò gli inglesi, fu il terzo incomodo».Come cambiò la vostra vita da quel momento? «Non è che sia stata stravolta, certo la popolarità aumentò, ma l’età avanzava, si cercava di affermarsi anche nel lavoro, terminare gli studi, sistemarsi, visto che né io né Carmine volemmo entrare nel corpo militare cercando uno sbocco lavorativo».Giunsero anche gratificazioni economiche? «Certamente la Federazione, e anche il Coni, mettevano a disposizione un premio per le medaglie olimpiche, ma non pensiamo a cifre astronomiche che consentissero di vivere di rendita o a un gruzzolo che ti desse sicurezza per la vita futura».Compensi, pertanto, nemmeno paragonabili con quelli del calcio… «Nooo, assolutamente no (sorride)».Impossibile dimenticare le telecronache di Galeazzi. «Bisteccone» era appassionato più di canottaggio che di calcio? «Giampiero proveniva dal mondo veliero e del canottaggio. Ma etichettarlo solo come calciofilo o canottiere è riduttivo perché ha spaziato, ricordiamo per esempio il tennis. È stato un innovatore anche nel modo di comunicare. Con noi aveva un rapporto diretto, lo abbiamo sempre visto come una persona molto vicina».Cosa fa ora Carmine? «Per qualche anno ha fatto il tecnico allo Stabia, poi il dirigente quando io ho lasciato lo Stabia, e da qualche anno si è ritirato in perfetto relax».E Peppino Di Capua? «Peppino oggi lavora ancora alla Telecom perché non ha l’età pensionabile e insieme ai figli gestisce un biscottificio storico famigliare a Castellammare, sono alla terza o quarta generazione».In cosa consiste la funzione del timoniere nella vostra specialità? «Deve tener diritta l’imbarcazione e cercare di muovere il meno possibile il timone. Sono i vogatori che devono andare diritti. È un ruolo molto cambiato, perché una volta non c’erano gli strumenti elettronici di oggi».Come cambiò il canottaggio italiano dopo le vostre vittorie? «Il mondo del canottaggio non è cambiato molto. C’è stata un’evoluzione delle barche, prima in legno ora in carbonio, e di altri elementi tecnici. Oggi tutti si rifanno alla nostra tecnica e al nostro modo di remare».Quali sono adesso i Paesi più forti nel canottaggio? «I Paesi anglosassoni, Inghilterra, Australia in primis, poi Nuova Zelanda e alcune nazioni europee».E la Germania? «La Germania ha perso gran parte del suo smalto. Da quando è stata unificata, anziché progredire in meglio, è andata in peggio, ma chiaro che dal punto vista politico lo scenario è cambiato».C’è una Regione italiana che attira il maggior numero di aspiranti canottieri? «È la Lombardia, una Regione con molti laghi. Ha 45 società e produce molto in termini di risultati ed elementi che entrano in Nazionale».Quante sono le società italiane di canottaggio e quanti i tesserati? «Le società affiliate alla federazione sono 250 e i tesserati circa 30.000, con bacino in aumento. Il canottaggio femminile sta dando un’ottima mano».Problemi da superare? «Spero di poter lasciare la federazione con una parità tra partecipazione maschile e femminile. Abbiamo anche una sezione parolimpica che sta ottenendo ottimi risultati e anche il canottaggio costiero sta facendo passi da gigante».Nel 1994 si candidò per il centrodestra alla Camera e ottenne il 35,9% delle preferenze nel collegio di Castellammare, ma vinse il centrosinistra… «Nel 1994 ho aderito a Forza Italia, era sceso in campo Berlusconi. Ottenni 28.000 voti, sono arrivato secondo. Poi ho preso un po’ le distanze dalla politica, l’esperienza è stata positiva anche come crescita personale, però ho visto i meandri della politica…».Cosa chiederebbe al governo, per il canottaggio? «Un intervento legislativo a favore dello sport in generale, perché tutti dicono che è uno degli elementi fondanti per la crescita dei giovani, allontana da problematiche come la droga. Ma non vedo riconosciuto questo ruolo, non lo vedo nella scuola primaria, nelle scuole superiori, non parliamo poi dell’università, dove siamo ad anni luce di distanza dai Paesi anglosassoni».
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