2021-08-07
Gimbo ha scatenato i mostri: trionfo azzurro
Bruciato il record di medaglie di Roma '60. Con la staffetta degli epici Filippo Tortu e Marcell Jacobs e i miracoli di Luigi Busà e Antonella Palmisano nel karate e nella marcia adesso gli ori sono 10. Per l'Italia è già l'Olimpiade più bella. Ed è cominciata davvero solo dopo l'impresa di Gianmarco Tamberi.Neanche l'avesse scolpito Michelangelo. Uno stivaletto di gesso con scritto «Road to Tokyo» oggi è la pietra miliare della nostra felicità. L'olimpiade italiana è decollata lì, domenica alle 14.30 sulla pedana del salto in alto, mentre quel simulacro di piede rotto posizionato strategicamente da Gianmarco Tamberi diventava il potente amuleto di un intero popolo di sportivi da divano. Simbolo di caduta e rinascita (il saltatore s'era rotto un tendine alla vigilia dei Giochi di Rio), ha accompagnato l'onda azzurra anche alle ultime tre imprese: l'oro di Luigi Busà nel karate, l'oro di Antonella Palmisano nella 20 km di marcia e soprattutto l'oro con venature di platino della staffetta 4x100, trascinata da Marcell Jacobs e Filippo Tortu direttamente nella leggenda davanti agli inglesi - ancora gli inglesi in rimonta come a Wembley - per un centesimo.Sì, devono mangiarne di pastasciutta, secondo la dieta di Leonardo Bonucci. E rosichino pure, gli americani, ma quest'anno i re della velocità arrivano da Formia. Il dato è scolpito nel medagliere surreale dell'atletica: Stati Uniti e Italia cinque ori, Giamaica e Polonia quattro, Kenya due. Il mondo alla rovescia è meraviglioso. Dieci medaglie d'oro, meno solo che a Sydney e Atlanta dove furono 13, ma qui mancano ancora due giorni. Sono 38 in totale, record di Roma e Los Angeles polverizzato (erano 32). La grande abbuffata va in scena di venerdì, che dovrebbe essere di magro. E ha tre pietanze deliziose, cucinate con maestria dagli atleti azzurri che meritano l'investitura del presidente Sergio Mattarella: «Sono orgoglioso di voi». La finale della staffetta è una gara perfetta. Lorenzo Patta tiene sulla partenza bruciante di britannici e cinesi, Jacobs vola nel rettilineo e consegna un testimone bollente a Eseosa Desalu detto Fausto. Il mantovano di origine nigeriana stringe i denti in curva e offre a Tortu l'occasione di decollare verso il podio, ma il ragazzo brianzolo di padre sardo fa di più, molto di più. Si libera dei fantasmi che lo avevano accompagnato sin qui, spazza via la sindrome Jacobs e dipinge un capolavoro: risucchia tutti, cinesi, canadesi (terzi) e sul filo di lana, praticamente ai rigori, gli inglesi. A Londra la frustrazione è totale e il Daily Mail titola: «Basta Italia». È 37"50, record italiano, quinta prestazione mondiale di sempre. È qualcosa di incredibile che rende strutturale una supremazia, perché qui non si celebra un exploit individuale ma la forza devastante di un movimento.«Non svegliateci mai più, siamo in cima al mondo. Sul podio, ascoltando l'inno, piangerò come una fontana», annuncia Tortu. E il senso di Paese, di appartenenza che caratterizza l'Italia di Tokyo ha un'ulteriore conferma. Ragazzi dai valori solidi, che sanno da dove arrivano sogni e fatica: famiglia, squadra, amicizia. Ragazzi che danno un peso ai simboli, come Antonella Palmisano, tarantina di Mottola che cominciò con il motocross e si regala il trionfo nella marcia nel giorno del suo trentesimo compleanno. Quando decide di salutare il gruppo è devastante. E quando è sicura che la colombiana Arenas e la russa Liu non la prenderanno più si avvolge nella bandiera tricolore e annuncia al mondo che l'Italia è ancora e sempre qui. Poi perde il drappo che una giapponese le riporta piegato sul traguardo e dedica il trionfo ad Annarita Sidoti, colonna della marcia italiana morta a 45 anni per un tumore. La storia di Palmisano con la bandiera è vecchia: nel 2017, agli Europei in Repubblica Ceca, per rallentare a prenderla non migliorò il suo record personale. Ma alla fine disse: «Non mi importa nulla del tempo. La cosa più importante era il tricolore, il nostro simbolo, quello su cui si giura quando si debutta in Nazionale. Non immaginate nemmeno quanto fossi entusiasta di sventolarlo». Pensiero forte di piccole grandi querce, perché nulla avviene per caso. Come l'oro di Busà, siciliano di Avola, che nel tempio delle arti marziali, il Nippon Budokan, mette in fila il pianeta e grida nella telecamera: «Ce l'ho fatta, mamma». Poi spiega perché deve tutto alla famiglia: «Ero obeso, pesavo 94 chili, l'unico a credere in me era mio padre». Spiegategliela voi la boldrinata del genitore due. Ormai è una messe. Ed è partita quel giorno con Tamberi impazzito sul tartan, davanti all'improbabile gesso vuoto che faceva tanto Garpez di Aldo, Giovanni e Giacomo. Senza nulla togliere ai primi eroi da podio (Vito Dell'Aquila nel taekwondo, Valentina Rodini e Federica Cesarini nel canottaggio), nell'Olimpiade italiana c'è un avanti Gimbo e un dopo Gimbo. Il primo a comprendere il senso del messaggio fu Jacobs: «Quando ho visto la sua impresa ho capito che avrei potuto vincere anch'io. Anzi mi sono detto: se c'è riuscito lui, posso farcela». Oro nei 100. Poi Ruggero Tita e Caterina Banti nella vela («Ci siamo commossi, ci ha caricato a mille»), poi Filippo Ganna e i missili dell'inseguimento a squadre («Dopo Gimbo nulla era impossibile»), poi Massimo Stano nella 20 km maschile («Ringrazio Tamberi e Jacobs, da loro ho avuto una spinta in più»). E nel venerdì grasso gli altri, strepitosi atleti che restituiscono a un Paese l'orgoglio di essere sé stesso. Nel medagliere siamo davanti a Germania, Olanda e Francia. Nulla di politico, non avrebbe senso, solo un sorriso sportivo. Come non ha senso il medagliere di latta inventato sui social, per il quale fanno il tifo Paolo Gentiloni ed Enrico Letta, che ci racconta un'olimpiade fasulla dove l'Europa unita avrebbe più medaglie di tutti: 58 ori, seconda la Cina con 33, terzi gli Stati Uniti con 27. Un conteggio fasullo perché nelle selezioni molti nostri atleti non sarebbero stati neppure presi in considerazione. Rimanendo dentro il gioco, è più divertente notare che la Lombardia ha gli stessi ori della Francia (7) e la Puglia (3) è a pari con la Spagna e davanti a Svezia e Grecia. Numeri che danno il peso specifico a un'anima italiana che non ha bisogno di omologarsi per vincere. Siamo un popolo strano, per il paradiso ci basta uno stivaletto di gesso modellato da Michelangelo.