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2023-05-09
La Germania studia un maxi sussidio per le bollette delle grandi imprese
Olaf Scholz (Ansa)
Il ministero dell’Economia tedesco è intenzionato a introdurre un sussidio per le grandi imprese energivore, imponendo un prezzo industriale dell’energia elettrica, fisso e pari a 60 euro/MWh. Nelle intenzioni, il provvedimento è teso a restituire competitività alle imprese tedesche, soprattutto a quelle manifatturiere, vittime del disastroso boom dei prezzi dell’energia verificatosi lo scorso anno.
Si tratta di una proposta che aleggiava da tempo e che era relativamente attesa, dopo che già lo scorso autunno il cancelliere Olaf Scholz aveva proposto un pacchetto di aiuti da quasi 200 miliardi di euro per la Germania. Criticatissimo all’epoca, soprattutto per l’atteggiamento da Marchese del Grillo adottato nei confronti dei partner europei («Io so’ io, e voi…»), alla fine il fondo per gli aiuti fu approvato ma non utilizzato completamente. In complesso, secondo l’Istituto Bruegel, tra il settembre 2021 e il gennaio 2023 la Germania, al fine di mitigare gli effetti della crisi energetica, ha allocato fondi pubblici per 264 miliardi di euro, pari a 7,4 punti di Pil. L’Italia ha stanziato nello stesso periodo poco più di un terzo circa di tale cifra, ovvero 92,7 miliardi di euro, pari al 5,2% del Pil. La Francia mostra cifre simili all’Italia in valore assoluto: 92,1 miliardi, pari in questo caso al 3,7% del Pil francese.
La proposta di questi giorni arriva direttamente dal ministro dell’Economia e dell’azione per il clima, il Verde Robert Habeck. Si tratta di una misura asimmetrica, che avvantaggerà le grandi imprese a discapito delle famiglie e delle piccole imprese. Questa non è una novità, per il sistema ordoliberale tedesco, che si basa proprio su questo: limitare la domanda interna, cioè i consumi delle famiglie, e privilegiare la competitività delle imprese, soprattutto quelle più dedicate all’export. Il sistema dei prezzi dell’energia elettrica e dei relativi carichi fiscali e para-fiscali (come gli oneri di sistema) è già sbilanciato in modo tale da favorire le imprese a discapito delle famiglie. In questo caso, si tratterebbe di un vero e proprio prezzo fisso di 6 eurocent al kilowattora (60 euro/MWh) fino al 2030, data in cui, secondo Habeck, le fonti rinnovabili saranno sviluppate tanto da consentire un calo strutturale dei prezzi dell’energia. Secondo il ministro tedesco, si tratterebbe di un ponte necessario alla competitività di quella industria di base che è responsabile del 76% dei consumi di energia elettrica e che allo stesso tempo rappresenta il 20% del Pil tedesco e il 15% dell’occupazione. Nella visione del leader dei Verdi, si tratta anche di evitare la delocalizzazione di imprese tedesche che potrebbero trovare vantaggioso trasferire altrove le produzioni, in Paesi in cui l’energia costa meno.
Il costo stimato della misura, a prezzi attuali, sarebbe di circa 25-30 miliardi di euro per i sei anni del programma. Il meccanismo sarebbe legato al prezzo spot, funzionando quindi come uno swap (prezzo fisso contro prezzo variabile). Il consumatore (grande azienda energivora) si approvvigionerà di energia elettrica da un qualunque fornitore a un prezzo indicizzato a mercato spot, cioè al mercato giornaliero. Se il prezzo spot di un giorno supera i 60 euro/MWh (per esempio 85 euro/MWh) sarà il meccanismo di sussidio a versare la differenza al fornitore (25 euro/MWh), mentre il cliente pagherà 60 euro/MWh al fornitore. Questo varrà per l’80% dei consumi.
Nella bozza del documento circolata, Habeck (bontà sua) si è poi dichiarato consapevole del fatto che i partner europei possono vedere l’iniziativa tedesca come distorsiva della concorrenza nel mercato interno. Per questo, il governo tedesco, a detta di Habeck, vorrebbe «entrare in uno scambio costruttivo con la Commissione europea su tutte le questioni rilevanti per la concorrenza della proposta». La bozza si spinge sino alla creazione di un fondo simile al Sure, che potrebbe essere utilizzato da tutti i paesi dell’Unione per avviare meccanismi simili.
Naturalmente, le imprese tedesche si sono dichiarate elettrizzate dall’idea. L’Amministratore delegato di Volkswagen, Oliver Blume, aveva già chiesto al governo di intervenire per mantenere i prezzi dell’energia sotto i 7 centesimi a kilowattora, limite sopra il quale l’industria europea non è competitiva.
Ha pensato il ministro delle finanze, il liberale Christian Lindner, a smorzare gli entusiasmi. Già venerdì scorso un portavoce del ministero delle finanze aveva affermato laconicamente che «non esistono fondi per questo progetto». Poi il ministro stesso, in un articolo su Handelsblatt, ha bollato il sussidio come imprudente e contraddittorio. Anche dalla cancelleria di Olaf Scholz trapela un certo distacco dall’iniziativa dei Verdi, che suona come una sconfessione dell’operato del ministro dell’Economia.
Le incomprensioni e le dispute all’interno del governo di coalizione sembrano proseguire, insomma. A meno che si tratti di una strategia, che consiste nel lanciare il sasso ed aspettare per vedere cosa succede. Non sarebbe la prima volta.
Consulta «sovrana» pure sul green
Pensavate si accontentassero di licenziare una legge elettorale o di stabilire le condizioni di legittimità del suicidio assistito? Ingenui. I fini giuristi del nostro tempo hanno deciso che il ruolo delle Corti costituzionali non è di tutelare le Costituzioni esistenti, bensì di «dinamizzare» l’ordinamento. Insomma, i giudici non vogliono più solo fare i custodi delle leggi; li leggi vogliono proprio farle. E la religione ecologista, in questo senso, apre delle praterie.
Ne è la prova il resoconto del convegno ospitato dalla Consulta tedesca a Berlino, il 4 e il 5 maggio, sul ruolo delle Corti europee davanti alla sfida del cambiamento climatico. Per quella italiana, erano presenti la presidente Silvana Sciarra e il giudice Marco D’Alberti. Stando al resoconto diffuso dalla Corte stessa, la Sciarra ha collegato la questione del climate change a quella del «rispetto dei principi democratici». E già qui sorge qualche perplessità, se è vero che molti dei magistrati che erano all’evento «si sono espressi a favore di un ruolo attivo delle Corti costituzionali, quando si discute di diritti fondamentali della persona». Va bene che, come hanno ammesso gli esperti, bisogna far salva la «discrezionalità del legislatore», ma se di democrazia stiamo parlando, viene spontanea una domanda: chi ha eletto i giudici costituzionali? Donde deriva la loro legittimazione a oltrepassare la funzione di guardiani della Carta, intervenendo con decisioni in tutto e per tutto politiche?
L’esperienza dell’obbligo vaccinale contribuisce a gettare una luce sinistra sulla tesi della Sciarra, a proposito della «centralità dei dati scientifici nell’affrontare il tema dei cambiamenti climatici». I «dati affidabili», stando alla presidente nominata in quota pd, sarebbero «quelli che provengono da istituzioni indipendenti e imparziali». Ma chi valuta il grado di imparzialità di un’agenzia? Basta che chi si pronuncia rappresenti un’autorità pubblica? Così è stato, nel caso del decreto di Mario Draghi sulla puntura anti Covid ai sanitari. Eppure, i pareri dell’Iss e dell’Aifa, alle quali la Corte ha fatto pedissequo riferimento, erano parziali e imprecisi. Senza contare le inchieste giornalistiche che hanno dimostrato le omissioni dell’ente regolatore, quando era venuto a conoscenza dei flop dei vaccini nella prevenzione del contagio (fine primario indicato dalla legge), o dei loro potenziali effetti avversi. I verdetti della «scienza ufficiale», benché discutibili, sono stati presi per oro colato.
Per il green vale un discorso simile. Proprio ieri, sulla Verità, abbiamo elencato i soggetti, tra lobby e Ong, tutt’altro che imparziali, i quali influenzano le politiche ecologiste dell’Ue. Come si orienterebbe la Consulta, dinanzi a una normativa approvata in virtù di stime e previsioni che hanno elaborato associazioni americane d’ispirazione liberal? Imparziali pure quelle?
Di nuovo, diventa cruciale il richiamo alla democrazia. Chi ha conferito al collegio la facoltà di determinare cosa sia scienza affidabile e cosa no? Perché una toga dovrebbe conferire patenti di attendibilità? Chi la legittima e chi le trasmette le capacità per esaminare adeguatamente una materia che le è aliena? I «competenti» sono diventati direttamente onniscienti?
La Sciarra ha anche sostenuto che le Corti devono «valutare con sempre maggiore puntualità la ragionevolezza delle scelte legislative» e che i Parlamenti «devono misurarsi con le decisioni delle Corti costituzionali, oltre che con l’attendibilità dei dati scientifici». Se ci si aggiunge la riforma costituzionale green approvata lo scorso anno e citata dalla giurista, si vede che ci è stato stretto al collo l’ennesimo cappio. Formalmente, siamo autorizzati a votare forze politiche contrarie a una transizione ecologica traumatica;e possiamo mettere in discussione l’ortodossia accademica sul climate change; dopodiché, interverranno i giudici a correggere le nostre intemperanze di elettori insensibili ai diritti delle generazioni future. A mettere l’agenda verde - ricordiamo un’efficace espressione di Mario Monti - «al riparo dal processo democratico». Ovviamente, nel nome della democrazia.
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La proposta dell’ecologista Robert Habeck distorce la concorrenza e, per prevenire lagne, il ministro suggerisce un fondo Ue. Il governo è diviso, ma intanto ha erogato aiuti per 264 miliardi: rapportati al Pil, il doppio di noi.A un evento a Berlino con i colleghi europei, la presidente della Consulta Silvana Sciarra difende l’attivismo climatico della Corte e il diritto di stabilire cosa sia scienza. In nome della democrazia...Lo speciale contiene due articoli.Il ministero dell’Economia tedesco è intenzionato a introdurre un sussidio per le grandi imprese energivore, imponendo un prezzo industriale dell’energia elettrica, fisso e pari a 60 euro/MWh. Nelle intenzioni, il provvedimento è teso a restituire competitività alle imprese tedesche, soprattutto a quelle manifatturiere, vittime del disastroso boom dei prezzi dell’energia verificatosi lo scorso anno.Si tratta di una proposta che aleggiava da tempo e che era relativamente attesa, dopo che già lo scorso autunno il cancelliere Olaf Scholz aveva proposto un pacchetto di aiuti da quasi 200 miliardi di euro per la Germania. Criticatissimo all’epoca, soprattutto per l’atteggiamento da Marchese del Grillo adottato nei confronti dei partner europei («Io so’ io, e voi…»), alla fine il fondo per gli aiuti fu approvato ma non utilizzato completamente. In complesso, secondo l’Istituto Bruegel, tra il settembre 2021 e il gennaio 2023 la Germania, al fine di mitigare gli effetti della crisi energetica, ha allocato fondi pubblici per 264 miliardi di euro, pari a 7,4 punti di Pil. L’Italia ha stanziato nello stesso periodo poco più di un terzo circa di tale cifra, ovvero 92,7 miliardi di euro, pari al 5,2% del Pil. La Francia mostra cifre simili all’Italia in valore assoluto: 92,1 miliardi, pari in questo caso al 3,7% del Pil francese.La proposta di questi giorni arriva direttamente dal ministro dell’Economia e dell’azione per il clima, il Verde Robert Habeck. Si tratta di una misura asimmetrica, che avvantaggerà le grandi imprese a discapito delle famiglie e delle piccole imprese. Questa non è una novità, per il sistema ordoliberale tedesco, che si basa proprio su questo: limitare la domanda interna, cioè i consumi delle famiglie, e privilegiare la competitività delle imprese, soprattutto quelle più dedicate all’export. Il sistema dei prezzi dell’energia elettrica e dei relativi carichi fiscali e para-fiscali (come gli oneri di sistema) è già sbilanciato in modo tale da favorire le imprese a discapito delle famiglie. In questo caso, si tratterebbe di un vero e proprio prezzo fisso di 6 eurocent al kilowattora (60 euro/MWh) fino al 2030, data in cui, secondo Habeck, le fonti rinnovabili saranno sviluppate tanto da consentire un calo strutturale dei prezzi dell’energia. Secondo il ministro tedesco, si tratterebbe di un ponte necessario alla competitività di quella industria di base che è responsabile del 76% dei consumi di energia elettrica e che allo stesso tempo rappresenta il 20% del Pil tedesco e il 15% dell’occupazione. Nella visione del leader dei Verdi, si tratta anche di evitare la delocalizzazione di imprese tedesche che potrebbero trovare vantaggioso trasferire altrove le produzioni, in Paesi in cui l’energia costa meno.Il costo stimato della misura, a prezzi attuali, sarebbe di circa 25-30 miliardi di euro per i sei anni del programma. Il meccanismo sarebbe legato al prezzo spot, funzionando quindi come uno swap (prezzo fisso contro prezzo variabile). Il consumatore (grande azienda energivora) si approvvigionerà di energia elettrica da un qualunque fornitore a un prezzo indicizzato a mercato spot, cioè al mercato giornaliero. Se il prezzo spot di un giorno supera i 60 euro/MWh (per esempio 85 euro/MWh) sarà il meccanismo di sussidio a versare la differenza al fornitore (25 euro/MWh), mentre il cliente pagherà 60 euro/MWh al fornitore. Questo varrà per l’80% dei consumi.Nella bozza del documento circolata, Habeck (bontà sua) si è poi dichiarato consapevole del fatto che i partner europei possono vedere l’iniziativa tedesca come distorsiva della concorrenza nel mercato interno. Per questo, il governo tedesco, a detta di Habeck, vorrebbe «entrare in uno scambio costruttivo con la Commissione europea su tutte le questioni rilevanti per la concorrenza della proposta». La bozza si spinge sino alla creazione di un fondo simile al Sure, che potrebbe essere utilizzato da tutti i paesi dell’Unione per avviare meccanismi simili.Naturalmente, le imprese tedesche si sono dichiarate elettrizzate dall’idea. L’Amministratore delegato di Volkswagen, Oliver Blume, aveva già chiesto al governo di intervenire per mantenere i prezzi dell’energia sotto i 7 centesimi a kilowattora, limite sopra il quale l’industria europea non è competitiva.Ha pensato il ministro delle finanze, il liberale Christian Lindner, a smorzare gli entusiasmi. Già venerdì scorso un portavoce del ministero delle finanze aveva affermato laconicamente che «non esistono fondi per questo progetto». Poi il ministro stesso, in un articolo su Handelsblatt, ha bollato il sussidio come imprudente e contraddittorio. Anche dalla cancelleria di Olaf Scholz trapela un certo distacco dall’iniziativa dei Verdi, che suona come una sconfessione dell’operato del ministro dell’Economia.Le incomprensioni e le dispute all’interno del governo di coalizione sembrano proseguire, insomma. A meno che si tratti di una strategia, che consiste nel lanciare il sasso ed aspettare per vedere cosa succede. Non sarebbe la prima volta.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/germania-sussidio-bollette-grandi-imprese-2659980050.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="consulta-sovrana-pure-sul-green" data-post-id="2659980050" data-published-at="1683568836" data-use-pagination="False"> Consulta «sovrana» pure sul green Pensavate si accontentassero di licenziare una legge elettorale o di stabilire le condizioni di legittimità del suicidio assistito? Ingenui. I fini giuristi del nostro tempo hanno deciso che il ruolo delle Corti costituzionali non è di tutelare le Costituzioni esistenti, bensì di «dinamizzare» l’ordinamento. Insomma, i giudici non vogliono più solo fare i custodi delle leggi; li leggi vogliono proprio farle. E la religione ecologista, in questo senso, apre delle praterie. Ne è la prova il resoconto del convegno ospitato dalla Consulta tedesca a Berlino, il 4 e il 5 maggio, sul ruolo delle Corti europee davanti alla sfida del cambiamento climatico. Per quella italiana, erano presenti la presidente Silvana Sciarra e il giudice Marco D’Alberti. Stando al resoconto diffuso dalla Corte stessa, la Sciarra ha collegato la questione del climate change a quella del «rispetto dei principi democratici». E già qui sorge qualche perplessità, se è vero che molti dei magistrati che erano all’evento «si sono espressi a favore di un ruolo attivo delle Corti costituzionali, quando si discute di diritti fondamentali della persona». Va bene che, come hanno ammesso gli esperti, bisogna far salva la «discrezionalità del legislatore», ma se di democrazia stiamo parlando, viene spontanea una domanda: chi ha eletto i giudici costituzionali? Donde deriva la loro legittimazione a oltrepassare la funzione di guardiani della Carta, intervenendo con decisioni in tutto e per tutto politiche? L’esperienza dell’obbligo vaccinale contribuisce a gettare una luce sinistra sulla tesi della Sciarra, a proposito della «centralità dei dati scientifici nell’affrontare il tema dei cambiamenti climatici». I «dati affidabili», stando alla presidente nominata in quota pd, sarebbero «quelli che provengono da istituzioni indipendenti e imparziali». Ma chi valuta il grado di imparzialità di un’agenzia? Basta che chi si pronuncia rappresenti un’autorità pubblica? Così è stato, nel caso del decreto di Mario Draghi sulla puntura anti Covid ai sanitari. Eppure, i pareri dell’Iss e dell’Aifa, alle quali la Corte ha fatto pedissequo riferimento, erano parziali e imprecisi. Senza contare le inchieste giornalistiche che hanno dimostrato le omissioni dell’ente regolatore, quando era venuto a conoscenza dei flop dei vaccini nella prevenzione del contagio (fine primario indicato dalla legge), o dei loro potenziali effetti avversi. I verdetti della «scienza ufficiale», benché discutibili, sono stati presi per oro colato. Per il green vale un discorso simile. Proprio ieri, sulla Verità, abbiamo elencato i soggetti, tra lobby e Ong, tutt’altro che imparziali, i quali influenzano le politiche ecologiste dell’Ue. Come si orienterebbe la Consulta, dinanzi a una normativa approvata in virtù di stime e previsioni che hanno elaborato associazioni americane d’ispirazione liberal? Imparziali pure quelle? Di nuovo, diventa cruciale il richiamo alla democrazia. Chi ha conferito al collegio la facoltà di determinare cosa sia scienza affidabile e cosa no? Perché una toga dovrebbe conferire patenti di attendibilità? Chi la legittima e chi le trasmette le capacità per esaminare adeguatamente una materia che le è aliena? I «competenti» sono diventati direttamente onniscienti? La Sciarra ha anche sostenuto che le Corti devono «valutare con sempre maggiore puntualità la ragionevolezza delle scelte legislative» e che i Parlamenti «devono misurarsi con le decisioni delle Corti costituzionali, oltre che con l’attendibilità dei dati scientifici». Se ci si aggiunge la riforma costituzionale green approvata lo scorso anno e citata dalla giurista, si vede che ci è stato stretto al collo l’ennesimo cappio. Formalmente, siamo autorizzati a votare forze politiche contrarie a una transizione ecologica traumatica;e possiamo mettere in discussione l’ortodossia accademica sul climate change; dopodiché, interverranno i giudici a correggere le nostre intemperanze di elettori insensibili ai diritti delle generazioni future. A mettere l’agenda verde - ricordiamo un’efficace espressione di Mario Monti - «al riparo dal processo democratico». Ovviamente, nel nome della democrazia.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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