2024-03-19
«Gaza è un cimitero». «Basta attaccarci». Tra Israele e Borrell lo scontro è totale
Antonio Tajani si smarca dall’esponente Ue. Trovato un altro arsenale vicino a un ospedale. Negoziati: sarà coinvolto il capo di Hamas.«La Striscia di Gaza prima della guerra era la più grande prigione a cielo aperto del mondo ma oggi è il più grande cimitero a cielo aperto del pianeta per decine di migliaia di persone e anche per molti dei principi più importanti del diritto umanitario». Chi lo ha detto? La guida suprema dell’Iran Ali Khamenei, o il leader di Hamas Ismail Haniyeh, oppure uno dei tanti propagandisti filopalestinesi che campeggiano da mesi a reti unificate e sui media mainstream? Stavolta no, perché a pronunciare queste parole è stato l’alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell, a margine del consiglio affari Esteri a Bruxelles. Non c’è da stupirsi perché insieme ad António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite (istituzione che sotto la sua guida ha rimediato solo scandali e discredito come mai prima), da anni sono impegnati a tutto campo contro Israele. Nemmeno il tempo di registrare le frasi di Borrell che il ministro degli Esteri italiani Antonio Tajani a Bruxelles lo ha sconfessato: «Le parole di Borrell su Gaza sono una sua posizione personale, legittima, ma che non è stata concordata con nessuno. Non possiamo dimenticare perché è scoppiata questa guerra nella Striscia di Gaza, far finta che Hamas non abbia compiuto gli atti del 7 ottobre: il responsabile della guerra è Hamas. Detto questo, sono mesi che noi diciamo che Israele deve tenere conto della situazione della popolazione civile». Le parole di Borrell hanno fatto infuriare gli israeliani che hanno reagito attraverso il ministro degli Esteri Israel Katz: «È tempo che Josep Borrell finisca di attaccare Israele e riconosca il suo diritto all’autodifesa contro i crimini di Hamas. Israele ha permesso l’ingresso di un vasto aiuto umanitario via terra, aria e mare per tutti coloro che vogliono aiutare». Difatti ieri almeno 240 camion di aiuti umanitari provenienti dai valichi israeliani di Nitzana e Kerem Shalom sono arrivati a Gaza. Sempre ieri è entrato a Gaza il combustibile necessario per il funzionamento di cinque pompe per la purificazione dell’acqua che provvedono alle necessità di complessivamente 200.000 persone. La Casa Bianca ha annunciato che la conversazione tra il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, si è conclusa dopo 45 minuti. Durante la telefonata i due leader hanno discusso degli sviluppi recenti in Israele e a Gaza, con particolare attenzione alla situazione a Rafah e agli sforzi volti a intensificare l’assistenza umanitaria. Questo è stato il primo contatto tra i due dal 15 febbraio. Netanyahu ha affermato di aver «parlato degli ultimi sviluppi della guerra, compreso l’impegno di Israele a raggiungere tutti gli obiettivi del confitto che sono l’eliminazione di Hamas, il rilascio di tutti i nostri ostaggi e la promessa che Gaza non rappresenterà più una minaccia per Israele. E questo fornendo al contempo gli aiuti umanitari necessari per raggiungere questi obiettivi». Ieri le Forze armate israeliane, insieme al servizio di sicurezza interno Shin Bet, hanno annunciato di aver eliminato Faiq Mabhuoch, capo delle operazioni di sicurezza interna di Hamas, durante un’operazione nel complesso dell’ospedale Al Shifa a Gaza City. Il portavoce militare ha dichiarato che Mabhuoch era responsabile del coordinamento delle attività terroristiche di Hamas nella Striscia di Gaza ed è stato ucciso in uno scontro con le truppe mentre si nascondeva armato in un complesso vicino all’ospedale di Al Shifa, dove operava per perpetrare attività terroristiche. Durante l’operazione i membri delle Unità speciali israeliane «hanno eliminato 20 terroristi e catturato decine di sospetti che sono adesso sottoposti ad interrogatori» e hanno sequestrato un numero ingente di armi e munizioni. Gli Stati Uniti hanno inoltre confermato che lo scorso 8 marzo Israele ha ucciso il numero tre di Hamas, Marwan Issa, vice capo dell’ala militare dell’organizzazione.Secondo i media israeliani i negoziati a Doha (Qatar), ai quali partecipa una delegazione israeliana guidata dal capo del Mossad David Barnea, «coinvolgeranno Yaya Sinwar e dureranno almeno due settimane». Secondo una fonte di Ynet «la sostanza della trattativa è una tregua di 42 giorni in cambio di 40 ostaggi e sarà un processo lungo e complesso. C’è un Hamas esterno in Qatar e un Hamas interno nei tunnel, i negoziati sono con Sinwar che è nei tunnel». Di certo il capo dei jihadisti cercherà di tutelare la sua posizione personale come vi abbiano anticipato più volte, tuttavia, la delegazione israeliana è a Doha «con un mandato preciso e chiare linee rosse per la trattativa», che escludono la possibilità che Sinwar possa lasciare, come richiede da tempo, la Striscia di Gaza per andare in esilio in Algeria, Tunisia o in Turchia. Ieri, dopo che razzi sono stati lanciati dal Libano verso Israele, in particolare verso Yiftach, Har Dov e Manara, le forze armate israeliane hanno risposto colpendo al di là del confine. È quanto comunicato dal portavoce militare, il quale ha dichiarato che i jet dell’aviazione «hanno attaccato terroristi che stavano tentando di infiltrarsi nel complesso militare di Hezbollah nell’area di Meiss El Jabal». Mentre ieri il ministro israeliano Itamar Ben Gvir si è mostrato davanti a una locandina con una grande pistola al centro e lo slogan «100.000 israeliani armati. Delle 299.354 richieste arrivate dall’inizio della guerra più di 100.000 cittadini hanno già ottenuto l’autorizzazione ad armarsi perché le armi salvano vite».