2022-11-07
«L’ambiente si salva se Pechino rispetterà le regole comuni»
Franceaco Giubilei (Imagoeconomica)
Lo studioso Francesco Giubilei: «La Cina emette più Co2 di Ue, Russia, Usa e India insieme. La conferenza sul clima? Perfino Greta la diserta...».Con la sfilata dei leader politici, in programma per le giornate di oggi e domani, l’enorme macchina burocratica della Cop 27 si mette ufficialmente in moto: oltre 35.000 delegati, da 197 Paesi diversi, in arrivo a Sharm el Sheik, in Egitto, per prendere parte alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Una gigantesca operazione di «ambientalismo di facciata», secondo molti: tante promesse, proclami e qualche impegno a riaggiornarsi, al massimo. «Ci sarà una grande eco, mediatica e non solo, ma la montagna partorirà un topolino, ancora una volta», ragiona con la Verità l’editore Francesco Giubilei, presidente della Fondazione Tatarella e del movimento Naziona futura. «Quando arriverà il momento delle conclusioni, si imboccheranno le solite scorciatoie: decisioni dall’impatto limitato sulla salvaguardia dell’ambiente o scelte che verranno sistematicamente disattese nel medio-lungo periodo». Giubilei, Greta Tunberg e gli altri alfieri dell’ambientalismo hanno snobbato la Cop 27: almeno su questo punto vi trovate dalla stessa parte. «Se addirittura Greta, che è stata la paladina di una visione globale sull’ambiente, arriva al punto di boicottare questi grandi eventi internazionali, allora bisognerà interrogarsi sulla reale utilità di certe conferenze». Per quale motivo non funzionano?«Gli obiettivi sono talvolta utopici, impossibili da rendere effettivi. Gli accordi sul clima, che già negli scorsi anni sono miseramente falliti, scontano fattori economici e industriali: ogni potenza ha necessità sul fronte interno che si scontrano con le posizioni esplicitate in questi eventi. La conferenza internazionale di Sharm el Sheik, poi, si inserisce in un contesto geopolitico complicatissimo, per via delle fratture con la Russia e la distanza sempre più marcata tra la Cina e gli Stati Uniti». «L’Unione Europea darà seguito ai suoi impegni internazionali sul clima», promettono da Bruxelles. Ottimismo eccessivo? «Sull’ambiente, così come spesso accade per altri ambiti, partiamo dal presupposto errato che tutti ragionino come noi. Talvolta, abbiamo la presunzione di pensare che tutti debbano allinearsi alle nostre decisioni. Nel concreto, ciò non avviene». Il vero elefante nella stanza della Cop 27 è la Cina, con cui l’Occidente non ha mai fatto davvero i conti sul fronte ambientale. «Prendiamo i dati del 2021: la Cina ha prodotto il 33% delle emissioni totali di anidride carbonica. Da sola, supera la somma di Stati Uniti, Unione Europea, India e Russia. Negli ultimi 20 anni, le emissioni cinesi sono esplose. Di contro, quelle europee sono calate in maniera drastica. Se non riusciamo ad applicare regole comuni, uguali per tutti, rischiamo di distruggere interi settori industriali occidentali lasciando campo libero alla Cina. Faccio due esempi».Prego. «Il primo riguarda le automobili. La probabile dismissione del motore endotermico entro il 2035 creerà un danno non solo alle grandi compagnie automobilistiche, ma anche all’intero settore della componentistica, cioè quelle piccole o medie aziende che operano in Emilia Romagna, in Piemonte e in tante altre zone d’Italia e che costituiscono una vera eccellenza. Di fatto, verrà dismesso un settore di cui siamo avanguardia. E, cosa ancora più grave, lo faremo sovvenzionando il settore dell’elettrico, controllato pressoché interamente dalla Cina». All’orizzonte c’è una nuova dipendenza dopo quella con la Russia per il gas?«Ci stiamo consegnando mani e piedi, dopo aver parlato per oltre un anno di sicurezza energetica. Lo stesso varrà per le rinnovabili, altrettanto fondamentali nella transizione verde sognata da Bruxelles: sulla componentistica per le pale eoliche e i pannelli solari, la Cina è monopolista, ancora una volta». Per quale motivo l’Ue non è in grado di trovare soluzioni per garantire la sicurezza energetica?«Un’Unione Europea capace di funzionare a dovere darebbe risposte concrete su questo tema. Dopo essersi accorti degli errori commessi con la Russia, con cui c’erano comunque rapporti storici, non è possibile perseverare anche con la Cina, della cui pericolosità non dubita più nessuno neanche negli Stati Uniti, democratici compresi». Il tema dell’ambiente dovrebbe entrare con maggior forza nell’agenda dei conservatori europei?«Si apre una grande opportunità per il governo Meloni, che dovrebbe lavorare anche per scardinare la narrazione secondo cui la destra non ha cura dell’ambiente». «Ambientalismo di destra è sinonino di negazionismo», è il ritornello. È stato un errore lasciare il tema alle forze politiche di sinistra?«Da un punto di vista politico, è indubbio che il centrodestra debba fare autocritica per aver trascurato in passato il tema. Nell’immaginario collettivo, è passato il messaggio che l’ambiente è di sinistra, un po’ come la cultura. Eppure, questi temi non hanno colore politico: sono di tutti. La destra deve rivendicare il tema dell’ambiente perché appartiene culturalmente al nostro mondo: ci sono scrittori, correnti di pensiero, grandi movimenti conservatori che si sono dedicati al tema dell’ambiente».Come si attua questa rivendicazione?«Bisogna portare avanti una narrazione alternativa a quella prevalente oggi».Basata su quali punti?«C’è bisogno di un cambio di paradigma: bisogna tornare al locale, alle piccole comunità, ai territori. Non possiamo pensare che alla Cop 27 si discuta di grandi temi, di problematiche enormi e poi i mezzi pubblici della capitale d’Italia non funzionano, buona parte delle strutture scolastiche del nostro Paese sono alle prese con un’enorme dispersione energetica e si continua a costruire edifici piuttosto che recuperare quelli esistenti».Il governo Meloni sblocca le trivelle per provare a recuperare parte dei volumi di produzione nazionale di gas. Una maggiore autosufficienza energetica è possibile? «Non disponendo di risorse energetiche enormi, è chiaro che non possiamo avere un’indipendenza totale, almeno nel breve periodo. Detto questo, un conto è dipendere dall’estero per il 20% del fabbisogno nazionale, altro conto è dipendere per il 70%. Quando parliamo di sovranità energetica, intendiamo dire che dobbiamo diversificare le fonti energetiche e soprattutto i fornitori. Nel momento in cui un Paese riesce ad avere varie fonti per la produzione di energia, si può ambire ad avere una sovranità che, in prospettiva, si avvicini al 100% del fabbisogno».Un cambio di rotta è possibile, dunque?«Più che possibile, lo ritengo necessario. L’aumento spropositato dei costi energetici genera un problema di competitività del Paese. Le nostre aziende del terziario pagano l’energia il 70% in più rispetto a quelle francesi, il confronto è impietoso. Le aziende tedesche, francesi e americane riescono a vendere i loro prodotti a prezzi molto più bassi, perché i costi dell’energia incidono meno. Ciò genera per l’Italia la perdita di punti di Pil, il rischio recessione e la scomparsa dei posti di lavoro».Sul breve periodo, un fondo europeo per le bollette potrebbe essere una soluzione?«Si sta pensando a un fondo Sure per l’energia, anche se il passo più urgente da fare sarebbe la rivisitazione delle stime del Recovery fund, alla luce dei costi dell’energia. La soluzione deve essere europea, per il semplice fatto che il problema lo ha creato l’Europa. Gli aumenti dei prezzi energetici si devono solo in parte alla guerra in Ucraina, il rialzo è antecedente ed è stato causato dalle politiche energetiche fallimentari portate avanti dalla Ue per compiacere gli interessi della Germania».L’ambizione dei conservatori è quella di riformare l’Unione Europea: in che modo? «A mio modo di vedere, bisogna ripensare l’intero impianto. In tutti i momenti cruciali, l’Unione Europea è stata fallace: non è stata in grado di ricoprire un ruolo diplomatico per la pace in Ucraina; non è stata in grado di garantire una soluzione per la crisi energetica, trascinando per mesi la discussione sul tetto al prezzo del gas senza arrivare a un accordo concreto. Dovremmo immaginare l’Europa come una confederazione, la famosa Europa delle Nazioni: temi in comune, ma senza intaccare le identità e le sussidiarietà di ogni Stato membro. E soprattutto, vogliamo un’Europa che non si vergogni di difendere le proprie radici cristiane e la propria identità per seguire il principio dell’omologazione».Con chi si riforma l’impianto?«In prospettiva, la sfida è riportare il mondo popolare alle proprie origini. Oggi il Pppe si allea con la socialdemocrazia, quando invece dovrebbe guardare a destra e fare asse con i conservatori. Se c’è un Partito popolare così frammentato e che si appoggia a sinistra, diventa complicato fare delle alleanze».
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