2023-05-03
Gentiloni ci bacchetta ma i tagli da premier sono stati un disastro
Il commissario Ue, che spinge sul Patto di stabilità, quando era al governo non ha saputo ridurre la spesa in modo selettivo.Si fa presto a fare il commissario Ue, tra un monito, un’alzata di sopraccigli e una paternale. Molto più complicato fare il premier in un paese come l’Italia e dover stare in trincea a far tornare i conti pubblici. Da un esame della documentazione sulla spending review mandata a Bruxelles dai governi di Matteo Renzi, Paolo Gentiloni e Mario Draghi, emerge che l’attuale commissario agli Affari economici, quand’era a Palazzo a Chigi, aveva decisamente battuto la fiacca, centrando risultati modesti e ammettendo di non aver fatto alcun controllo a posteriori sulle sforbiciate promesse. Insomma, la futura sentinella dei bilanci Ue, l’uomo che in questi giorni più preme per farci approvare il Mes e il nuovo Patto di stabilità, sui tagli alla spesa inutile non ha esattamente un curriculum frugale. L’Italia manda regolarmente a Bruxelles, attraverso il ministero del Tesoro, una relazione-questionario sui piani triennali della spending review. Il Centro studi Fiscal Focus ha fatto l’accesso agli atti e ha ottenuto questi documenti, nei quali ogni governo ha la possibilità di raccontare un po’ quello che vuole. Però i questionari rappresentano comunque uno strumento utile a capire le tendenze delle politiche in atto. Il questionario che copre il triennio del governo Renzi (2014-2016) registra un certo attivismo, come dimostra anche il fatto che furono nominati due commissari, prima Carlo Cottarelli e poi Yoram Gutgeld. Nel Def del 2014, il governo s’impegnò a varare tagli di spesa non lineari (ma ragionati) fino a 4,5 miliardi di euro per il resto dell’anno. Mentre per il 2015 si saliva a 17 miliardi e per il 2016 a ben 32 miliardi. Alla domanda se sia stata effettuata una diagnosi dettagliata, il governo dell’ex sindaco fiorentino rispose: «Sì, in una maggioranza o in tutti i casi è stata prodotta una diagnosi quantitativa (cifre precise su obiettivi e risultati)». E il monitoraggio? Il governo Renzi scrive che è stato fatto «solo per un numero selezionato di casi», misurando sempre i progressi in termini di processo e di impatto tangibile. Poi, al momento di indicare i settori dove ci sono stati impatti tangibili delle politiche di risparmio, il governo ha risposto con un lungo elenco in dodici punti, che iniziava con la riduzione della spesa primaria corrente al 41,6% nel 2018, con la riorganizzazione delle forze di polizia e con una razionalizzazione delle centrali di acquisto. Infine, dovendo ammettere che cosa non ha funzionato, l’esecutivo osservava che la task force dedicata alla spending review era troppo ridotta rispetto al gravoso compito. Renzi cade nell’autunno del 2016, dopo il disastro al referendum costituzionale, e al suo posto arriva Gentiloni, sempre del Pd, che governerà dal dicembre 2016 al giugno 2018. Il questionario di quest’ultimo anno è decisamente più povero di risultati da comunicare all’Europa. Il nuovo governo aveva promesso tagli strutturali alla spesa per un solo miliardo l’anno, specificando però a Bruxelles che «l’area di bilancio coinvolta nella riduzione valeva circa 14 miliardi (pari all’1,9% della spera primaria), che è una stima dei vari ministri».Al momento di presentare i risultati triennali, il governo Gentiloni scrive: «Nel complesso, l’obiettivo di risparmi per un miliardo è stato raggiunto nel 2018 in termini strutturali, ma alcuni interventi hanno prodotto più risparmi di altri e, in alcuni casi, difficoltà di implementazione hanno ostacolato la possibilità di raggiungere gli obiettivi assegnati». Mentre dovendo spiegare dove l’Italia si è distinta, se Renzi aveva indicato 12 aree, Gentiloni si ferma a quattro aree. La prima delle quali è un meccanismo di voucher per i pasti dei poliziotti impiegati durante emergenze ambientali. E la seconda misura riguarda i contributi previdenziali per le imprese di pesca. Ma il peggio arriva alla domanda sui controlli a posteriori dei tagli alla spesa. Il governo del futuro commissario Ue agli Affari economici ammette candidamente: «Non sono disponibili valutazioni ex post». Insomma, c’è da rimpiangere quelli del governo Renzi, che almeno li avevano fatti in modo selettivo.Istruttivo anche il capitolo dedicato a «che cosa non ha funzionato», insomma, all’esame di coscienza. Qui il governo ammette che alcuni risparmi sono stati ottenuti da singoli ministeri «senza alcun intervento o riforma». Insomma, un bel colpo di forbice e via. In buona parte, questi tagli sono andati a colpire progetti che scadevano nel corso dell’anno e che sono stati lasciati morire o per i quali si è rinunciato a fondi maggiori già previsti. Insomma, un Gentiloni già in forma europea.Adesso, dagli apprendisti stregoni ai professionisti veri, quelli che se devono fare una figuraccia non lasciano le impronte. Che cosa ha fatto Mario Draghi al termine del suo governo? Non ci vedeva chiaro su questa storia della spending review con la quale in tanti, anche a Bruxelles, si sono riempiti la bocca per anni, e allora dal Tesoro italiano non è partito il solito questionario, ma una specie di interpello di sette pagine diretto alla direzione di Supporto alle Riforme strutturali. Così, nel 2022, dal governo italiano arriva la richiesta di studiare meglio «i sistemi di valutazione nella programmazione e nella gestione della spesa pubblica». Detto in poche parole, prima di impugnare le forbici, un ministero ha bisogno esattamente di sapere come si calcola l’impatto economico di un finanziamento o di un taglio, oltre al fatto che i livelli minimi essenziali di servizio ai cittadini vanno fissati non solo per la sanità. Per questo studio, assai utile anche per maneggiare il Pnrr, ai tempi di Draghi l’Italia ha chiesto 18 mesi di tempo e un finanziamento da 353.000 euro. Anche a Gentiloni sarebbe convenuto calciare la palla in tribuna.
(Ansa)
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