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2024-05-14
Genova, il sistema Pd secondo i Dem
Mauro Vianello (Ansa)
«Un giorno mi disse “io sono più comunista di te, sono più comunista di tutti”» ricorda uno dei presenti, «compagno» di lungo corso. Ci troviamo nella sede del Comitato liberi cittadini di Certosa, il quartiere su cui è crollato il ponte Morandi. Lunedì mattina alcuni abitanti sono riuniti per parlare di politica in modo appassionato. Sono tutti di sinistra («Qui dentro il più a destra è uno del Pd» scherza il presidente Enrico D’Agostino, negli anni ‘80 segretario della locale sezione socialista). E sono tutti delusi. Tra di loro c’è anche il vecchio candidato sindaco della sinistra Gianni Crivello, ex Pci-Pds-Ds mai iscritto al Pd, mandato allo sbaraglio contro il primo cittadino Marco Bucci. Dentro alla sala del comitato i presenti, sei o sette, compreso il settantenne D’Agostino e il cinquantenne presidente della Casa della legalità Christian Abbondanza, si passano un file intitolato «Casa Vianello-la seppia di Ente bacini», che ricostruisce, la presunta longa manus su porto di Mauro Vianello, il «più comunista di tutti».
Quest’ultimo è accusato dalla Procura di Genova di corruzione ed è stato raggiunto dalla misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare l’attività imprenditoriale e professionale.
Il settantunenne originario della Valbisagno è titolare della Santa Barbara Srl, azienda che opera nel settore della prevenzione incendi nell’ambito dello scalo marittimo ligure nonché di sorveglianza antincendio, di aree civili e industriali, ed è presidente (senza compenso) dell’Ente bacini di Genova, che si occupa dei servizi di carenaggio. Per l’accusa avrebbe offerto fatto diversi regali al presidente dell’Autorità portuale, Paolo Emilio Signorini, finito in carcere con l’accusa di corruzione. Secondo gli inquirenti Vianello lavorava su Signorini per centrare due obiettivi personali: «Ottenere la sua nomina nel Cda di Stazioni marittime Spa; entrare in contatto con i vertici di Autostrade per l’Italia nella prospettiva di ottenere una commessa per la realizzazione del tunnel sub portuale».
Nella slide si leggono notizie riguardanti Vianello e il suo inner circle e chi l’ha compilata deve essere ben attento a quanto accade dentro al Partito democratico. I personaggi citati sono affiancati dai titoli delle news che li riguardano comparse sui siti informazione. Al centro dello schema c’è la foto del patron della Santa Barbara. Ma la prima immagine sotto il logo «Casa Vianello», che rimanda alla sit-com con Sandra e Raimondo, è quella che ritrae Signorini. È lui che benedice lo strapotere in porto di Vianello. A quest’ultimo è dedicata la seguente didascalia: «Nella primavera-estate 2021 dichiara pubblicamente di “aver privatizzato” il Pd». L’accusa è grave e non circostanziata, ma certamente proviene da sinistra. Per l’anonimo estensore Vianello, avrebbe sostenuto «con diverse tessere fantasma di dipendenti e familiari il suo dipendente (nella Santa Barbara, ndr) Simone D’Angelo che viene eletto di misura segretario Pd a Genova».
Da D’Angelo il diagramma porta verso il simbolo di Gd Genova (Giovani democratici), corrente in cui militerebbero diversi dipendenti della Santa Barbara.
Una freccia collega Vianello ad Alessandro Terrile, avvocato della Santa Barbara e amministratore delegato di Ente bacini (73.000 euro di compenso). Terrile, ci informa il nostro Virgilio senza volto, è stato «segretario provinciale (tra il 2013 e il 2017) e capogruppo del Pd a Genova», e dal 2023 è responsabile nazionale Infrastrutture e porti del Pd. La nomina come ad di Terrile avrebbe favorito la carriera di D’Angelo, il quale, ricorda l’autore della ricostruzione, subentra al collega di partito «come capolista per le elezioni comunali del giugno 2022 e viene eletto capogruppo Pd».
Di Terrile Spinelli non doveva avere certo stima, visto che in una intercettazione afferma: «A noi ce l’ha menato sempre con minchiate pazzesche [...]. È tipo un Cinquestelle».
A esserne entusiasta è, invece, Vianello: « L’operazione Terrile è una operazione geniale nel senso che abbiamo messo una persona che è una delle persone più valide dal punto di vista politico ed è un giovane che lavora in uno studio professionale avviato… lo abbiamo messo a lavorare dentro al porto e per 3 anni è blindato […] se ci vuole stare ci sta 20 anni e però è uno che fa politica dalla mattina alla sera ed è bravo».
Nella slide c’è una nota maligna su Terrile: «Non ha alcuna competenza sui porti. Prenderà solo successivamente alla nomina un mini-master presso l’Università di Bologna».
Altro personaggio clou è Davide Gaggero, amministratore della Santa Barbara Srl, consigliere del Cda dell’Ente bacini (compenso 5.000 euro), ex responsabile Porto del Pd di Genova (tra il 2017 e il 2021) e indicato nella slide come «figura chiave» del Pd del Ponente, ma anche come «compagno dell’ex presidente Pd Genova». Il riferimento è a Viola Boero, anche lei omaggiata di foto, effettivamente ex presidente del Pd Genova (2017-2020), candidata alle elezioni regionali 2020, e altra presunta dipendente della società di Vianello.
In un’intercettazione captata dagli investigatori Signorini e Vianello valutano, qualora l’operazione su Stazioni Marittime si fosse chiusa con successo, di passare il testimone di presidente del Cda di Ente bacini proprio a Gaggero. Il quale, in una captazione, prospetta la possibilità di usare il conto corrente dell’impresa per pagare un «regalo».
Nel file viene ricostruita in cinque mosse la storia della scalata di Vianello&C.: «Maggio-ottobre 2020, Vianello e Gaggero si adoperano presso gli esponenti di governo del Pd per la conferma di Signorini (espressione Toti) come presidente dell’Autorità portuale». I due sponsor del manager arrestato si sarebbero rivolti agli ex ministri Paola De Micheli (Infrastrutture e trasporti) e Andrea Orlando (Giustizia), ligure e leader della corrente Dems all’interno del Pd, segnalata come «area di appartenenza di Terrile, Gaggero e D’Angelo». La seconda casella è la seguente: «30 dicembre 2020 Paola De Micheli (ministro Pd) nomina conferma Signorini presidente Adsp». Il gioco dell’oca prosegue: «Signorini nomina Vianello presidente Ente bacini (senza alcuna particolare competenza e professionalità specifica)». Casella quattro: «Signorini su indicazione di Vianello nomina Terrile (capogruppo Pd uscente) ad di Ente bacini, Gaggero cda». Cinque: «Novembre 2023 Signorini, appena nominato ad di Iren (multiutility dei servizi, ndr) contrattualizza Vianello per 200.000 euro annui per rapporti di consulenza con il Pd di Torino e di Reggio Emilia (azionisti con Genova di Iren)».
Di fronte al tabellone del risiko del potere dem si comprende il malumore di chi vive nelle periferie, crede negli ideali della sinistra e considera la politica un servizio e non un mezzo di arricchimento personale. Tutti valori cancellati dall’inchiostro nero della seppia.
Covid e mascherine, i due nuovi filoni sul governatore? Uno vecchio, uno falso
Per spiegare i fuochi di artificio che in questi giorni riempiono le prime pagine dei giornali sulla vicenda che ha travolto Giovanni Toti servirebbe rispolverare le parole di un giornalista pentito, Samuel Clemens, meglio conosciuto come Mark Twain. La sua carriera è iniziata inventando una notizia di una presunta strage e tra gli aforismi che gli vengono attribuiti c’è questo: «Il giornalista è colui che distingue il vero dal falso... e pubblica il falso».
E proprio di falso parliamo. Per esempio in queste ore alcuni quotidiani hanno pubblicato la notizia di presunti nuovi filoni per falso, che però non trovano riscontro nella monumentale ordinanza di misure cautelari. «Toti, ora c’è anche il falso» ha titolato domenica un quotidiano. Ma poi all’interno dell’articolo la notizia era offerta ai lettori in modo del tutto fumoso, tanto che durante la giornata si erano rincorse diverse versioni su quell’iscrizione.
E anche per il ribattezzato filone Covid la solfa è simile. L’agenzia Ansa, per esempio, ieri ha battuto questa notizia: «Per quanto riguarda il reato ipotizzato di falso, il governatore Giovanni Toti e il suo ormai ex capo di gabinetto Matteo Cozzani, entrambi ai domiciliari, sono indagati per i dati Covid. Secondo una delle ipotesi della Procura i numeri sarebbero stati gonfiati per ottenere più vaccini dalla struttura commissariale».
E per cercare di dare un peso a quanto scritto vengono riportate alcune intercettazioni. Matteo Cozzani, l’ex capo di gabinetto di Toti, parla della difficoltà di ottenere i vaccini: «Il problema qual è stato... che io avevo già truccato, lui li ha presi, cosa è accaduto li ha riaumentati». Quel «lui» sarebbe il presidente Toti. Ma la telefonata non è finita: «Quando me li ha rimandati gli ho scritto “ma cazzo pres, ma sono fuori” e lui ha detto “ma li ho un po’ aumentati”. E io, “ma l’avevo già fatto io”, e lui “cazzo dimmelo che l’hai già fatto te, aspetta un secondo.”.. vabbe’». Autorevoli fonti investigative, però, con La Verità cercano di riportare un po’ di ordine: «Sono cose divergenti rispetto al tema dell’ordinanza... i fascicoli sono fatti di tante carte, tante vicenda, alcune hanno un seguito, altre no. Su queste ultime è inutile per forza voler dire che c’è un nuovo filone tutto da esplorare quando non c’è». Quell’iscrizione risale ormai a tre anni fa e il fascicolo è rimasto a bagnomaria.
Dalla Procura precisano che «c’è un fascicolo ancora aperto e alla fine faremo delle valutazioni».
Il copione si ripete con un’altra notizia. È ancora una volta l’Ansa a batterla: «Aperto fascicolo su presunta frode mascherine». Il contenuto della news è questo: «Indagando sul voto di scambio tra la comunità riesina e quella calabrese e la lista del presidente Giovanni Toti, gli investigatori hanno anche scoperto una maxi frode da 1 milione e 200 mila euro sulle forniture sanitarie durante il Covid». Nei documenti dell’inchiesta, però, quella che viene spacciata per una notizia («aperto fascicolo») in realtà riguarda un’iscrizione che risale al 2019. Ecco, negli atti come viene descritto quell’episodio: «Nell’ambito di altro procedimento penale (trattasi del numero 4747/19 di questa Procura della Repubblica), sono state svolte indagini nei confronti di un’associazione per delinquere, promossa e capeggiata da Yuri Fergemberger (in passato finito nei guai per un giro di slot machine e scommesse sportive, ndr) ed Edoardo Boldrini e composta da vari associati e sodali, che, sfruttando l’emergenza sanitaria conseguente alla diffusione del Covid 19, ha realizzato plurime condotte di illecita commercializzazione di prodotti sanitari, in sfregio anche ad elementari norme di tutela della salute e nell’esclusiva prospettiva di massimizzare i propri illeciti guadagni».
Ma cosa c’entra con l’indagine sulle manovre legate al Porto di Genova? Anche questo è spiegato negli atti: «In tale contesto investigativo sono state acquisite alcune conversazioni telefoniche tra gli esponenti del gruppo criminale e il riesino, più volte citato, Lorenzo D’Antona, riguardanti l’organizzazione di un incontro finalizzato ad appoggiare un candidato della lista Cambiamo con Toti presidente». In occasione delle elezioni regionali in Liguria Fergemberger era stato contattato da Lorenzo D’Antona, «il quale», viene ricostruito dai magistrati, «rappresentava che quella sera vi sarebbe stata una riunione a Rapallo con Cianci che è “un candidato di Toti”». Fergemberger spiegò di conoscerlo, dicendo che era una brava persona, seria. E chi indaga ora precisa: «Il tema è quello dell’ordinanza. Sono disponibili 12.000 pagine, se tutto diventa qualcosa da scrivere capite che si perde il filo». E dalla Procura tagliano corto: «Quella vicenda non c’entra nulla. Erano state fatte delle iscrizioni tempo fa, quando c’era stata la distribuzione (delle mascherine, ndr), ma non c’entra nulla Toti».
In questi giorni, poi, si è parlato di filoni che riguardano le discariche ma anche in questo caso i magistrati scrivono: «Le operazioni di intercettazioni telefoniche a carico di Giovanni Toti che, sebbene non consentivano di trovare ulteriori riscontri all’ipotesi corruttiva inizialmente ipotizzata (a carico Giovanni Toti e di Pietro Colucci), svelavano ulteriori rapporti corruttivi tra il presidente della Regione Liguria e altri imprenditori (Spinelli e Moncada)». E si ritorna allo schema iniziale, ovvero il focus dell’ordinanza, quello dal quale qualcuno, creando una certa confusione, sta cercando di orientare altrove.
Spinelli al gip: «Adesso svelo tutto»
Giornata di nuovi interrogatori quella di ieri. Matteo Cozzani, ex sindaco di Porto Venere e capo di gabinetto di Giovanni Toti, arrestato con l’accusa di corruzione e turbata libertà degli incanti, ha rilasciato alcune dichiarazioni spontanee al gip Mario De Bellis. «È sereno e tranquillo di poter chiarire tutti gli addebiti. Al momento non è ancora in grado di rispondere nel merito», ha detto ai cronisti l’avvocato Massimo Ceresa Gastaldo. «Ha fatto presente che le esigenze cautelari, dal nostro punto di vista, non sussistono perché non ricopre da anni la carica di sindaco di Porto Venere e anche perché, in ragione del clamore mediatico della vicenda, non ricoprirà più il ruolo di capo di gabinetto». Ha risposto invece per un’ora e mezza alle domande del giudice Roberto Spinelli, figlio di Aldo Spinelli, l’imprenditore portuale finito ai domiciliari perché accusato di corruzione. Il suo avvocato ha definito il faccia a faccia «positivo». Più loquace è stato però il vecchio patriarca che, a conclusione dell’interrogatorio, ha commentato coi giornalisti: «Ho detto tutto, tutto...». Aggiungendo subito dopo: «Fate i bravi, mi raccomando». A chi gli chiedeva se tornasse libero, Aldo Spinelli ha risposto «penso di meritarmelo» ma ha anche ribadito di non sapere nulla di un’eventuale revoca della misura cautelare «perché è l’avvocato che fa ‘ste cose qua». L’avvocato Vernazza, che assiste Spinelli, ha confermato che il suo cliente «ha risposto a tutte le domande» del gip «e si è sfogato». E proprio Spinelli è protagonista di una intercettazione con l’ex presidente del porto, Paolo Emilio Signorini. I due parlano di un Rolex da 3.200 euro che quest’ultimo dovrebbe comprare per il compleanno della figlia, ma non ha i soldi. «Non c’è problema Paolo, è un regalo che faccio a tua figlia... che discorso è... è mica un problema quello eh!..», assicura Spinelli. E Signorini scherza: «Ti ricordi Ruby... col Rolex..». Ancora Spinelli: «Ma noo ma va bè ma belin... grazie un Rolex da 50.000 euro no, ma un regalo da 3.200 euro lo può fare chiunque».
Ha reso spontanee dichiarazioni davanti al gip Falcioni e «ha affermato la propria innocenza rispetto ai fatti» contestati, Francesco Moncada, ex consigliere del cda di Esselunga, destinatario di una misura interdittiva. Come si legge in una nota dei suoi legali, rappresentati da Paola Severino, Moncada, «ha in particolare, sottolineato che in occasione dell’incontro svoltosi il 17 marzo 2022 presso la sede della Regione ha sempre inteso agire nel pieno rispetto della legalità e in assoluta trasparenza».
Ha lasciato, invece, il ruolo di ad e consigliere di amministrazione della Innovatec spa Pietro Colucci. Un decisione, spiega il manager in una nota, che non è in alcun modo collegata all’andamento dell’inchiesta genovese, «per la quale non ho ricevuto a oggi alcun avviso né addebito», ma «all’ampio rilievo che è stato riservato alla mia posizione nella stampa nazionale». «Il sostegno al movimento Cambiamo, avvenuto negli anni 2016/19, cioè a quasi 5 anni da oggi», prosegue la nota, «è stato eseguito quando non avevo alcun incarico nel gruppo, e quindi ho l’obbligo morale di tenere Innovatec indenne da ogni coinvolgimento».
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In un disegno che circola nelle chat dei militanti progressisti il quadro sconfortante dei rapporti di potere e influenza nello scalo ligure. Costruiti con assunzioni e favori anche sotto i governi di centrodestra.I presunti scoop sulle indagini per falso e frode non esistono Un caso langue dal 2021, l’altro non sfiora il presidente.L’imprenditore punta alla libertà, il suo difensore: «Se la merita, è stato sincero» Interrogatorio pure per Cozzani e Moncada. E Colucci si dimette da Innovatec.Lo speciale contiene tre articoli«Un giorno mi disse “io sono più comunista di te, sono più comunista di tutti”» ricorda uno dei presenti, «compagno» di lungo corso. Ci troviamo nella sede del Comitato liberi cittadini di Certosa, il quartiere su cui è crollato il ponte Morandi. Lunedì mattina alcuni abitanti sono riuniti per parlare di politica in modo appassionato. Sono tutti di sinistra («Qui dentro il più a destra è uno del Pd» scherza il presidente Enrico D’Agostino, negli anni ‘80 segretario della locale sezione socialista). E sono tutti delusi. Tra di loro c’è anche il vecchio candidato sindaco della sinistra Gianni Crivello, ex Pci-Pds-Ds mai iscritto al Pd, mandato allo sbaraglio contro il primo cittadino Marco Bucci. Dentro alla sala del comitato i presenti, sei o sette, compreso il settantenne D’Agostino e il cinquantenne presidente della Casa della legalità Christian Abbondanza, si passano un file intitolato «Casa Vianello-la seppia di Ente bacini», che ricostruisce, la presunta longa manus su porto di Mauro Vianello, il «più comunista di tutti».Quest’ultimo è accusato dalla Procura di Genova di corruzione ed è stato raggiunto dalla misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare l’attività imprenditoriale e professionale.Il settantunenne originario della Valbisagno è titolare della Santa Barbara Srl, azienda che opera nel settore della prevenzione incendi nell’ambito dello scalo marittimo ligure nonché di sorveglianza antincendio, di aree civili e industriali, ed è presidente (senza compenso) dell’Ente bacini di Genova, che si occupa dei servizi di carenaggio. Per l’accusa avrebbe offerto fatto diversi regali al presidente dell’Autorità portuale, Paolo Emilio Signorini, finito in carcere con l’accusa di corruzione. Secondo gli inquirenti Vianello lavorava su Signorini per centrare due obiettivi personali: «Ottenere la sua nomina nel Cda di Stazioni marittime Spa; entrare in contatto con i vertici di Autostrade per l’Italia nella prospettiva di ottenere una commessa per la realizzazione del tunnel sub portuale».Nella slide si leggono notizie riguardanti Vianello e il suo inner circle e chi l’ha compilata deve essere ben attento a quanto accade dentro al Partito democratico. I personaggi citati sono affiancati dai titoli delle news che li riguardano comparse sui siti informazione. Al centro dello schema c’è la foto del patron della Santa Barbara. Ma la prima immagine sotto il logo «Casa Vianello», che rimanda alla sit-com con Sandra e Raimondo, è quella che ritrae Signorini. È lui che benedice lo strapotere in porto di Vianello. A quest’ultimo è dedicata la seguente didascalia: «Nella primavera-estate 2021 dichiara pubblicamente di “aver privatizzato” il Pd». L’accusa è grave e non circostanziata, ma certamente proviene da sinistra. Per l’anonimo estensore Vianello, avrebbe sostenuto «con diverse tessere fantasma di dipendenti e familiari il suo dipendente (nella Santa Barbara, ndr) Simone D’Angelo che viene eletto di misura segretario Pd a Genova».Da D’Angelo il diagramma porta verso il simbolo di Gd Genova (Giovani democratici), corrente in cui militerebbero diversi dipendenti della Santa Barbara.Una freccia collega Vianello ad Alessandro Terrile, avvocato della Santa Barbara e amministratore delegato di Ente bacini (73.000 euro di compenso). Terrile, ci informa il nostro Virgilio senza volto, è stato «segretario provinciale (tra il 2013 e il 2017) e capogruppo del Pd a Genova», e dal 2023 è responsabile nazionale Infrastrutture e porti del Pd. La nomina come ad di Terrile avrebbe favorito la carriera di D’Angelo, il quale, ricorda l’autore della ricostruzione, subentra al collega di partito «come capolista per le elezioni comunali del giugno 2022 e viene eletto capogruppo Pd».Di Terrile Spinelli non doveva avere certo stima, visto che in una intercettazione afferma: «A noi ce l’ha menato sempre con minchiate pazzesche [...]. È tipo un Cinquestelle».A esserne entusiasta è, invece, Vianello: « L’operazione Terrile è una operazione geniale nel senso che abbiamo messo una persona che è una delle persone più valide dal punto di vista politico ed è un giovane che lavora in uno studio professionale avviato… lo abbiamo messo a lavorare dentro al porto e per 3 anni è blindato […] se ci vuole stare ci sta 20 anni e però è uno che fa politica dalla mattina alla sera ed è bravo».Nella slide c’è una nota maligna su Terrile: «Non ha alcuna competenza sui porti. Prenderà solo successivamente alla nomina un mini-master presso l’Università di Bologna».Altro personaggio clou è Davide Gaggero, amministratore della Santa Barbara Srl, consigliere del Cda dell’Ente bacini (compenso 5.000 euro), ex responsabile Porto del Pd di Genova (tra il 2017 e il 2021) e indicato nella slide come «figura chiave» del Pd del Ponente, ma anche come «compagno dell’ex presidente Pd Genova». Il riferimento è a Viola Boero, anche lei omaggiata di foto, effettivamente ex presidente del Pd Genova (2017-2020), candidata alle elezioni regionali 2020, e altra presunta dipendente della società di Vianello.In un’intercettazione captata dagli investigatori Signorini e Vianello valutano, qualora l’operazione su Stazioni Marittime si fosse chiusa con successo, di passare il testimone di presidente del Cda di Ente bacini proprio a Gaggero. Il quale, in una captazione, prospetta la possibilità di usare il conto corrente dell’impresa per pagare un «regalo».Nel file viene ricostruita in cinque mosse la storia della scalata di Vianello&C.: «Maggio-ottobre 2020, Vianello e Gaggero si adoperano presso gli esponenti di governo del Pd per la conferma di Signorini (espressione Toti) come presidente dell’Autorità portuale». I due sponsor del manager arrestato si sarebbero rivolti agli ex ministri Paola De Micheli (Infrastrutture e trasporti) e Andrea Orlando (Giustizia), ligure e leader della corrente Dems all’interno del Pd, segnalata come «area di appartenenza di Terrile, Gaggero e D’Angelo». La seconda casella è la seguente: «30 dicembre 2020 Paola De Micheli (ministro Pd) nomina conferma Signorini presidente Adsp». Il gioco dell’oca prosegue: «Signorini nomina Vianello presidente Ente bacini (senza alcuna particolare competenza e professionalità specifica)». Casella quattro: «Signorini su indicazione di Vianello nomina Terrile (capogruppo Pd uscente) ad di Ente bacini, Gaggero cda». Cinque: «Novembre 2023 Signorini, appena nominato ad di Iren (multiutility dei servizi, ndr) contrattualizza Vianello per 200.000 euro annui per rapporti di consulenza con il Pd di Torino e di Reggio Emilia (azionisti con Genova di Iren)». Di fronte al tabellone del risiko del potere dem si comprende il malumore di chi vive nelle periferie, crede negli ideali della sinistra e considera la politica un servizio e non un mezzo di arricchimento personale. 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La sua carriera è iniziata inventando una notizia di una presunta strage e tra gli aforismi che gli vengono attribuiti c’è questo: «Il giornalista è colui che distingue il vero dal falso... e pubblica il falso». E proprio di falso parliamo. Per esempio in queste ore alcuni quotidiani hanno pubblicato la notizia di presunti nuovi filoni per falso, che però non trovano riscontro nella monumentale ordinanza di misure cautelari. «Toti, ora c’è anche il falso» ha titolato domenica un quotidiano. Ma poi all’interno dell’articolo la notizia era offerta ai lettori in modo del tutto fumoso, tanto che durante la giornata si erano rincorse diverse versioni su quell’iscrizione. E anche per il ribattezzato filone Covid la solfa è simile. L’agenzia Ansa, per esempio, ieri ha battuto questa notizia: «Per quanto riguarda il reato ipotizzato di falso, il governatore Giovanni Toti e il suo ormai ex capo di gabinetto Matteo Cozzani, entrambi ai domiciliari, sono indagati per i dati Covid. Secondo una delle ipotesi della Procura i numeri sarebbero stati gonfiati per ottenere più vaccini dalla struttura commissariale». E per cercare di dare un peso a quanto scritto vengono riportate alcune intercettazioni. Matteo Cozzani, l’ex capo di gabinetto di Toti, parla della difficoltà di ottenere i vaccini: «Il problema qual è stato... che io avevo già truccato, lui li ha presi, cosa è accaduto li ha riaumentati». Quel «lui» sarebbe il presidente Toti. Ma la telefonata non è finita: «Quando me li ha rimandati gli ho scritto “ma cazzo pres, ma sono fuori” e lui ha detto “ma li ho un po’ aumentati”. E io, “ma l’avevo già fatto io”, e lui “cazzo dimmelo che l’hai già fatto te, aspetta un secondo.”.. vabbe’». Autorevoli fonti investigative, però, con La Verità cercano di riportare un po’ di ordine: «Sono cose divergenti rispetto al tema dell’ordinanza... i fascicoli sono fatti di tante carte, tante vicenda, alcune hanno un seguito, altre no. Su queste ultime è inutile per forza voler dire che c’è un nuovo filone tutto da esplorare quando non c’è». Quell’iscrizione risale ormai a tre anni fa e il fascicolo è rimasto a bagnomaria. Dalla Procura precisano che «c’è un fascicolo ancora aperto e alla fine faremo delle valutazioni». Il copione si ripete con un’altra notizia. È ancora una volta l’Ansa a batterla: «Aperto fascicolo su presunta frode mascherine». Il contenuto della news è questo: «Indagando sul voto di scambio tra la comunità riesina e quella calabrese e la lista del presidente Giovanni Toti, gli investigatori hanno anche scoperto una maxi frode da 1 milione e 200 mila euro sulle forniture sanitarie durante il Covid». Nei documenti dell’inchiesta, però, quella che viene spacciata per una notizia («aperto fascicolo») in realtà riguarda un’iscrizione che risale al 2019. Ecco, negli atti come viene descritto quell’episodio: «Nell’ambito di altro procedimento penale (trattasi del numero 4747/19 di questa Procura della Repubblica), sono state svolte indagini nei confronti di un’associazione per delinquere, promossa e capeggiata da Yuri Fergemberger (in passato finito nei guai per un giro di slot machine e scommesse sportive, ndr) ed Edoardo Boldrini e composta da vari associati e sodali, che, sfruttando l’emergenza sanitaria conseguente alla diffusione del Covid 19, ha realizzato plurime condotte di illecita commercializzazione di prodotti sanitari, in sfregio anche ad elementari norme di tutela della salute e nell’esclusiva prospettiva di massimizzare i propri illeciti guadagni». Ma cosa c’entra con l’indagine sulle manovre legate al Porto di Genova? Anche questo è spiegato negli atti: «In tale contesto investigativo sono state acquisite alcune conversazioni telefoniche tra gli esponenti del gruppo criminale e il riesino, più volte citato, Lorenzo D’Antona, riguardanti l’organizzazione di un incontro finalizzato ad appoggiare un candidato della lista Cambiamo con Toti presidente». In occasione delle elezioni regionali in Liguria Fergemberger era stato contattato da Lorenzo D’Antona, «il quale», viene ricostruito dai magistrati, «rappresentava che quella sera vi sarebbe stata una riunione a Rapallo con Cianci che è “un candidato di Toti”». Fergemberger spiegò di conoscerlo, dicendo che era una brava persona, seria. E chi indaga ora precisa: «Il tema è quello dell’ordinanza. Sono disponibili 12.000 pagine, se tutto diventa qualcosa da scrivere capite che si perde il filo». E dalla Procura tagliano corto: «Quella vicenda non c’entra nulla. Erano state fatte delle iscrizioni tempo fa, quando c’era stata la distribuzione (delle mascherine, ndr), ma non c’entra nulla Toti». In questi giorni, poi, si è parlato di filoni che riguardano le discariche ma anche in questo caso i magistrati scrivono: «Le operazioni di intercettazioni telefoniche a carico di Giovanni Toti che, sebbene non consentivano di trovare ulteriori riscontri all’ipotesi corruttiva inizialmente ipotizzata (a carico Giovanni Toti e di Pietro Colucci), svelavano ulteriori rapporti corruttivi tra il presidente della Regione Liguria e altri imprenditori (Spinelli e Moncada)». E si ritorna allo schema iniziale, ovvero il focus dell’ordinanza, quello dal quale qualcuno, creando una certa confusione, sta cercando di orientare altrove. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/genova-il-sistema-pd-secondo-i-dem-2668249735.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="spinelli-al-gip-adesso-svelo-tutto" data-post-id="2668249735" data-published-at="1715629585" data-use-pagination="False"> Spinelli al gip: «Adesso svelo tutto» Giornata di nuovi interrogatori quella di ieri. Matteo Cozzani, ex sindaco di Porto Venere e capo di gabinetto di Giovanni Toti, arrestato con l’accusa di corruzione e turbata libertà degli incanti, ha rilasciato alcune dichiarazioni spontanee al gip Mario De Bellis. «È sereno e tranquillo di poter chiarire tutti gli addebiti. Al momento non è ancora in grado di rispondere nel merito», ha detto ai cronisti l’avvocato Massimo Ceresa Gastaldo. «Ha fatto presente che le esigenze cautelari, dal nostro punto di vista, non sussistono perché non ricopre da anni la carica di sindaco di Porto Venere e anche perché, in ragione del clamore mediatico della vicenda, non ricoprirà più il ruolo di capo di gabinetto». Ha risposto invece per un’ora e mezza alle domande del giudice Roberto Spinelli, figlio di Aldo Spinelli, l’imprenditore portuale finito ai domiciliari perché accusato di corruzione. Il suo avvocato ha definito il faccia a faccia «positivo». Più loquace è stato però il vecchio patriarca che, a conclusione dell’interrogatorio, ha commentato coi giornalisti: «Ho detto tutto, tutto...». Aggiungendo subito dopo: «Fate i bravi, mi raccomando». A chi gli chiedeva se tornasse libero, Aldo Spinelli ha risposto «penso di meritarmelo» ma ha anche ribadito di non sapere nulla di un’eventuale revoca della misura cautelare «perché è l’avvocato che fa ‘ste cose qua». L’avvocato Vernazza, che assiste Spinelli, ha confermato che il suo cliente «ha risposto a tutte le domande» del gip «e si è sfogato». E proprio Spinelli è protagonista di una intercettazione con l’ex presidente del porto, Paolo Emilio Signorini. I due parlano di un Rolex da 3.200 euro che quest’ultimo dovrebbe comprare per il compleanno della figlia, ma non ha i soldi. «Non c’è problema Paolo, è un regalo che faccio a tua figlia... che discorso è... è mica un problema quello eh!..», assicura Spinelli. E Signorini scherza: «Ti ricordi Ruby... col Rolex..». Ancora Spinelli: «Ma noo ma va bè ma belin... grazie un Rolex da 50.000 euro no, ma un regalo da 3.200 euro lo può fare chiunque». Ha reso spontanee dichiarazioni davanti al gip Falcioni e «ha affermato la propria innocenza rispetto ai fatti» contestati, Francesco Moncada, ex consigliere del cda di Esselunga, destinatario di una misura interdittiva. Come si legge in una nota dei suoi legali, rappresentati da Paola Severino, Moncada, «ha in particolare, sottolineato che in occasione dell’incontro svoltosi il 17 marzo 2022 presso la sede della Regione ha sempre inteso agire nel pieno rispetto della legalità e in assoluta trasparenza». Ha lasciato, invece, il ruolo di ad e consigliere di amministrazione della Innovatec spa Pietro Colucci. Un decisione, spiega il manager in una nota, che non è in alcun modo collegata all’andamento dell’inchiesta genovese, «per la quale non ho ricevuto a oggi alcun avviso né addebito», ma «all’ampio rilievo che è stato riservato alla mia posizione nella stampa nazionale». «Il sostegno al movimento Cambiamo, avvenuto negli anni 2016/19, cioè a quasi 5 anni da oggi», prosegue la nota, «è stato eseguito quando non avevo alcun incarico nel gruppo, e quindi ho l’obbligo morale di tenere Innovatec indenne da ogni coinvolgimento».
Il meccanismo si applica guardando non a quando è stato pagato il riscatto, ma a quando si maturano i requisiti per l’uscita anticipata: nel 2031 non concorrono 6 mesi tra quelli riscattati; nel 2032 diventano 12; poi 18 nel 2033, 24 nel 2034, fino ad arrivare a 30 mesi nel 2035. La platea indicata è quella del riscatto della «laurea breve», richiamata anche come diplomi universitari della legge 341/1990. La conseguenza pratica è che il riscatto continua a «esistere» come contribuzione accreditata, ma diventa progressivamente molto meno efficace come acceleratore del requisito contributivo. Con una triennale piena (36 mesi) il taglio a regime dal 2035 (30 mesi) lascia, per l’anticipo del diritto, un vantaggio residuo di appena 6 mesi; nel 2031, invece, la sterilizzazione è limitata a 6 mesi e, quindi, restano utilizzabili 30 mesi su 36 per raggiungere prima la soglia. Il punto che rende la stretta economicamente esplosiva è che il costo del riscatto non viene rimodulato. Nel 2025, per il riscatto a costo agevolato, l’Inps indica come base il reddito minimo annuo di 18.555 euro e l’aliquota del 33%, da cui deriva un onere pari a 6.123,15 euro per ogni anno di corso riscattato (per le domande presentate nel 2025).
In altri termini: si continua a pagare secondo i parametri ordinari dell’istituto, ma una fetta crescente di quel «tempo comprato» smette di essere spendibile per andare prima in pensione con l’anticipata. La contestazione più immediata riguarda l’effetto «a scadenza»: chi ha già riscattato oggi, ma maturerà i requisiti dopo il 2030, potrebbe scoprire che una parte dei mesi riscattati non vale più come si aspettava per centrare prima l’uscita dalla vita lavorativa.
La norma, in realtà, è destinata a creare dibattito politico. «Non c’è nessunissima intenzione di alzare l’età pensionabile», ha detto il senatore della Lega. Claudio Borghi, «e meno che mai di scippare il riscatto della laurea. Le voci scritte in legge di bilancio sono semplici clausole di salvaguardia che qualche tecnico troppo zelante ha inserito per compensare un possibile futuro aumento dei pensionamenti anticipati, che la norma incentiva sfruttando la possibilità data dal sistema 64 anni più 25 di contributi inclusa la previdenza complementare. Quello che succederà in futuro verrà monitorato di anno in anno ma posso dire con assoluta certezza che non ci sarà mai alcun aumento delle finestre di uscita o alcuno scippo dei riscatti della laurea a seguito di questa norma». «In assenza di intervento immediato del governo, noi sicuramente presenteremo emendamenti», conclude il leghista. A spazzare via ogni dubbio ci ha pensato il premier, Giorgia Meloni: «Nessuno che abbia riscattato la laurea vedra’ cambiata la sua situazione, la modifica varra’ per il futuro, in questo senso l’emendamento deve essere corretto» a detto in Senato.
Dal canto suo, il segretario del Pd, Elly Schlein, alla Camera, ha subito dichiarato la sua contrarietà all’emendamento. «Ieri (due giorni fa, ndr) avete riscritto la manovra e con una sola mossa fate una stangata sulle pensioni che è un furto sia ai giovani che agli anziani. È una vergogna prendervi i soldi di chi ha già pagato per riscattare la laurea: è un’altra manovra di promesse tradite. Dovevate abolire la Fornero e invece allungate l’età pensionabile a tutti. Non ci provate, non ve lo permetteremo».
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(IStock)
Novità anche per l’attività delle forze dell’ordine. Un emendamento riformulato dal governo prevede che anche gli interventi di soccorso promossi da polizia e carabinieri, a partire dal prossimo anno, andranno «rimborsati» se risulteranno non «giustificati», ovvero se dietro sarà rinvenuta l’ombra del dolo o della colpa grave di chi è stato soccorso. La stretta era stata già prevista nel testo uscito dal Consiglio dei ministri il 17 ottobre ma era limitata a uomini e mezzi della Guardia di finanza, ora con questa proposta di modifica viene estesa agli interventi effettuati dagli altri due corpi. Dal 2026 la richiesta di aiuto che verrà rivolta a polizia di Stato e Arma dei carabinieri, impegnati nel soccorso alpino e in quello in mare, andrà giustificata e motivata. E se non ci sarà una motivazione adeguata e reale la ricerca, il soccorso e il salvataggio in montagna o in mare diventeranno tutte operazioni a pagamento. Non solo. Il contributo sarà dovuto anche da chi procura, per dolo o colpa grave, un incidente o un evento che richiede l’impiego di uomini e mezzi appartenenti alla polizia di Stato e all’Arma. L’importo sarà stabilito con decreti dal ministro dell’Interno e da quello della Difesa, di concerto con l’Economia. L’emendamento precisa, infine, che «il corrispettivo è dovuto qualora l’evento per il quale è stato effettuato l’intervento sia imputabile a dolo o colpa grave dell’agente».
Nessuna novità, invece, per maggiori fondi, che restano rinviati a quando il Paese uscirà dalla procedura d’infrazione. I sindacati di polizia continuano a martellare l’esecutivo dicendo che «per il governo la sicurezza è uno slogan adatto ai discorsi pubblici ma non è una priorità quando si tratta di mettere in campo risorse concrete». In una lettera inviata da Sap, Coisp-Mosap, Fsp Polizia, Silp-Cgil al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si attacca «l’ipotesi di un innalzamento dell’età pensionabile, inaccettabile per chi ha trascorso una vita professionale tra rischi e responsabilità enormi e si pretende di allungare ulteriormente la carriera dei poliziotti senza alcun confronto con i sindacati». Per i sindacati è anche «grave, lo stanziamento simbolico di appena 20 milioni di euro per la previdenza dedicata. Una cifra che condanna molti a pensioni indegne dopo una vita spesa al servizio dello Stato».
Intanto hanno avuto il via libera in commissione Bilancio una serie di modifiche alla manovra sui temi di interesse comune alla maggioranza e all’opposizione in materia di enti locali e calamità naturali. In totale sono 64 gli emendamenti. Tra questi, la possibilità di assumere a tempo indeterminato il personale in servizio presso gli Uffici speciali per la ricostruzione e che abbia maturato almeno tre anni di servizio. Arriva anche un contributo di 2,5 milioni per il 2026 per il disagio abitativo finalizzato alla ricostruzione per i territori colpiti dai terremoti in Marche e Umbria.
Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha sottolineato i maggiori fondi per la sanità. «Sul fronte del personale», ha detto, ci sono degli aumenti importanti e delle assunzioni aggiuntive. Le Regioni possono assumere con il Fondo sanitario nazionale che viene ripartito tra di loro».
Soddisfatto il presidente di Farmindustria, Marcello Cattani. La manovra, infatti, contiene +7,4 miliardi per il Fondo sanitario nazionale e un ulteriore +0,1% che consente di far scendere il payback a carico delle aziende farmaceutiche. «Il segnale è ampiamente positivo», ha commentato Cattani.
Intanto ieri alla Camera, nel dibattito sulle comunicazioni alla vigilia del Consiglio europeo, c’è stato un botta e risposta tra la segretaria del Pd, Elly Schlein, e Meloni. Tema: le tasse e la manovra. «La pressione fiscale sale perché sale il gettito fiscale certo anche grazie al fatto che oggi lavora un milione di persone in più che pagano le tasse», ha detto il premier. E a fronte del rumoreggiamento dell’Aula, ha incalzato: «Se volete facciamo un simposio ma siccome siamo in Parlamento le cose o si dicono come stanno o si studia».
Ma per Schlein «le tasse aumentano per il drenaggio fiscale». Il premier ha, poi, ribadito che la manovra «è seria» e che «l’Italia ha ampiamente pagato in termini reputazionali, e non solo, le allegre politiche degli anni passati».
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Il direttore di Limes, Lucio Caracciolo (Imagoeconomica)
«A tutto c’è un Limes». E i professoroni se ne sono andati sbattendo la porta, accompagnati dal generale con le stellette e dall’eco della marcetta militare mediatica tutta grancassa e tromboni, a sottolineare come fosse democratica e dixie la ritirata strategica da quel covo di «putiniani sfegatati». La vicenda con al centro la guerra in Ucraina merita un approfondimento perché è paradigmatica di una polarizzazione che non lascia scampo a chi semplicemente intende approfondire i fatti. Nell’era del pensiero igienista, ogni contatto con il nemico e ogni lettura (anche critica) dei testi che egli produce sono considerati contaminanti.
Già la narrazione lascia perplessi e l’uscita dei martiri da un consiglio scientifico che vede nelle sue file Enrico Letta, Romano Prodi, Andrea Riccardi, Angelo Panebianco, Federico Fubini (atlantisti di ferro più che compagni di merende dello zar) indebolisce le ragioni dei transfughi. Se poi si aggiunge che in cima al comitato dei saggi della rivista campeggia il nome di Rosario Aitala - il giudice della Corte penale internazionale che due anni fa firmò un mandato di cattura per Vladimir Putin - ecco che le motivazioni del commando in doppiopetto si scaricano in fretta come le batterie dell’auto full electric guidata da Ursula von der Leyen.
Eppure Federico Argentieri (studioso di affari europei), Franz Gustincich (giornalista e fotografo), Giorgio Arfaras (economista) e Vincenzo Camporini (ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica) hanno preso la porta e hanno salutato Lucio Caracciolo con parole stizzite per «incompatibilità con la linea politica». Avvertivano una «nube tossica» aleggiare su Limes. Evidentemente non sopportavano che ogni dieci analisi filo-occidentali ce ne fossero un paio dedicate alle ragioni russe. Un’accusa pretestuosa al mensile di geopolitica più importante d’Italia e a uno storico direttore che in 30 anni si è guadagnato prestigio e indipendenza pur rimanendo nell’alveo del grande fiume navigabile (e spesso limaccioso) della sinistra culturale.
«Io quelli che se ne sono andati non li ho mai visti. Chi ci accusa di essere filorusso non ha mai sfogliato la rivista», ha dichiarato il giornalista Mirko Mussetti a Radio Cusano Campus. Dietro le rumorose dimissioni ci sarebbero cause tutt’altro che culturali, forse di opportunità. Arfaras è marito della giornalista russa naturalizzata italiana Anna Zafesova, studiosa del putinismo, firma della Stampa e voce di Radio Radicale. Il generale Camporini ha solidi interessi politici: già candidato di + Europa, è passato con Carlo Calenda e ha tentato invano la scalata all’Europarlamento. Oggi è responsabile della difesa dell’eurolirica Azione. La tempistica della fibrillazione è sospetta e chiama in causa anche le strategie editoriali. Limes fa parte del gruppo Gedi messo in vendita (in blocco o come spezzatino) da John Elkann; la rivista è solida, quindi obiettivo di qualcuno che potrebbe avere interesse a destabilizzarne la catena di comando.
Ieri Caracciolo ha replicato ai transfughi sottolineando che «la notizia è largamente sopravvalutata». Lo è anche in chiave numerica, visto che i consiglieri (fra scientifici e redazionali) sono un esercito: 106, ben più dei giornalisti che lavorano. Parlando con Il Fatto Quotidiano, il direttore ha aggiunto: «Noi siamo una rivista di geopolitica. Occorre analizzare i conflitti e ascoltare tutte le voci, anche le più lontane. Non possiamo metterci da una parte contro l’altra ma essere aperti a punti di vista diversi. Pubblicare non significa condividere il punto di vista dell’uno o dell’altro».
Argentieri lo ha messo sulla graticola con un paio di motivazioni surreali: avrebbe sbagliato a prevedere l’invasione russa nel febbraio 2022 («Non la faranno mai») e continua a colorare la Crimea come territorio russo sulle mappe, firmate dalla formidabile Laura Canali. Caracciolo non si scompone: «Avevo detto che se Putin avesse invaso l’Ucraina avrebbe fatto una follia. Pensavo che non l’avrebbe fatta, ho sbagliato, mi succede. Non capisco perché a distanza di tempo questo debba provocare le dimissioni». Capitolo cartina: «Chiunque sbarchi a Sebastopoli si accorge che si trova in Russia e non in Ucraina; per dichiarazione dello stesso Zelensky gli ucraini non sono in grado di recuperare quei territori».
Gli analisti lavorano sullo stato di fatto, non sui desiderata dei «Volenterosi» guidati da Bruxelles, ai quali i media italiani hanno srotolato i tradizionali tappetini. E ancora convinti come Napoleone e Hitler che la Russia vada sconfitta sul campo. Se Limes non ha creduto che Putin si curava con il sangue di bue; che uno degli eserciti più potenti del mondo combatteva con le pale; che Mosca era ridotta a usare i microchip delle lavatrici per far volare i missili, il problema non è suo ma di chi si è appiattito sulla retorica dopo aver studiato la Storia sui «Classici Audacia» a fumetti. Nel febbraio del 2024 Limes titolava: «Stiamo perdendo la guerra». Aveva ragione, notizia ruvidamente fattuale. La disinformazione da nube tossica aleggia altrove.
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