2022-11-10
L’Inps blocca i vitalizi ai pensionati disabili. I giornalisti graziati?
La sede romana del gruppo Gedi (Imagoeconomica)
I poligrafici ottennero lo scivolo grazie a sindacati e azienda, ma pure i cronisti nello stesso periodo trattarono uscite facili.Come sempre nel nostro Paese alla fine a pagare sono i vasi di coccio. Nella presunta gigantesca truffa aggravata che il gruppo Gedi (editore di giornali come La Repubblica, La Stampa e il Secolo XIX) avrebbe perpetrato ai danni dell’Inps per risparmiare 38,9 milioni di euro di costi per il personale, a rimetterci sono anche prepensionati disabili, mentre i dirigenti che hanno ideato il sistema sono in attesa di capire se andranno a processo. Ma a loro, per ora, nessuno ha chiesto di pagare il conto, visto che l’azienda in occasione del sequestro preventivo ha depositato in banca una somma equivalente al presunto corpo del reato ovvero l’illecito profitto per Gedi (38,9 milioni di euro), somma che il gip Andrea Fanelli quasi un anno fa aveva ordinato di congelare.Invece l’Inps, improvvisamente inflessibile, ha iniziato a bloccare rendite vitalizie e pensioni di anzianità agli indagati mandati fuori dall’azienda con appositi scivoli e, in qualche caso, con il versamento delle «marchette» mancanti per anni di lavoro mai svolti in ditte complici.È quello che è successo a Enrico Battistini, 65 anni, e a Luciano Ciaccio, 57 anni, entrambi ex poligrafici addetti, tra l’altro, all’impaginazione della Repubblica e degli altri giornali del gruppo. Tutti e due hanno un’invalidità civile riconosciuta del 70 per cento ed entrambi dalla sera alla mattina, nei giorni scorsi, si sono ritrovati senza pensione. Ambedue hanno trattato la loro uscita da Gedi con l’ex vicecapo del personale Romeo Marrocchio e con gli ex sindacalisti della Cgil Stefano Graziosi e M. B. (il primo risulta ancora indagato, il nome del secondo, invece non compare più nell’avviso di chiusura delle indagini).A Battistini l’Inps ha scritto per chiedere la restituzione in un’unica soluzione di 263.858,59 euro, l’equivalente degli assegni versati dall’ente previdenziale a partire dal gennaio 2013.L’ex poligrafico, che ha lavorato in Gedi dal 2004 al 2012, e altri 19 indagati sarebbero stati fintamente trasferiti da «società del gruppo non aventi diritto ai benefici della Legge 416/81» a società che, invece, lo avevano, per «fruire indebitamente della Cigs e quindi del beneficio del collocamento a riposo anticipato riservato ai lavoratori del settore Editoria». Agli atti è stata depositata la mail, datata 30 marzo 2011, con cui Marrocchio comunica al dirigente Alessandro Rocca quattro trasferimenti dalla Rotocolor alla Gele (vecchio nome del gruppo editoriale L’Espresso). Tra questi anche Battistini. Il quale, il 13 novembre 2012, firma l’accordo, sta due settimane in cassa integrazione e, quindi, a 55 anni, va in pensione. Oggi Battistini, che, nel frattempo, si è trasferito a Cesena, elenca le tappe del suo incubo: «Il 27 settembre scorso la Guardia di finanza mi ha consegnato l’avviso di conclusione delle indagini; il 3 ottobre l’Inps mi ha notificato la sospensione della pensione di anzianità e mi ha chiesto il rimborso delle mensilità da me percepite entro il 19 di questo mese». Ma l’ex lavoratore quei soldi non li ha. «La mia famiglia è monoreddito e la mia pensione da 2.100 euro serviva anche a mantenere mio figlio universitario. Adesso mi trovo in grave difficoltà. Per vivere stiamo utilizzando i soldi messi da parte per il futuro del mio ragazzo, stiamo attingendo al fondo per i suoi studi». Dopo l’arrivo delle Fiamme gialle Battistini ha contattato il sindacalista M.B., che gli aveva istruito la pratica: «Lo chiamai per avere dei consigli e mi ha risposto di non sapere nulla, avendo anche lui lasciato l’azienda nel 2014. Ora non mi risponde neanche più al telefono. Peccato che a rovinarmi sia stata una scrittura privata firmata davanti a lui e a Marrocchio, sulla base di un accordo sindacale per la riorganizzazione aziendale».Ciaccio, che ha lavorato in tipografia come videoimpaginatore e fotoritoccatore, è stato dipendente del gruppo Gedi dall’1 maggio 2008 al 31 ottobre 2014 ed è andato in pensione il primo novembre dello stesso anno, all’età di 49 anniÈ accusato di «riscatto di periodi non lavorati» e dovrebbe restituire 148.316 euro. Anche lui si sfoga: «Hanno bloccato pure la mia pensione di 1.550 euro e ora a casa entra solo lo stipendio di mia moglie, che è di circa 1.300 euro». I due coniugi hanno una figlia diciannovenne a carico. «Mi ritengo truffato a mia volta avendo in mano delle carte palesemente contraffatte e depositate presso l’Inps» ci dice. «Non sono un avvocato e nemmeno un commercialista e sono rimasto coinvolto in questioni di cui non ero esperto. La frode è stata realizzata dalle organizzazioni sindacali in accordo con l’azienda. Noi non potevamo che fidarci». Ciaccio ricorda che all’inizio, nel 2012, ad aver diritto ad andare in pensione con lo scivolo erano solo 4 lavoratori, ma improvvisamente ne spuntarono come funghi altri 22. «Poi il sindacalista M. B., venne a dirmi che c’era questa possibilità e che i soldi per gli anni di buco contributivo li avrebbe messi l’azienda. Ci pensai qualche mese e poi accettai. Mi sembrava una di quelle occasioni che non ripassano». Per questo si recò, lui che abita nel quartiere Pigneto, presso la filiale Inps più vicina, che non è quella dei due funzionari indagati (la sede di Monteverde): «M.B. fece tutto con un impiegato che non ho ritrovato tra i nomi sotto inchiesta» conferma Ciaccio, lasciando intendere che diversi protagonisti di questa colossale truffa non sarebbero ancora entrati nei radar della Procura.Così come i giornalisti. Che negli anni in cui i poligrafici andavano in pensione con lo scivolo, fecero la stessa cosa. «Ma noi e loro non ci siamo incontrati nei negoziati» puntualizza Ciaccio, «la questione era la stessa, ma le trattative era personali. Erano piani distinti. Loro volevano l’argent, i famosi “pippi”, come li chiamiamo noi a Roma, soldi, tanti soldi, mica gli spiccioli che servivano per mandare a casa noi. Si trattava di grandi importi». Per Ciaccio l’azienda ha versato 100.000 euro per coprire le 227 settimane di «marchette» necessarie per lasciare il lavoro.Una firma di Repubblica qualche mese fa, dopo la pubblicazione dei nostri primi articoli, ci aveva chiesto: «Ma negli atti non ci sono i nomi dei giornalisti che sono andati in prepensionamento?». E fece l’esempio di un ex caporedattore e di un ex vicedirettore. Di fronte alla nostra risposta negativa, commentò: «Strano, erano proprio le annualità dell’indagine».Per Battistini e Ciaccio al danno si aggiunge la beffa: i costi per i legali. Il primo spiega: «L’avvocato mi ha chiesto 3.600 euro. Per una telefonata me ne hanno domandati 600». Il secondo rincara: «Il difensore d’ufficio mi ha fatto un preventivo di 1.400 euro, mentre il tributarista me ne ha chiesti 3.000: 1.800 a chiusura pratica e 1.200 subito. Ma io faccio fatica ad anticiparne 600. Allora sono venute fuori le mie origini di borgata: “Avvoca’, io nun magno, ma nun magna manco lei».
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
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