2021-05-05
Occhio a Gioacchino, il nonno dei progressisti
Nel suo ultimo, affascinante romanzo filosofico, Marcello Veneziani evoca la figura del teologo calabrese Da Fiore. Ma infatuarsene è pericoloso: teorico del paradiso in Terra, amatissimo dai comunisti, è stato un apripista del pensiero rivoluzionario.Ho letto con trasporto il nuovo libro di Marcello Veneziani, La leggenda di Fiore, appena uscito per Marsilio. È un oggetto strano, per i nostri tempi, perché appartiene a una tradizione antica, quella del romanzo filosofico. Allo stesso momento, però, è anche un bel libro d'avventura. Un'avventura spirituale, se vogliamo dirla tutta, e in fondo anche alchemica, poiché l'autore ci accompagna in un percorso di progressiva raffinazione. Una dopo l'altra, da lettori, attraversiamo tutte le fasi della Grande Opera, e siamo accompagnati a scoprire «l'alba dentro l'imbrunire», come cantava Franco Battiato (che sappiamo essere molto caro anche a Veneziani). Il punto è proprio questo. Poiché il libro è bello, denso e ricco, se ne resta affascinati. Si rimane come avviluppati dalle idee che ne escono, e si corre il rischio d'innamorarsene, perché sono vive - rarità, in questa terra desolata - e suggestive. Bisogna fare attenzione, tuttavia, a innamorarsi di un personaggio che Veneziani evoca e sceglie come «spirito guida», se così si può dire, dell'intero romanzo: Gioacchino da Fiore. Dante Alighieri, nel Paradiso, lo definisce «il calavrese abate Giovacchino/ di spirito profetico dotato», e in effetti Gioacchino stesso si riteneva profeta. Nato attorno al 1130 circa e vissuto fino al 1202, questo teologo di Calabria è stato senz'altro uno dei maggiori pensatori italiani d'ogni tempo. Mistico ispirato, nei suoi scritti si ritrovano suggestioni francescane, profondità che solo i grandi maestri della «filosofia perenne» hanno saputo raggiungere. Gioacchino, forse non studiato e valorizzato qui da noi come si dovrebbe, è stato letto e citato da una selva di autori di importanza capitale. Dante, appunto, ma anche Ernst Bloch, e il «mago» W. B. Yeats, e ancora James Joyce (a sua volta legato a un altro monumentale italiano, Gian Battista Vico). Soprattutto, però, l'abate calabrese è piaciuto ai progressisti o, meglio, ai cultori del progresso. Bloch lo indicava come l'uomo capace di indicare un tempo esatto per la venuta di Dio. Hegel lo ha preso a modello per descrivere l'azione dello spirito nella Storia. Che cosa teorizzava Gioacchino? Egli suddivideva la storia del mondo in tre età: quella del Padre, quella del Figlio e quella dello Spirito. La terza età è «l'ultimo atto dell'autorivelazione divina», il momento in cui si manifesterà una conoscenza perfetta della rivelazione che «trasformerà il cristianesimo in un'unica Chiesa spirituale e universale» (così Matthias Riedl in Il maestro dell'Apocalisse, Mimesis). In buona sostanza, Gioacchino aveva previsto la realizzazione del paradiso in Terra. Non intendeva abbattere la Chiesa, ma ne ha criticato violentemente il malcostume: alla «Chiesa di carne» voleva sostituire quella «dello Spirito». Sempre secondo Ernst Bloch, egli è stato l'architetto di una «democrazia mistica», il visionario precursore di un'era di «libero spirito». In questo modo, di fatto ha secolarizzato la il cristianesimo, snaturandolo. Ha trasportato nel mondo il regno di Dio che in questo mondo non è. Come ha notato Jacob Taubes, Gioacchino ha cambiato radicalmente l'escatologia occidentale. Alla terrificante attesa dell'apocalisse ha sostituito la gioiosa e robusta speranza in un nuova era di gioia e prosperità. Queste sue idee ispirarono predicatori come il protestante Thomas Müntzer, il quale pensò bene di accelerare la venuta della «terza età» attraverso la rivolta armata. Ci stiamo avvicinando al cuore della questione, come potete vedere: Gioacchino è stato, in larga misura, il padre di tutti i rivoluzionari. La sua visione dello spirito, ha scritto Henri de Lubac in un'opera strabiliante (La posterità spirituale di Gioacchino da Fiore, Jaca Book), è stata utilizzata «per un superamento del Cristo e della sua Chiesa». Non è un caso che tutta la storiografia comunista abbia fatto dell'abate calabrese un eroe, un precursore del sogno proletario. Anche se, a ben vedere, il mito di «Gioacchino profeta della rivoluzione» è antecedente persino agli utopisti. Insomma, per quanto affascinante e poderoso, il pensiero di Gioacchino si può considerare precursore dell'attuale culto del progresso. Per non parlare dell'influenza che ha avuto sul messianismo comunista e perfino - anche se in misura limitata e appena laterale - sul nazionalsocialismo (non è troppo difficile, anche se forse è superficiale, avvicinare la «terza età» al «terzo Reich»). Non voglio sostenere che l'abate sia un «cattivo maestro», ma va maneggiato con cura. E se è corroborante leggerne gli scritti più acuminati ed estremi, è anche vero che ci troviamo davanti alla prima, grande deviazione del cristianesimo. A una dottrina che, se portata alle estreme conseguenze, può giustificare la violenza rivoluzionaria e, purtroppo, tutto quel che ne deriva. O che, se vissuta in maniera leggermente più blanda, può condurre all'infatuazione per il progresso di cui oggi vediamo il lato peggiore.
Bologna, i resti dell'Audi rubata sulla quale due ragazzi albanesi stavano fuggendo dalla Polizia (Ansa)