2025-09-07
Gentiloni assolve Ursula sui dazi. Se si mette male è colpa degli Stati
L’ex commissario accusa Italia e Germania: «Accordo figlio delle loro posizioni».Il tema dazi continua a tenere alta la tensione sull’asse Bruxelles-Washington. La Commissione Ue ha colpito Google con una multa antitrust da 2,95 miliardi di euro per aver abusato della sua posizione dominante nel settore delle tecnologie pubblicitarie. La reazione del presidente Usa, Donald Trump è stata la minaccia di nuovi dazi all’Europa come reazione all’«ingiusta sentenza». Una contromossa consentita, secondo il presidente americano, dalla Sezione 301 del Trade act del 1974, che dà la facoltà agli Stati Uniti di imporre sanzioni ai Paesi stranieri le cui azioni sono ritenute «ingiustificabili», «irragionevoli» o gravose sul commercio statunitense.Trump ha anche minacciato i colossi americani del Web, annunciando dazi «abbastanza consistenti» sulle importazioni di semiconduttori per computer da parte di aziende che non trasferiscono la produzione negli Stati Uniti, ma ha anche sottolineato che saranno risparmiati quei gruppi come Apple che espandono gli investimenti a livello nazionale. La sanzione decisa dalla Commissione contro Google nasce dalla denuncia del Consiglio europeo degli editori. Bruxelles ha avviato un’indagine dalla quale è emerso che il gruppo ha «abusato del suo potere», favorendo i propri servizi tecnologici di pubblicità online a scapito dei concorrenti, degli inserzionisti online e degli editori.L’indagine si è concentrata sullo scambio AdX e sulla piattaforma pubblicitaria Dfp di Google, strumenti che mettono in contatto coloro che vogliono commercializzare i loro prodotti con gli editori online che vendono spazi commerciali sui loro siti Web.È la quarta volta che Bruxelles colpisce il colosso con una multa multimiliardaria in un caso antitrust, nella sua decennale lotta con le autorità di regolamentazione della concorrenza dell’Ue.Ora Google ha 60 giorni di tempo per proporre delle misure correttive. Secondo il commissario europeo per la concorrenza, Teresa Ribera, «l’unica via d’uscita per porre fire al conflitto d’interessi è la vendita di una parte della sua attività Adtech». Ma è ciò che la big tech non ha intenzione di fare e al momento ha annunciato di voler ricorrere in appello contro la decisione di Bruxelles. Il Consiglio europeo degli editori aveva chiesto misure ancora più severe contro Google. «Una multa non risolverà l’abuso da parte del motore di ricerca della sua tecnologia pubblicitaria», ha affermato il suo direttore esecutivo, Angela Mills Wade, chiedendo un ordine di rottura. Alcuni alti funzionari dell’Ue hanno già dichiarato di voler procedere a una vendita forzata perché i casi passati che si sono conclusi con multe e con l’obbligo per Google di interrompere le pratiche anticoncorrenziali non hanno funzionato e alla fine l’azienda ha continuato a comportarsi nello stesso modo come se nulla fosse. D’altronde una multa di 2,95 miliardi a chi ha guadagnato 24 miliardi di euro di entrate nel secondo trimestre sono spiccioli e l’azienda può tranquillamente fare spallucce. Tanto più che questa volta, in suo soccorso, è sceso in campo Trump, pronto ad agitare di nuovo l’arma dei dazi. L’obiettivo del presidente americano è di esercitare una pressione costante sulla Commissione in modo che questa accetti di rivedere la normativa sui servizi digitali che penalizza le aziende Usa. In questo clima di tensione, si è inaspettatamente inserito a gamba tesa l’ex premier ed ex commissario europeo, Paolo Gentiloni, che ha gettato una ciambella di salvataggio alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen , sollevandola da qualsiasi responsabilità del brutto accordo sui dazi siglato in Scozia. Gentiloni, pur di restare fedele alla sua ortodossia europeista, assolve la presidente e non si fa scrupolo di puntare il dito accusatore contro il proprio Paese. Nel suo intervento al Forum Ambrosetti a Cernobbio, ha colto al volo l’occasione fornita dal tema dazi per mettere sotto accusa il governo. «Sulla Commissione hanno pesato le posizioni in particolare di Italia e Germania. Quindi non si può gettare la croce sono addosso a von der Leyen». La questione delle imposte doganali diventa un occasione per fare propaganda politica anti Meloni e forse anche pro domo sua. Dato che il suo nome è rimbalzato più volte come alternativa dentro il Pd all’attuale segretario, Elly Schlein.
Emmanuel Macron (Getty Images)
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