2021-03-29
L’Italia ha bisogno di una Giornata per la vita nascente
Mai così pochi bimbi dall'Unità: una celebrazione ci aiuterebbe a ricordare che i figli sono doni, non il frutto di calcoli economici.Sabato, tramite un grande festival online, lo hanno chiesto tutte le associazioni che si occupano di difendere la vita e la famiglia. Lo hanno chiesto artisti e Vip. Lo hanno chiesto pure politici da sempre in prima linea sui cosiddetti «temi etici», come Simone Pillon della Lega e Isabella Rauti di Fratelli d'Italia. Lo ha chiesto, insomma, un intero mondo: il 25 marzo deve diventare un giorno speciale non soltanto per i cattolici che celebrano l'annunciazione del Signore, ma pure per le istituzioni. Insomma: bisogna istituire la Giornata per la vita nascente, e bisogna farlo alla svelta. Perché tanta fretta? Perché aspettando troppo, si rischierebbe di aggiungere al calendario l'ennesima giornata del ricordo. Esatto: una sterile commemorazione dei bei tempi andati, quelli in cui ancora qualche bambino veniva al mondo. Non siamo noi a essere pessimisti, sono i dati Istat a togliere di mezzo ogni ottimismo. Abbiamo raggiunto il minimo storico di nascite dall'Unità d'Italia: nel 2020 sono state 16.000 in meno rispetto al 2019, un calo del 3,8%. Non stupisce: ogni dodici mesi si stabilisce un nuovo record negativo.Basterà una nuova ricorrenza per invertire la tendenza? Certo che no. Però si potrebbe tentare di rendere la Giornata per la vita nascente qualcosa di più che un contentino a conservatori e pro life. Da qualche tempo parlare di famiglia e di natalità è diventato difficile. Si viene guardati con sospetto, si viene accusati di sovranismo o di fascismo. Basti ricordare che accadde qualche anno fa quando a Verona si tenne il festival della famiglia: ci furono proteste, sfilate di piazza, aggressioni. Diventa necessario, allora, creare uno spazio pubblico protetto dalla polemica e dalla censura, e utilizzarlo per ricordare a tutti - almeno un giorno all'anno - quanto sia grave la situazione. No, un'altra crocetta sul calendario non serve, ma serve creare dibattito, stimolare la riflessione, interrogarsi sulle cause profonde dell'inverno demografico che viviamo ormai da anni.Dobbiamo ammettere una volta per tutte che le cause della denatalità non sono soltanto economiche. Sono, prima di tutto, culturali. In questi giorni il governo discute di assegno unico per i figli, una misura che dovrebbe partire il primo luglio, ammesso che riescano ad approvarla entro la fine di marzo. Si parla di un versamento di un massimo di 250 euro a figlio (a partire dal settimo mese di gravidanza fino a 21 anni) per ogni famiglia italiana. L'assegno andrà a soppiantare le altre (già ridottissime) forme di sostegno alle famiglie attualmente in vigore. L'importo verrà ridotto qualora il figlio studi o lavori, inoltre ne avranno diritto pure gli extracomunitari con permesso di soggiorno europeo. Alla fine, dunque, lo Stato sosterrà i genitori offrendo loro un paio di pizze e qualche bibita. Chiaro: di sicuro è meglio che niente, anche se non è per nulla sufficiente, anzi pare che 1,3 milioni di famiglie riceveranno meno soldi di prima. Tuttavia, dicevamo, il punto vero non sono i soldi. A dirla tutta, la logica economica è all'origine del dramma. Da qualche tempo, si considerano i figli come «una scelta». Come ha scritto Lucetta Scaraffia, essi sono «frutto […] di un desiderio privato, perché la procreazione è diventata un atto consapevole». Prima di mettere al mondo un bambino si soppesano razionalmente le varie opzioni: conviene riprodursi oppure no? Molti decidono che non sia conveniente. Secondo un recente studio americano, nelle nazioni in cui si dà maggior peso alla carriera intesa come piena realizzazione personale si fanno meno figli, perché li si percepisce come un ostacolo. È questa idea della scelta, questa brutale razionalità economica che dobbiamo combattere. Se le coppie pensano soltanto a sé stesse all'interno di una logica simile a quella del mercato, non c'è aiuto statale che tenga: «L'invecchiamento dell'umanità, lo schiacciamento del futuro a opera del passato non può che essere la conseguenza di una visione unilaterale della relazione di coppia», scriveva Joseph Ratzinger.La «scelta» è quella che si compie al supermercato di fronte a vari prodotti disponibili: se applicata ai figli è disastrosa. «Avere un figlio è una scelta presa al buio, dai benefici incerti e dai certissimi costi. Scelta senza possibilità di tirarsi indietro una volta intrapresa, che si può prendere solo “chiudendo gli occhi", senza tendere spasmodicamente ad essa», spiega Giuseppe A. Micheli in Preferirei di no. Perché il crollo delle nascite ha radici lontane (Mimesis). «Si può decidere di non avere un figlio, ma più raramente si deciderà, si programmerà di averlo. Salvo che - a contrario - ci si scontri con difficoltà ad averlo, e ci si opponga a un destino che non si accetta. Maternità o paternità sono perseguibili solo quando si allenta la morsa ingabbiante del controllo della razionalità». Rifiutare la visione del mondo mercantilista significa aprirsi alla possibilità del dono. Ecco perché la data del 25 marzo, l'Annunciazione, è perfetta: Maria riceve la visita dell'angelo, è spaventata, eppure dice «Fiat». Si affida al mistero, consapevolmente. Perché non mette al centro la legge «della perdita e del profitto», ma quella del dono. È questo cambio di visione che ci serve: cominciamo istituendo una giornata in cui parlarne, ogni anno. Servirà più dell'elemosina di Stato.